Avete mai sentito parlare della Treccia di Santa Croce di Magliano? Nel pur variegato panorama di formaggi tipici che caratterizza l’Italia da Nord a Sud, si tratta di una specialità davvero unica. È un prodotto caseario costituito da strisce di pasta filata intrecciate a formare un reticolato che si può avvolgere intorno al collo proprio come… una sciarpa! Assurdo? E invece è esattamente quanto accade ancora oggi nell’omonimo comune molisano, in occasione di una ricorrenza speciale come buon auspicio per contadini e allevatori. Ma oltre al valore simbolico, la Treccia di Santa Croce di Magliano è un prodotto che sa raccontare al meglio la tradizione e l’arte casearia di un popolo. Curiosi di saperne di più?
Treccia di Santa Croce di Magliano, più di un semplice formaggio
Sì, perché è anche e soprattutto un prodotto dall’alto valore simbolico. La Treccia di Santa Croce di Magliano è, infatti, espressione della cultura contadina di ottenere dai santi la benedizione per l’annata a venire attraverso l’omaggio di doni e beni d’ogni genere. E in questa piccola comunità sui colli molisani è tradizione farlo attraverso un rito in cui gli allevatori si recano al cospetto di San Giacomo ornando se stessi e i loro animali con un singolare coprispalle, la Treccia di Santa Croce di Magliano appunto. Questo rituale viene ripetuto ogni anno in occasione dell’ultimo sabato di aprile, quando ricorre la festività dedicata alla Madonna dell’Incoronata. Un evento che coinvolge l’intero paese di Santa Croce di Magliano e che è raccontato anche da opere letterarie, come il poema dialettale d’inizio Novecento di Don Raffaele Capriglione U luteme sabbete d’abbrile.
Un tessuto di pasta filata: le caratteristiche di questo formaggio unico
La curiosa forma di tessuto intrecciato rende la Treccia di Santa Croce di Magliano un formaggio immediatamente riconoscibile. In particolare, è facile rimanere affascinati dall’arte e dalla cura racchiusa in ogni suo dettaglio, come il disegno della trama e gli sfilacci all’estremità, che fanno pensare a una vera e propria sciarpa. Le singole pezzature sono, in genere, da 1 a 1,5 Kg, lunghe circa un metro per venti centimetri di larghezza, spesse non più di due centimetri e prive di crosta. Il colore è bianco avorio, tendente al giallo paglierino con l’avanzare della stagionatura. La pasta è compatta ed elastica, simile a quella di una scamorza, mentre il gusto è prevalentemente dolce, con una nota acidula iniziale, che lascia poi spazio all’intenso sentore di latte. Queste caratteristiche ne fanno un formaggio da assaporare in purezza, tradizionalmente accompagnato da pane casereccio e da salumi e vini locali. Un’idea stuzzicante è quella di proporlo su un tagliere insieme alle altre eccellenze casearie molisane per un vero e proprio viaggio tra i sapori di questa regione.
Come si ottiene la “treccia”?
La Treccia di Santa Croce è un formaggio di lunga e complessa realizzazione. Si parte dal latte bovino crudo al quale viene unita la cosiddetta “zizza”, ovvero il siero-innesto derivante dalla lavorazione del giorno prima. Dopo aver scaldato tutto in una caldaia d’acciaio fino a 35-40 °C, si aggiunge il caglio. Si attendono quindi 30-35 minuti, affinché la cagliata raggiunga la consistenza ottimale, quindi si procede a romperla e la si trasferisce in un recipiente più piccolo. Qui viene ricoperta, un po’ alla volta, col siero portato a ebollizione e la si lascia così a maturare per 3-4 ore, poi si tagliano strisce di pasta di circa mezzo centimetro di spessore, che subiscono un passaggio in acqua bollente all’interno di una bacinella d’acciaio.
A questo punto interviene il casaro, che rimesta il tutto fino a ottenerne un’unica massa destinata quindi alla filatura, da cui si ricavano lunghe strisce sottili di pasta, passate in salamoia e infine adagiate su tavoli ricoperti da tovaglie di cotone dette “tumbagne”. In questa fase è importante girare i fili di pasta su ambo i lati, in modo da renderne uniforme sia il colore sia la consistenza. L’atto finale è pura arte manuale, quella di chi, con pazienza, esperienza e dedizione, crea il tipico intreccio che richiama uno scialle o una sciarpa.
Una volta ottenuta la tradizionale forma, la treccia può essere consumata fresca oppure lasciata stagionare in appositi ambienti per un massimo di 6-7 giorni.
Treccia di Santa Croce di Magliano: nel nome tutta la tradizione e la cultura di un territorio
Questo formaggio porta già nel nome la precisa indicazione del territorio d’origine. È infatti nell’omonimo comune molisano, in provincia di Campobasso, che si è diffusa la sua preparazione. Il contesto è quello delle colline comprese tra le valli del torrente Tona e del fiume Fortore, in un’area direttamente confinante con la Puglia. La storica vocazione agricola e la dedizione all’allevamento della popolazione autoctona, unita alla cultura delle paste filate, molto radicata nel Sud Italia, ha indubbiamente favorito la nascita e la diffusione di questo autentico manufatto d’arte casearia, riconosciuto come PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) dal MIPAAF. Il resto lo hanno fatto la devozione religiosa e la credenza di doversi ingraziare San Giacomo come atto di buon auspicio per il raccolto dell’anno a venire. Nel corso degli anni molte famiglie locali si sono infatti dedicate alla realizzazione della treccia come ornamento per sé e per il proprio bestiame. Oggi sono poche aziende agricole a portare avanti la tradizione di quella che resta una produzione piuttosto di nicchia, con circa 1000 Kg all’anno. Per questo motivo la Treccia di Santa Croce di Magliano è stata inclusa nel progetto Arca del Gusto di Slow Food, dedicato alla tutela e alla valorizzazione dei prodotti simbolo della cultura enogastronomica del territorio a rischio di scomparsa.
Anche voi siete rimasti affascinati dalla Treccia di Santa Croce di Magliano?
Immagine in evidenza di: turismoinmolise/facebook.com