Donna che sceglie vino

Vini senza alcol: un mercato in crescita, tra dubbi e interesse

Matteo Garuti
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    Il mercato dei vini senza alcol sta gradualmente crescendo, per motivi salutistici, dietistici, di sicurezza o di altra origine. Sono ormai molte, infatti, le aziende che li propongono, con un interesse in aumento anche tra i produttori italiani. Ma come si sta sviluppando il settore e quali sono le prospettive? E questi vini potranno davvero essere accettati dal grande pubblico o continuerà a prevalere il pregiudizio? Dopo aver approfondito gli aspetti sensoriali e delle tecniche produttive dei vini analcolici, analizzeremo prima l’ambito salutistico e poi quello culturale, con il primo che spinge e il secondo che ancora frena questa tipologia di prodotto.

    Vini senza alcol: un settore in espansione

    brindisi tra giovani

    Ground Picture/shutterstock

    Il vino analcolico si produce seguendo le normali tecniche di vinificazione, ma, come descritto nel nostro precedente articolo, in seguito viene sottoposto a un processo che lo priva – in gran parte o per intero – del contenuto alcolico generato durante la fermentazione del mosto. Come abbiamo visto, le tecniche di dealcolazione più comuni sono la distillazione sottovuoto e l’osmosi inversa, e il loro perfezionamento ha potuto rendere più gradevoli al palato questi vini – tendenzialmente più dolci rispetto a quelli tradizionali – surrogati sempre più credibili. In particolare, sono gli spumanti e i bianchi i più adatti alla produzione alcol free, nonché i più richiesti. Fondamentale, in questo quadro, è il trend crescente delle bevande a basso o nullo contenuto alcolico e calorico, in un mercato che progressivamente sta uscendo dalla piccola nicchia che in passato lo caratterizzava.

     

    Secondo uno studio dell’IWSR del 2022, il settore ha un valore di vendita al dettaglio globale vicino ai 10 miliardi di dollari e nel mondo si prevede un tasso di crescita del 7% fino al 2026 (del 30% nel Regno Unito, oggi uno dei mercati principali per i prodotti alcol free). È interessante notare che l’82% delle persone che hanno provato i prodotti “no-low alcohol” sono consumatori di alcolici: infatti, la crescita maggiore si sta registrando proprio in questi soggetti, i quali seguono periodi più o meno lunghi di astinenza totale.

    Una recente ricerca, realizzata da Areté per l’Unione Europea e pubblicata nel 2023, ha evidenziato che vino, birra (che domina il settore alcol free) e liquori no alcol e low alcol generano un business di oltre 7,5 miliardi in Europa. Il mercato dei vini analcolici, in particolare, ha toccato i 322 milioni di euro, con Spagna, Francia, Germania e Belgio a trainare una crescita negli ultimi anni prossima al 18%, in un contesto di stabilizzazione o riduzione dei consumi di bevande alcoliche. Per i ricercatori di Areté, “il mercato delle bevande ‘low/no alcohol’ diverse dalla birra è ancora in una fase iniziale di sviluppo in tutti i Paesi membri, e le relative dinamiche sono ancora in grande evoluzione, ma le attese per i prossimi anni sono di crescite complessive a due cifre, in particolare per vino e liquori. In questo contesto, sono di grande importanza l’innovazione tecnologica e di prodotto, ma anche la possibilità di avere un quadro normativo chiaro, a beneficio di consumatori e operatori”.

    Vini senza alcol: perché sceglierli?

    giovani donne che brindano

    Inside Creative House/shutterstock

    Dal punto di vista salutistico e dietetico i vantaggi dei vini senza alcol sono evidenti:

    • eliminano le conseguenze negative legate direttamente all’alcol, come i danni al fegato, il rischio di dipendenza e la compromissione delle capacità motorie e cognitive.
    • sono versatili e adatti a tutti, perché il loro consumo si può estendere a chi per motivi di salute, di lavoro, di prescrizione religiosa o di contingenze pratiche (come la necessità di guidare) deve rinunciare ai normali vini.
    • contengono meno calorie, in quanto il contenuto alcolico incide fortemente nel computo totale dell’apporto energetico. Questo dato, tuttavia, può variare a seconda del metodo di produzione e della specifica etichetta. Ad ogni modo, se un bicchiere di vino tradizionale (circa 150 ml) contiene generalmente tra 120 e 130 calorie, per il corrispettivo analcolico si scende tra le 20 e le 50 calorie, dovute alla presenza di zuccheri, siano essi quelli residui naturali dell’uva oppure aggiunti per migliorare il sapore dopo la rimozione dell’alcol. I produttori possono anche aggiungere aromi o altri ingredienti che possono aumentare leggermente il contenuto calorico. Leggendo le etichette nutrizionali si può avere un’idea precisa rispetto a questi aspetti, come sulla presenza di solfiti e altri allergeni.

    In generale, se scelti attentamente, i vini analcolici non fanno male e possono offrire una valida alternativa ai vini tradizionali, per lo meno dal punto di vista della salute.

    Dove si producono i vini analcolici?

    botti di vino senza alcol

    No-Mad/shutterstock

    La crescente domanda di vini senza alcol ha portato ad aumentare la loro produzione, che interessa i principali Paesi vinicoli del mondo, con alcune specificità. Negli Stati Uniti, specialmente in California, molte cantine producono versioni analcoliche dei loro vini, sfruttando le tecnologie più avanzate per rimuovere l’alcol. In Australia, da sempre aperta alle innovazioni nel mondo enologico, la produzione di vini analcolici è all’avanguardia, con una forte enfasi sull’innovazione. Australiana è la cantante Kylie Minogue, da alcuni anni imprenditrice del vino e che produce – puntando molto sull’analicolico – in Francia, Italia e Spagna, oltre che nella sua terra natia. Anche il Sudafrica sta vedendo una crescita nella produzione, con alcuni produttori che offrono opzioni di alta qualità.

     

    In Francia e Germania di recente diversi produttori sono entrati in questo mercato, mentre in Spagna alcune grandi aziende puntano a proporre vini analcolici a un prezzo contenuto, aspetto su cui si orientano anche alcune realtà cilene e argentine. Nel Regno Unito, dove l’interesse per il vino è meno radicato e recente, la forte crescita del mercato ha favorito molte importazioni e alcuni produttori locali hanno iniziato a sperimentare. In questo settore, l’Italia non è al pari dei competitor appena citati e il settore è ancora relativamente piccolo rispetto ad altri Paesi, pur considerando le possibilità di sviluppo. 

    I vini senza alcol sono accettati o prevale la diffidenza?

    Il punto debole dei vini senza alcol resta il loro gradimento da parte dei consumatori, in gran parte ancora restii a considerare di metterli sulle proprie tavole. Se il mercato è più che raddoppiato negli ultimi anni, questa tendenza non marcia di pari passo in tutto il mondo. La percezione dei vini analcolici, infatti, varia notevolmente a seconda delle culture, dei Paesi e dei contesti sociali.

     

    Negli Stati Uniti e in Canada, si stanno facendo strada scelte alimentari più sane e stili di vita sobri, anche se in modo diseguale in base alle classi socio-economiche. In questo contesto, i vini analcolici sono sempre più popolari, particolarmente tra i millennial e le persone che seguono movimenti come il “Dry January” (il mese di gennaio senza alcol popolare sui social network) o il “Sober Curious” (movimento che prevede l’assenza o il consumo limitato di alcol che ha iniziato a diffondersi nel 2010), oppure che desiderano ridurre il consumo di alcol per motivi di salute. L’ormai ampia disponibilità di prodotti di qualità ha contribuito a rendere questi prodotti un’opzione sempre più diffusa.

    In Asia, dove il consumo di vino è assai meno radicato rispetto a Europa e Americhe, i vini analcolici sono percepiti in modo neutro o positivo, specialmente nei contesti dove l’alcol è meno accettato socialmente. Nei mercati emergenti come la Cina e l’India, l’interesse crescente per i prodotti occidentali comprende anche questa tipologia di prodotti, nell’ambito di una più ampia tendenza verso stili di vita globalizzati e salutari.

    Nel Medio Oriente musulmano, dove il consumo di alcol è proibito, i vini senza alcol sono considerati una buona alternativa per godere dell’esperienza del vino senza violare le norme religiose. Di conseguenza, la disponibilità di vini analcolici è spesso considerata positivamente e in netta espansione.

    In Europa, invece, i vini analcolici trovano ancora una certa resistenza da parte dei consumatori. Italia, Francia e Spagna, del resto, sono i Paesi dove è più antica e solida la tradizione vinicola, e per la quasi totalità degli appassionati l’assenza di alcol rappresenta una perdita determinante di qualità e autenticità. In Italia, rispetto ad altri Stati europei, i vini senza alcol sono indubbiamente ancora molto poco diffusi. Tuttavia, la crescente consapevolezza riguardo ai benefici per la salute del consumo ridotto di alcol ha portato a un aumento dell’accettazione e a un superamento dello scetticismo, specialmente tra i giovani e nelle città più grandi e cosmopolite.

     

    In linea generale, la percezione dei vini analcolici dipende anche dal contesto sociale e dall’occasione nella quale vengono proposti. Per la loro diffusione il marketing può fare molto: una presentazione di qualità e una promozione efficace possono contribuire a migliorare la percezione e l’accettazione di questi prodotti.

    Vini analcolici: target di consumo

    no alcol

    MKPhoto12/shutterstock

    Come abbiamo visto, si prevede che il mercato dei vini analcolici, come quello più ampio delle bevande senza alcol, continuerà a crescere rapidamente nei prossimi anni. Ma questa tipologia di prodotto mira ad alcuni target specifici e più propensi a preferire questa opzione. Si tratta di un bacino abbastanza diversificato, che comprende diversi segmenti di consumatori in cerca dell’alternative alcol zero per vari motivi. Ecco una panoramica dei principali gruppi target: anche in questo caso precisiamo che nel mondo esistono grandi differenze culturali all’interno di queste macro-categorie.

    • Giovani adulti e millennials, sempre più attenti alla salute e al benessere e che vogliono ridurre il consumo di alcol per motivi salutistici in generale, pur senza rinunciare a vino e birra, e quindi aperti a esplorare opzioni di bevande analcoliche.
    • Giovani della Generazione Z, che tendono a consumare meno alcol rispetto alle generazioni precedenti e sono influenzati dalle tendenze sui social media e dagli influencer che promuovono uno stile di vita sano e consapevole.
    • Chi pratica diete ipocaloriche e sport, che può preferire i vini analcolici per evitare l’assunzione di alcol e calorie extra.
    • Autisti e persone in servizio, che possono optare per vini analcolici per godersi l’esperienza del vino senza compromettere la sicurezza propria e altrui e la propria professionalità.
    • Persone con restrizioni mediche, come malattie del fegato, diabete, pancreatite o ipertensione o interazioni farmacologiche, ma anche donne in gravidanza o allattamento, anche per poter partecipare a occasioni sociali evitando danni alla salute.
    • Consumatori che seguono prescrizioni religiose, perché i vini analcolici offrono un’alternativa accettabile che consente di partecipare a celebrazioni e riti sociali rispettando il proprio credo.
    • Persone interessate a ridurre l’alcol, che pur non essendo riconducibili a particolari gruppi sociali e non avendo specifiche restrizioni, scelgono di diminuire il consumo per migliorare la propria qualità di vita e la salute generale.
    • Eventi e occasioni sociali per ragioni di inclusione, per garantire che tutti i partecipanti, compresi quelli che per diverse ragioni non bevono alcol, possano sentirsi inclusi.

    Nel complesso, quindi, si tratta di consumatori di tutte le età e con diverse casistiche, alla ricerca di alternative analcoliche per i motivi più disparati. Le strategie di marketing efficaci per i vini analcolici devono perciò essere altrettanto diversificate, rivolgendosi a ciascuno di questi segmenti con messaggi e canali appropriati.

     


    Immagine in evidenza di: Zoriana Zaitseva/shutterstock

     

    Matteo è nato a Bologna e vive a San Giorgio di Piano (Bo), è giornalista, sommelier e assaggiatore di olio d'oliva, ha collaborato con il Dipartimento di Scienze e Tecnologie agro-alimentari dell'Università di Bologna. Per Il Giornale del Cibo si occupa di attualità, salute, cultura e politica alimentare. Apprezza i cibi e le bevande dai gusti autentici, decisi e di carattere. A tavola ama la tradizione ma gli piace anche sperimentare: per lui in cucina non può mancare la creatività, "perché è impossibile farne a meno!"

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