Con l’approvazione della legge di Bilancio 2020, dal mese di ottobre di quest’anno sarà introdotta la sugar tax (tassa sulle bibite zuccherate), uno strumento di politica fiscale che, almeno in linea teorica, dovrebbe essere utile nel contrasto dell’obesità e delle patologie a essa associate. Criticata o auspicata a seconda delle posizioni politico-ideologiche, ha subito diviso l’opinione pubblica, in maggioranza contraria al provvedimento, visto soprattutto come un espediente del governo per fare cassa. Ma è giusto condannarla a priori? Cosa prevede, che risultati può dare e come funziona negli altri Paesi che l’hanno adottata? Dopo esserci occupati di tasse sul cibo spazzatura, cercheremo di rispondere a tutte queste domande.
Sugar tax approvata in Italia: al via da ottobre
Negli ultimi mesi si è parlato molto di sugar tax in Italia, probabilmente la misura più controversa nell’ambito della formulazione dell’ultima manovra finanziaria. La tassazione sui prodotti ricchi di zuccheri, come vedremo, interessa molte nazioni nel mondo, ma nel nostro Paese sembra aver incontrato una resistenza più tenace da parte della politica e dei cittadini, certamente anche alla luce di un’imposizione fiscale già gravosa da parte dello Stato. L’iter parlamentare conclusosi con l’approvazione, non a caso, ha prodotto un provvedimento alleggerito nei contenuti e posticipato nei tempi di avvio, in seguito all’impegno di diverse forze politiche per ridurne l’impatto su una parte della filiera agroalimentare.
Fin da subito, infatti, i produttori di bibite e buona parte del settore agroalimentare italiano avevano espresso la loro netta contrarietà, come per l’ipotesi di una tassa sulla carne rossa, lamentando la combinazione tra plastic e sugar tax, che genererebbe un doppio prelievo sulle bevande analcoliche in confezioni di plastica monouso, la maggioranza di quelle sul mercato. La conseguenza inevitabile, secondo le aziende, sarebbe un rincaro dei prezzi finali pagati dai consumatori.
Sugar tax: valore economico e reazioni politiche
Secondo le stime, la sugar tax in Italia, nella sua versione definitiva, produrrebbe un gettito di 233 milioni di euro nel 2020, 261 l’anno successivo e 256 nel 2022, cifre non particolarmente significative per il bilancio statale, ma additate dai detrattori della tassa specialmente sul piano simbolico. A esprimersi con toni fortemente negativi, infatti, sono stati esponenti di primo piano sia dell’opposizione che della maggioranza.
Dal punto di vista economico, chi si è detto contrario alla sugar tax teme ripercussioni su importanti realtà nazionali e multinazionali, a partire dal gruppo Coca-Cola, che in Italia ha cinque stabilimenti, vale 813 milioni di euro l’anno, dà lavoro a 26mila persone e sostiene un indotto considerevole di partner commerciali e imbottigliatori. Il colosso statunitense, da parte sua, ha minacciato di bloccare gli investimenti nel nostro Paese.
Cosa prevede la sugar tax in Italia?
La sugar tax italiana stabilisce un’aliquota unica di 10 centesimi al litro per le bibite che contengono più di 25 grammi di zucchero su 1000 millilitri, dato che corrisponde a circa 3 centesimi per una lattina da 330 millilitri. In questa fascia, rientrano gran parte dei soft drink in commercio, anche se l’imposta non è progressiva, e l’unico parametro di applicazione resta la soglia appena citata. Come altri esempi simili nel mondo, questo provvedimento dovrebbe essere concepito per spingere le aziende a diminuire le dosi di zucchero, del quale soprattutto i bambini spesso abusano, esponendosi a danni sulla salute, a partire dall’obesità.
Come sappiamo, però, in Italia prima di discutere di sugar tax il governo aveva ipotizzato una tassa sulle merendine, quindi più generalizzata su un’ampia gamma di prodotti ipercalorici. Ma perché, allora, si è scelto di concentrarsi solo sulle bibite? Si tratta di un passaggio interessante, che ha optato per un allineamento rispetto ai provvedimenti analoghi già adottati nel mondo, peraltro seguendo le indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità, che indica le bevande zuccherate tra le principali responsabili di obesità e diabete, nonché in grado di innescare una sorta di dipendenza. Una sola lattina, infatti, può contenere 30-40 grammi di zucchero, corrispondenti a 8-10 cucchiaini, dosaggio spropositato considerando le linee guida dell’Oms, che per un adulto consigliano di non superare mai i 50 grammi al giorno, e di limitarsi a 25 (5-6 cucchiaini) per ottenere benefici per la salute.
La comunità scientifica è favorevole
Se la sugar tax divide la politica e l’opinione pubblica, non si può dire lo stesso per il mondo scientifico. Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, le imposte sulle bevande zuccherate sono efficaci per contrastare obesità, carie e diabete di tipo 2, una posizione fortemente sostenuta dal 2016, quando uno studio indicava chiaramente questa strada, suggerendo un aumento del prezzo finale di almeno il 20% per disincentivare il consumo, specialmente da parte dei bambini. Contemporaneamente, si proponevano sussidi per calare il prezzo di frutta e verdura del 10 e 20%. Oltre a questa pubblicazione, sono molte le ricerche di taglio economico che suggeriscono di adottare misure simili, seppure con impostazioni e interventi differenziati.
Concentrandosi sul caso italiano, è da segnalare un appello lanciato da Il Fatto Alimentare a favore della sugar tax sulle bevande zuccherate, sottoscritta da società scientifiche, medici e nutrizionisti. Per evitare che il provvedimento sia vissuto come un mero espediente per contribuire ai bilanci statali, però, si sottolinea l’importanza di destinare le risorse raccolte per sostenere campagne di educazione alimentare.
[elementor-template id='142071']Sugar tax in Europa: come sta funzionando?
Per valutare meglio l’opportunità della sugar tax – oggi applicata in 39 Paesi nel mondo – può essere utile un raffronto con le casistiche europee dove questa misura è una realtà ormai consolidata. Molte nazioni, infatti, l’hanno adottata per affrontare il dilagare della cosiddetta “diabesità”, nonché un consumo di zucchero talvolta superiore a quello italiano. In Europa – intesa anche al di là degli Stati membri Ue – questo provvedimento oggi è in vigore in: Francia, Regno Unito, Irlanda, Belgio, Portogallo, Catalogna (Regione autonoma), Norvegia, Finlandia, Ungheria, Estonia e Lettonia. Qui di seguito presenteremo alcuni dei casi più significativi ed emblematici.
Francia
In Francia la soda tax è entrata in vigore nel 2012, durante la presidenza di Nicolas Sarkozy. Inizialmente, prevedeva un prelievo di 7,5 euro ogni 100 litri per tutte le bevande zuccherate, compresi i succhi di frutta. I duri attacchi dei produttori non hanno frenato l’iniziativa, che ha portato all’aumento dei prezzi delle bevande. Nel 2018 la tassa è stata modificata in senso progressivo in base al contenuto di zucchero – partendo da un minimo di 3 centesimi a litro per le bevande sotto i 10 grammi, fino a un massimo di 23,5 centesimi a litro per quelle sotto i 150 – con l’obiettivo primario di spingere le aziende a riformulare le ricette, oltre a orientare i consumatori verso scelte più sane. Nella sua seconda versione, la sugar tax francese si è rivelata più efficace, tanto che diversi produttori hanno effettivamente rivisto le composizioni, ma in termini strettamente economici pare che i rincari siano ricaduti soprattutto sui consumatori. Le stesse bibite di alcuni dei marchi più noti in commercio, ad ogni modo, in Francia oggi contengono meno zucchero che in Italia.
Regno Unito
Nell’aprile 2018 la Gran Bretagna ha introdotto la “Soft drinks industry levy”, in vigore sulle bevande analcoliche o poco alcoliche, imbottigliate o solubili. La misura prevede due aliquote: 20 centesimi al litro tra i 50 e gli 80 grammi di zucchero e 27 oltre gli 80 grammi. Anche in questo caso, l’intervento mirava a convincere i produttori ad abbassare le dosi nelle bibite per evitare l’imposta. In buona parte così è stato, infatti, secondo il governo inglese, metà delle aziende le ha ridotte, per una quantità annua totale di circa 45 mila tonnellate. Oggi i soft drink venduti in Inghilterra sono meno zuccherati sia di quelli italiani che di quelli francesi.
Portogallo
La sugar tax portoghese ha fatto il suo debutto nel 2017, aggiungendo 8,22 euro ogni 100 litri per le bevande con meno di 80 grammi di zucchero per litro, mentre per quelle con più di 80 grammi si sale a 16,46 euro. Ciò significa che una lattina da 330 millilitri può subire un aumento di circa 5 centesimi. La tassa non viene applicata sulle bevande zuccherate a base di latte o succo di frutta.
Ungheria
Un altro caso interessante è quello dell’Ungheria, dove nel 2011 è stata introdotta una tassa ad aliquota variabile, dal 5 al 20%, sui cibi ricchi di zucchero o sale (snack confezionati, soft drinks e dolciumi vari). Del resto, si doveva fronteggiare una situazione che vedeva questo Paese primeggiare nel mondo industrializzato nella triste classifica della mortalità dovuta a malattie cardiovascolari e cancro, con circa due terzi degli adulti obesi o sovrappeso. Nel consumo pro capite di sale, inoltre, gli ungheresi sono primi in Europa. La tassa sembra aver dato buoni risultati, riducendo l’acquisto di cibi spazzatura, ottenendo preparazioni più salutari da parte delle industrie alimentari e incassando cifre notevoli da investire nella sanità.
Danimarca
Nel più meridionale dei Paesi scandinavi un’imposta sullo zucchero esisteva dagli anni Trenta, mentre una sua versione “moderna” e specificamente studiata per migliorare l’alimentazione, la fat tax, era stata introdotta nel 2011. Nel 2013 quella sui soft drink prevedeva un’accisa di 22 centesimi a litro per le bibite zuccherate, e quella sui grassi colpiva indistintamente tutti i prodotti con un contenuto superiore al 2,3% di questi nutrienti.
Nel 2014, però, entrambe sono state eliminate, perché i danesi continuavano ad acquistare gli stessi prodotti nelle vicine Germania e Svezia, senza aver cambiato significativamente le proprie abitudini e causando un danno all’economia nazionale. A oggi, la Danimarca è l’unico Paese europeo ad aver introdotto e poi cancellato provvedimenti di questo tipo.
Sugar tax in Italia: effetti e confronto con gli altri casi europei
Dopo aver citato alcune diverse casistiche in Europa, è evidente che non esiste un unico modello di sugar tax. In generale, tuttavia, la diminuzione degli zuccheri nelle ricette è considerata la scelta migliore nell’immediato per tutelare la salute, e in questo senso i provvedimenti in vigore in Francia e Regno Unito si sono rivelati piuttosto efficaci. Anche se in linea di principio in Italia si è optato per questa politica, la sugar tax italiana pecca per avere un’unica aliquota oltre i 25 grammi/litro (soglia di applicazione dell’imposta), limite peraltro troppo basso per incentivare efficacemente una riduzione dello zucchero da parte dei produttori, alla luce della composizione attuale delle bibite, pari a circa 100 grammi per litro.
Essendo pressoché inevitabile per i produttori, di conseguenza, la tassa italiana potrà essere utile per raccogliere denaro e ridurre leggermente i consumi – volendo seguire la via dell’aumento dei prezzi, l’Oms suggerisce incrementi ben superiori, di almeno il 20% – ma probabilmente non sarà molto efficace per rendere le bibite più salutari. La versione italiana, al momento, sembra quindi una sorta di ibrido tra alcune delle diverse misure citate precedentemente: fissa un limite troppo restrittivo per essere ottimale nel senso della riformulazione delle ricette, e determina un aumento di prezzo troppo basso per disincentivare l’acquisto di bibite.
Ad ogni modo, l’introduzione di una sugar tax non deve scandalizzare e andrebbe valutata con meno superficialità dalle forze politiche e dall’opinione pubblica, alla luce delle esperienze già avviate nel mondo, e soprattutto dei danni alla salute e dei costi pubblici dovuti agli eccessi di zucchero. Escluso il caso particolare della Danimarca, peraltro, in nessuno dei Paesi dove è stata introdotta ha causato danni economici ai produttori e all’indotto. Affidarsi solo ai piani di educazione alimentare, evitando la tassazione, non può produrre gli stessi risultati di un’azione coordinata, che si avvalga anche di una politica fiscale equa e ben strutturata.
Cosa ne pensate dell’introduzione della sugar tax in Italia?
Fonti:
Organizzazione mondiale della Sanità
Gov.Uk
The Guardian
Data Room – Corriere della Sera
Il Fatto Alimentare