Mangiare ci fa stare bene, ci mette in comunicazione con gli altri, e ci permette anche di esprimere noi stessi: queste sono alcune delle modalità più frequenti attraverso le quali gli italiani si relazionano con il cibo. A confermarlo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Food Quality and Preference realizzato dall’EngageMinds HUB, il Centro di ricerca dell’Università Cattolica che indaga proprio rapporti e relazione tra le persone e il cibo. La ricerca ha portato allo sviluppo e validazione dell’indicatore Psychological Food Involvement Scale, che consente di comprendere non solo quanto siamo coinvolti da ciò che mangiamo, ma anche le ragioni spesso sottintese e inconsce che si nascondono dietro l’atto del mangiare e le nostre scelte d’acquisto.
Per capire meglio come è stato condotto lo studio e i principali risultati, abbiamo intervistato la dottoressa Greta Castellini, ricercatrice dell’EngageMinds HUB.
Perché il cibo ci coinvolge così tanto? I risultati dello studio dell’EngageMinds HUB
Un tempo, il cibo era considerato soltanto come uno strumento di sostentamento, ma negli ultimi decenni abbiamo assistito a una trasformazione. Oggi ciò che mangiamo e consumiamo assume sempre più spesso un significato simbolico e valoriale. Ma quali sono i messaggi che trasmettiamo attraverso il cibo?
Da questa domanda ha preso avvio il percorso di ricerca del Centro dell’Università Cattolica che si occupa proprio di emozioni e cibo, tant’è che alcuni mesi fa ha realizzato un interessante approfondimento sull’effetto psicologico positivo che deriva da mangiare un piatto di pasta.
Il focus, in questo caso, è sul coinvolgimento (involvement in inglese). La dottoressa Castellini spiega: “Ci siamo chiesti cosa significasse per i consumatori essere ‘coinvolti’ verso il cibo e abbiamo realizzato numerose interviste a target prototipici di consumatori quali madri, atleti e cuochi. Da questa prima fase di ricerca, sono emerse diverse sfaccettature che ci hanno permesso di realizzare un questionario e, di fatto, la Psychological Food Involvement Scale (PFIS).”
Il questionario è stato somministrato, in una seconda fase, a un campione rappresentativo della popolazione italiana composto da 512 persone. In questo modo è stato possibile individuare quattro principali motori motivazionali che rafforzano la nostra relazione con il cibo.
[elementor-template id='142071']1. Mangiare per stare bene
Il 40% degli intervistati che si considerano molto interessati al cibo è convinto che l’alimentazione sia un mezzo attraverso cui raggiungere una condizione di benessere psicofisico. “Mangiare mi fa sentire bene e mi rilassa”, spiega in altre parole la dottoressa Castellini, che aggiunge: “in questo caso, la motivazione per cui una persona è attenta al cibo è legata alla salute.”
2. Mangiare per autorealizzarsi
La Psychological Food Involvement Scale ci restituisce anche l’immagine di coloro i quali sono attenti al cibo perché è uno strumento di affermazione di sé. “Acquistando e consumando un certo tipo di prodotti” spiega Castellini, “posso esprimere chi sono. Spesso le persone nelle quali emerge questa motivazione sono cuochi, chef, appassionati di cucina, vegetariani o vegani: di fatto viene messo in gioco attraverso il cibo un sistema valoriale”.
3. Mangiare per socializzare
Una terza ragione molto comune di coinvolgimento nei confronti del cibo riguarda la socialità: scegliere determinati cibi o preparazioni consente di aderire a un modello sociale. “Pensiamo al mondo dello sport agonistico, ma anche ai nuovi modelli di consumo green: una persona desidera essere parte di un gruppo e lo fa attraverso ciò che mangia.”
4. Mangiare per instaurare legami
Per il 45% degli intervistati, infine, il cibo rappresenta un mezzo attraverso il quale rafforzare il legame affettivo con le persone care. Dal pranzo della domenica a casa della nonna fino al “pacco da giù”, questa è probabilmente la ragione che più comunemente (e consapevolmente) spinge le persone ad attribuire un significato al cibo.
“Un’altra situazione tipica in cui utilizziamo il cibo e ne siamo coinvolti con questa sfumatura di significato è l’aperitivo” spiega la ricercatrice: “in questo caso cerchiamo un momento di svago in cui si mangiano determinati alimenti perché rafforza le relazioni con gli amici così come con i familiari.
I valori che attribuiamo al cibo condizionano i consumi
La Psychological Food Involvement Scale non ci permette soltanto di descrivere e individuare le ragioni per cui prestiamo attenzione al cibo, oppure i messaggi “nascosti” che trasmettiamo con le nostre scelte, ma consente anche di delineare alcuni comportamenti di consumo a partire dalle ragioni del coinvolgimento.
“Consumi vegani e vegetariani sono fortemente legati all’espressione di sé, mentre per fare un altro esempio, il consumo di salumi, affettati e snack sono più frequenti in persone che ricercano le relazioni umane e sociali”, spiega Castellini che aggiunge: “In base alla motivazione del coinvolgimento, si consumano prodotti diversi. Il cibo in sé ha un significato simbolico e ci racconta qualcosa delle persone e delle tendenze culturali e sociali.”
Un secondo interessante risultato della ricerca è la presenza di una correlazione tra un alto tasso di coinvolgimento rispetto al cibo e l’interesse delle persone verso la salute. “Indipendentemente dalle ragioni, infatti, le persone più sensibili al cibo in generale sono anche quelle che seguono stili di vita più salubri e sono più attente a ciò che mangiano.” Dal punto di vista delle ricercatrici, si tratta di un’utile risorsa di prevenzione, e il coinvolgimento nei confronti del cibo una leva per aumentare l’attenzione al cibo sano.
L’indicatore Psychological Food Involvement è uno strumento predittivo e l’obiettivo è continuare a utilizzarlo per indagare il rapporto tra cibo e valori, comparando i risultati italiani con le sensibilità di altri Paesi europei. “In primo luogo, lo stiamo testando per capire come queste diverse motivazioni possono spiegare l’intenzione delle persone a ridurre il consumo di carne, un altro campo in cui attenzione alla salute, dimensione sociale e affermazione di valori si intrecciano. In questo modo potremmo provare a comprendere i fattori che stimolano l’intenzione di modificare le abitudini alimentari.”
Castellini conclude guardando all’estero: “Vorremmo tradurre l’indicatore in inglese per provare a utilizzarlo anche in altri Paesi dove la cultura del cibo è diversa per capire se, anche altrove, ciò che mangiamo assume un significato sempre più simbolico.” Le persone, secondo le ricercatrici, non scelgono cosa mangiare per questioni di mera funzionalità, ma anche per il valore simbolico della scelta. “È utile considerare che la qualità del cibo è solo uno dei fattori che alimentano e condizionano i consumi: di conseguenza, per comprendere i moderni trend di consumo, dobbiamo indossare gli ‘occhiali dello psicologo’ dei consumi alimentari e osservare anche le ragioni e le emozioni che veicolano le nostre scelte alimentari.”
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