Il latte è uno degli alimenti “base” della dieta di molte persone, e infatti viene consumato da quasi tutte le fasce d’età, e non solo dai più piccoli. Eppure, spesso, non tutti quando lo acquistano conoscono la differenza tra latte pastorizzato, fresco, sterilizzato e così via. Dovete sapere, infatti, che il latte che arriva sulle nostre tavole, una volta munto, viene raffreddato e poi trasferito negli stabilimenti, dove viene sottoposto a diversi trattamenti termici: questi servono a ridurre la carica microbica, ma influenzano anche le caratteristiche qualitative del prodotto finito. Andiamo a vedere insieme, in questo articolo, quali sono questi trattamenti, in cosa differiscono e come in seguito viene classificato il latte in commercio.
Definizione di latte: cosa intendiamo esattamente?
Il Reg 583/04, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale, definisce così il latte crudo: “il latte prodotto mediante secrezione della ghiandola mammaria di animali di allevamento che non è stato riscaldato a più di 40º C e non è stato sottoposto ad alcun trattamento avente un effetto equivalente.”
Ma cosa significa questa definizione? In pratica, successivamente alla mungitura, il latte crudo viene conservato tra i 4 e i 6° C, per poi essere inviato alle centrali del latte, dove subisce una serie di trattamenti e viene imbottigliato, per poi essere venduto alle catene di distribuzione o nei caseifici, in cui è trasformato in gustosi formaggi e prodotti lattiero-caseari. Si precisa, però, che quando si parla di “latte”, si fa comunemente riferimento al latte vaccino, mentre per tutti i tipi che derivano da altri animali è necessario specificare il nome della specie d’origine.
Focalizzando questo articolo sul latte da bere, vediamo di seguito quali sono i trattamenti termici cui viene sottoposto il prodotto in questione.
I trattamenti termici del latte: l’azione del calore per ridurre la carica microbica
Esistono diverse tecnologie, usate nell’industria alimentare, che influiscono sulla sicurezza degli alimenti che vengono consumati giornalmente: tra queste, l’uso delle alte temperature è uno dei processi più usati e conosciuti.
In modo molto semplice, possiamo dire che il latte può subire due trattamenti termici: la pastorizzazione e la sterilizzazione. La scelta di usare la temperatura di uno dei due metodi dipende molto dalla carica microbica di partenza del latte crudo inviato alle centrali del latte: più questo presenta una elevata contaminazione, più il trattamento termico sarà drastico. Vediamo insieme le differenze.
La pastorizzazione
Il processo di pastorizzazione avviene a temperature definite “blande”: in questo caso, quindi, l’effetto della temperatura è di eliminare la maggior parte della carica microbica. Non agisce, però, sui microrganismi sporigeni, che sono quelli che possono causare dei rischi per la salute del consumatore: essendo più resistenti, vengono invece eliminati solo con il processo di sterilizzazione, che vedremo più avanti. Tuttavia, è importante dire che il latte pastorizzato è igienicamente sicuro: ha una flora microbica ridotta e, come specificato nel precedente paragrafo, la materia prima di partenza risulta – da analisi microbiologiche di laboratorio – di buona qualità e idonea per poter subire questo tipo di trattamento termico.
Inoltre, si evidenzia che il latte pastorizzato si conserva per un tempo più breve, ma a favore di una migliore qualità: mantiene più o meno intatte le sue caratteristiche chimico-fisiche e sensoriali di origine, perché generalmente la temperatura di pastorizzazione è inferiore ai 100° C. Tuttavia, le temperature e i tempi di pastorizzazione possono variare, e per questo si classificano 3 tipi di latte di qualità differente:
- latte fresco pastorizzato, trattato termicamente a 72° C (alcune volte fino a 80°C), con variazione del tempo di trattamento. Questo latte è pastorizzato entro le 48 ore dalla mungitura, con minima perdita delle sue caratteristiche sensoriali;
- latte fresco pastorizzato di alta qualità, che deve possedere dei requisiti fissati per legge (D Leg 185/91): è quel latte che, all’origine, presenta le migliori caratteristiche microbiologiche, perché il trattamento termico è ridotto di 2° C rispetto al latte fresco ed è quindi sensorialmente superiore;
- latte pastorizzato, è riscaldato a temperature superiori degli 80° C per pochissimi secondi; qui, si ha una maggiore perdita dei composti sensoriali d’origine.
Questa classificazione viene fatta anche in base alla diversa percentuale di sieroproteine ancora presenti dopo la pastorizzazione: si tratta di quelle proteine che diminuiscono in funzione della temperatura, determinando quindi la qualità del prodotto. Per questo, quindi, un latte può essere definito:
- di “alta qualità” con un contenuto di sieroproteine non inferiore al 15,5 % delle proteine totali;
- “fresco pastorizzato”, se le sieroproteine non sono inferiori al 14 % delle proteine totali
- per finire un latte è “pastorizzato”, se le sieroproteine presenti non sono inferiori all’11 %.
La sterilizzazione e il latte UHT
Come abbiamo anticipato, il processo di sterilizzazione, invece, prevede l’uso di temperature elevate, superiori ai 100° C.
Il latte trattato a queste temperature, generalmente intorno ai 135° C per 1-2 secondi, può essere distinto in base alle modalità cui viene esposto al calore, come:
- il latte sterilizzato, cioè quel latte che viene trattato termicamente quando già si trova all’interno della confezione.
- il latte sterilizzato UHT (ultra high temperature), che invece raggiunge le temperature di sterilizzazione privo, però, di confezione; una volta trattato, quindi, si prevede il confezionamento in contenitori asettici (privi di contaminanti).
In entrambi i casi, si avrà un prodotto a lunga conservazione: infatti, il termine minimo di conservazione varia tra i 3-6 mesi; inoltre, possono essere conservati – con confezione ancora non aperta – a temperatura ambiente e lontani da fonti di luce.
L’estremo riscaldamento del latte, però, se da un lato rende il prodotto sterile e sicuro perché privo di microrganismi e delle loro spore, dall’altro ne modifica, purtroppo, l’aspetto chimico-fisico e nutrizionale. Le sieroproteine si denaturano, e si ha dunque una perdita del complesso vitaminico e un imbrunimento del prodotto, con conseguente gusto di “cotto”.
In ogni caso, dopo aver acquistato il latte, che si sia scelto un latte a lunga conservazione o un latte fresco, si deve sempre fare attenzione a come conservarlo correttamente ed entro quale tempo consumarlo.
Voi, lettori, quale tipologia di latte preferite bere?