Meglio conosciuti, in italiano, come orti urbani: aree coltivate dentro la città sfruttando spazi dismessi o inutilizzati. E così, mentre lo sprawl urbano, l’espansione incontrollata della città, allunga la sua mano famelica sui campi periurbani, e rende la possibilità di consumare cibo fresco un privilegio di chi ha scelto di fare della campagna la sua dimora, la terra si vendica e democraticamente entra in città.
Perchè l’urban farming? La Fao risponde
Già qualche anno fa l’organizzazione internazionale avanzava delle preoccupazioni in merito alle previsioni su un’imminente crescita demografica: sembrerebbe infatti che da qui al 2055 il globo sarà affollato da altri 2,3 miliardi di persone, e che più della metà degli abitanti dei paesi in via di sviluppo preferirà il cemento della città all’aria della campagna.
Come affrontare questo shock demografico, e come garantire alla moltitudine l’accesso a prodotti sani, freschi e nutrienti, a prezzi non proibitivi? Anche perché, mentre lo sprawl urbano relega la produzione di alimenti in aree rurali sempre più remote, i costi di trasporto e di conservazione incidono sui prezzi e sulla carenza di frutta, verdura e ortaggi di buona qualità nei mercati urbani, e questo ci porta a parlare sempre meno di sovranità alimentare e sempre più di food desert: contesti in cui il cibo di qualità proprio non arriva. E cosa arriva? Cibi scadenti, contenenti quantità eccessive di grassi e zuccheri, principali responsabili dell’aumento dell’obesità e di patologie correlate al sovrappeso, come il diabete. Se a questo aggiungiamo il fatto che la tendenza attuale dell’industria del cibo è quella di spingere a consumi esasperati di carne, va da sé che fenomeni di autoproduzione all’interno degli spazi cittadini, più che una moda, siano oggi un’esigenza.
Contro la povertà
Non richiede alti costi e offre un’alta resa in relazione alle quantità di acqua, terra e tempo necessarie. Tutti vantaggi che in aree sottosviluppate e in via di sviluppo si traducono in lotta attiva contro la povertà.
E la Fao ne è più convinta che mai, tanto da sostenere l’attività in oltre 20 paesi fornendo loro strumenti, sementi, incentivi e formazione: aiuto che si traduce in nutrimento per le famiglie e in reddito ricavato dalla vendita dei prodotti.
Se la crisi chiama, nuove opportunità rispondono
Qualcuno ne sta facendo una redditizia attività economica, mettendo in atto soluzioni intelligenti e innovative. Valga un esempio per tutti: la Bright Farm di Chicago non solo è arrivata a conquistare anche gli spazi verticali, coltivando sui tetti delle fabbriche e dei centri commerciali, ma ha pensato bene di moltiplicare la resa delle colture mettendo in atto la tecnica idroponica. E potrebbe essere solo l’inizio del riscatto del verde sul cemento.
E in Italia?
I dati forniti dalla Confederazione Italiana Agricoltori nel 2013 ci parlano di circa 9 milioni di fattorie urbane piazzate su giardini, terrazzi e proprietà comunali. Un po’ la crisi, un po’ il ricordo nostalgico di lattughe e zucchine delle campagne di nonni e zii ci sta portando al rifiuto di ortaggi da supermercato dal gusto plastificato, spingendoci a passare più tempo tra vasi in balcone e orti cittadini.