Secondo l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, è una tradizione “che ha modellato le relazioni tra comunità, animali ed ecosistemi”: si tratta della transumanza, un’antica pratica pastorale che dal 2019 è diventata Patrimonio immateriale UNESCO. La sua storia si snoda tra i millenni, sopravvivendo ancora oggi in alcune zone del nostro Paese, e ci ha lasciato in eredità molti tra i prodotti tipici più diffusi e amati, come il pecorino Canestrato di Castel del Monte, la Pezzata di Capracotta o lo Strachitunt DOP.
Curiosi di saperne di più? Scopriamo insieme in cosa consiste la transumanza, com’è cambiata nel corso del tempo e a quali indimenticabili pietanze ha dato vita.
Qual è il significato della transumanza, la tradizione pastorale patrimonio UNESCO
Il termine “transumanza” deriva dal latino trans, “attraversare”, e humus, che significa “terra”. Questa pratica consiste nel migrare le greggi (soprattutto di ovini) da un pascolo all’altro in base alle stagioni, dalle alture di montagna alle zone collinari e pianeggianti vicine al mare, tramite i tratturi, vie erbose che permettevano al bestiame di rifocillarsi facilmente durante il tragitto.
La transumanza prevede due momenti:
- la monticazione, che è la prima fase e inizia in primavera. All’arrivo della bella stagione, le greggi vanno in alpeggio – migrano cioè dalla pianura ai pascoli d’alta quota, verso temperature meno calde e afose;
- la demonticazione, il viaggio inverso di discesa dall’alpeggio, che avviene invece in autunno e vede il ritorno degli animali in pianura.
L’obiettivo era (ed è tuttora) quello di assicurare agli animali il pascolo migliore durante tutto l’arco dell’anno. Pertanto in estate, quando l’erba dei prati in pianura è seccata dal sole, il bestiame viene guidato verso pascoli più freschi in montagna. Al contrario, in autunno, quando i pascoli montani iniziano a essere coperti dalla neve, gli animali sono condotti verso le pianure, dove i prati tornano a rinverdire dopo la calura estiva.
A oggi, la pratica della transumanza si divide in due tipi: quella orizzontale – che avviene nelle regioni pianeggianti o di altopiano, e prevede il passaggio dalle zone collinari a quelle più vicine al mare –, e quella verticale, più tipica nelle aree montuose, in cui le mandrie si spostano dai pascoli a bassa quota fino a quelli in alta quota.
Prima di vedere nel dettaglio cos’è diventata oggi la transumanza in Italia, approfondiamo la sua storia, da dove è nata questa tradizione e come si è evoluta nel tempo.
Tra storia e tradizione: com’è nata (e come si è trasformata) la transumanza
La transumanza ha una storia millenaria che affonda le sue radici in epoca preistorica, e si è sviluppata in diverse zone dell’Europa – da Italia, Spagna, Francia meridionale e Svizzera, fino all’area sud della Germania e dei Balcani, compresa la Grecia.
Già in epoca romana lo storico Fabio Pittore (III secolo a.C.) la descriveva come un’usanza dai Sanniti, che Roma fece propria fino a rendere il settore della pastorizia uno dei più redditizi dell’Impero. Con la caduta di Roma, tuttavia, l’allevamento ovino venne progressivamente abbandonato: nel periodo dell’alto medioevo, i ricoveri per gli animali sui tratturi si trasformarono in abitazioni per le persone. Una rinascita dell’agricoltura mista e della pastorizia avvenne grazie all’opera dei monaci benedettini, ma fu solo nel 1447, con l’istituzione da parte del re di Napoli Alfonso d’Aragona della Regia Dogana della mena delle pecore, a Foggia, che i tratturi assunsero di nuovo un ruolo fondamentale come vie di comunicazione e scambio di merci e idee.
Allora e fino ai primi del ‘900, la transumanza prevedeva che i pastori viaggiassero e si spostassero insieme alle loro greggi per la gran parte dell’anno, restando lontani da casa per mesi interi. Oggi, questa pratica si è notevolmente ridotta, sebbene in alcune zone – Italia compresa, come vedremo – sopravvivano le modalità di transumanza orizzontale e verticale.
La transumanza in Italia oggi
Nel nostro Paese la transumanza ha avuto lunga vita nelle aree montane, dal Nord (zone alpine e prealpine di Valle d’Aosta, Piemonte, Liguria e Trentino Alto Adige) fino alle zone montuose dell’Appennino (Abruzzo, Molise, Lazio) e in Sardegna e Sicilia, dove è tuttora praticata nella zona delle Madonie.
Uno dei tratturi più famosi è quello Pescasseroli-Candela, che si estende per oltre 200 chilometri dall’Abruzzo alla Puglia. Proprio in questi territori, tra il XVI e XVII secolo, le pecore che scendevano in Puglia raggiunsero oltre 4 milioni di capi.
L’emergere della zootecnia moderna e dell’allevamento intensivo in impianti dedicati (stalle, impianti di foraggiatura, mungitura e refrigerazione del latte) ha avuto un notevole impatto su questo tipo di attività. Nelle zone montane dell’Abruzzo aquilano, ad esempio, la transumanza sopravvive ancora oggi soltanto nella modalità verticale: gli ovini vengono portati in alpeggio durante la stagione estiva, mentre nel periodo invernale vengono tenuti in stalla.
Il riconoscimento UNESCO, un valore di storicità e biodiversità
Il programma UNESCO che mira a proteggere e preservare pratiche culturali e tradizioni ha riconosciuto la transumanza come “Patrimonio culturale immateriale dell’umanità” nel 2019, a seguito di una candidatura transnazionale presentata da Italia, Austria e Grecia.
Questo traguardo ne sottolinea il valore non solo come pratica agricola, ma anche come parte integrante dell’identità di molte comunità. Non solo: ne tutela il ruolo in termini di biodiversità e la sostenibilità ambientale, dal momento che la transumanza riesce a mantenere il più possibile inalterati i paesaggi naturali in cui avviene, prevenendo la crescita eccessiva degli arbusti grazie al pascolo.
Si tratta, inoltre, di una forma di allevamento estensivo che rispetta i ritmi naturali degli animali e dell’ambiente, seguendo l’andamento delle stagioni. Questo approccio riduce la necessità di input esterni come fertilizzanti e mangimi concentrati, che hanno un impatto ambientale significativo. Ultimo ma non meno importante, poi, il letame prodotto dal bestiame durante la transumanza è fonte di nutrimento per il suolo.
Il riconoscimento da parte dell’UNESCO è stato quindi fondamentale per valorizzare e proteggere queste pratiche, assicurando che siano rispettate e trasmesse alle generazioni future.
Dalla cucina dei tratturi alla nostra tavola: i piatti tipici della transumanza
Per secoli, i pastori hanno condotto le loro greggi in regioni dal clima più mite, intraprendendo un viaggio che si concludeva in primavera, quando il bestiame ritornava ai pascoli nativi. Il viaggio era spesso duro, molto lungo, ma rappresentava anche un momento di scambio e condivisione di usi, abitudini e tradizioni culinarie. Dalla necessità di creare piatti nutrienti, facilmente conservabili e trasportabili, sono nate una serie di ricette uniche che resistono ancora oggi, a testimonianza vivente del duro lavoro e della creatività dei nostri antenati pastori.
Dal Gargano alla Basilicata, passando per Abruzzo, Sicilia e Sardegna, scopriamo i piatti che hanno accompagnato i pastori nei loro viaggi lungo i tratturi!
Musciska
Alimento amato dai mandriani della Puglia, soprattutto quelli del Gargano e dell’Alta Murgia. Si tratta di carne di capra, tagliata in strisce ed essiccata all’aria aperta per un mese e poi condita con spezie, tra cui peperoncino e finocchietto selvatico. Oggi, la Musciska è un prodotto riconosciuto Slow Food.
Il bollito dei pastori
Questa ricetta tipica della Basilicata con carne di agnello è un pilastro della tradizione agro-pastorale. La carne viene tagliata a pezzetti e bollita con cipolla, pomodori, peperoncino, alloro e patate. Il sugo che ne deriva era spesso usato per condire la pasta.
Pecora alla callara (o “alla cottora”)
La pecora alla callara (o “alla cottora”, nell’Abruzzo aquilano), piatto tipico delle regioni montane dell’Abruzzo, è una variante del classico bollito, in cui si utilizza però la carne di pecora, insaporita con vari ingredienti tra cui sedano, cipolla, aglio, vino bianco, alloro e ginepro. Questa ricetta nasce dalla necessità dei pastori di non sprecare la carne delle pecore impossibilitate a proseguire il cammino dei tratturi.
Tagano
Il tagano è uno sformato di pasta molto comune nella zona di Aragona, in Sicilia. La ricetta richiede una grande quantità di ingredienti tra cui rigatoni, carne tritata, diversi formaggi, piselli, pepe nero, cannella e zafferano. La tradizione vuole che il tagano venisse cotto in un vaso di terracotta, con gli ingredienti disposti a strati.
Zuppa Gallurese
La zuppa gallurese, una specialità dell’omonima zona in Sardegna, è una sorta di lasagna fatta con strati di pane, pecorino, carne mista e spezie. Viene cotta al forno e può essere realizzata con pane raffermo o pane carasau, un tipo di pane sottile e croccante tipico dell’isola.
La torta del pastore
La torta del pastore è una ricetta a base di carne e patate diffusa in quelle regioni in cui la transumanza era una tradizione viva. Al di là delle singole differenze, queste preparazioni hanno tutte in comune un’origine umile, guidata dal desiderio di utilizzare gli avanzi.
In Abruzzo ne esiste anche una variante dolce, chiamata “la pizza del pastore”: è un soffice impasto a base di farina, uova, zucchero, semi di anice e patate. Tradizionalmente, era preparato per celebrare la partenza o il ritorno dei pastori, rendendo questo dolce non solo una delizia per il palato, ma anche un simbolo di accoglienza.
Pancotto
Diffusissimo in tante regioni italiane, il pancotto è un piatto semplice realizzato con pane raffermo cotto in acqua e poi condito. A variare da zona a zona è principalmente il condimento (che prevede anche aggiunta di pomodori, patate o spezie) e il metodo di cottura del pane. Le sue origini sono molto antiche – se ne parla già nel I secolo d.C. e nel corso dei secoli questo piatto ha subito moltissime rivisitazioni –, diventando l’emblema della cucina pastorale povera.
Conoscevate la transumanza e i piatti tipici che ci ha regalato?
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