Le belle storie nascono spesso per caso, ma per andare avanti, poi, hanno bisogno di una buona dose di volontà e di cuore, un pizzico di fortuna e, ovviamente, tanto talento. Così è nata la storia di Squiseat, da una semplice chiacchierata tra quattro amici attorno a un tavolo in un pub, Alberto Drusiani, Luca Morosini, Gabriele Calarota e Ossama Gana. L’idea è diventata poi un progetto, che si è concretizzato prima in un gruppo su WhatsApp, successivamente in uno su Telegram e, infine, da qualche mese, in una vera e propria app anti spreco. Ma di cosa stiamo parlando?
Squiseat è una start up 100% bolognese che, come suggerisce il nome stesso, unisce il cibo ‘squisito’ alla possibilità di poterlo mangiare, acquistando al 50% del prezzo prodotti che altrimenti rimarrebbero invenduti e andrebbero quindi buttati. Tutto questo a dimostrazione di quanto la tecnologia e un’imprenditoria giovane e smart possano essere una buona spinta per affrontare – e trovare soluzioni – ad alcuni dei grandi problemi del nostro secolo, in questo caso a quello dello spreco alimentare nel settore ristorativo (ma non solo, come scopriremo).
Un percorso che ha portato “quattro amici al bar” – come canterebbe qualcuno – a vincere svariati premi come start up innovativa e a sviluppare una piattaforma funzionante e di successo: ecco perché abbiamo deciso di raccontarvi la loro storia, grazie a una chiacchierata con Alberto Drusiani, CEO di Squiseat.
Squiseat, com’è nata la start up bolognese contro lo spreco alimentare
Che lo spreco alimentare sia un problema attualissimo e urgente è cosa nota. Non solo in termini di sostenibilità ambientale ma anche economici, come abbiamo visto dai dati della ricerca Samsung relativi al “valore economico” del cibo buttato dalle famiglie italiane. Ed è un problema che riguarda più livelli: la filiera produttiva, la ristorazione e l’ambiente domestico.
Proprio sul secondo livello – almeno per il momento – hanno deciso di concentrarsi i quattro ragazzi che hanno fondato Squiseat, start up innovativa e piattaforma anti spreco. Ma facciamo un passo indietro. Com’è nata questa realtà?
“Siamo partiti a inizio 2019 con l’idea, quando eravamo tutti e quattro tutti appena laureati in Informatica” inizia a raccontarci Alberto Drusiani. “Ogni anno l’Università di Bologna organizza lo StartUp Day in collaborazione con Almacube, l’incubatore di start up e imprese dell’Università. Quindi, quando ci è arrivata la mail dell’evento, abbiamo pensato: perché non presentare una proposta?”.
Il piano era semplice, almeno sulla carta: mettere insieme le loro competenze digitali per risolvere il problema dello spreco alimentare nel settore ristorativo che, come ci spiega Alberto, nel 2019 non era così attuale a livello italiano. “Mentre studiavo, ho lavorato come cameriere di catering, e ogni volta che finivo il servizio mi toccava poi buttare via parecchio cibo. Quindi, ho detto ai miei compagni: ragazzi, sapete che c’è questo problema? Proviamo a pensare a un marketplace in cui vendere questi prodotti a metà prezzo: il locale è contento perché ci guadagna, noi siamo contenti perché prendiamo le commissioni e il pianeta è contento perché salviamo del cibo. Dov’è il lato negativo?”
Ma torniamo allo StartUp Day. L’idea viene selezionata tra le 30 migliori proposte e i ragazzi cercano di capire come validare una start up di successo nonostante le difficoltà: “zero capitale iniziale, ma solo tanta voglia e tempo” dice ridendo Alberto.
La prima soluzione è utilizzare una piattaforma gratuita e capillare, ed è così che pensano subito a WhatsApp. “Siamo partiti con un gruppo con quei venti amici e parenti e una rosticceria. Una volta alla settimana il locale ci comunicava le rimanenze (10 lasagne, 8 rosette, 5 cannelloni…) sulla base delle quali noi componevamo il menu che riportavamo sul gruppo WhatsApp con tanto di prezzi dicendo: ‘Se lo volete, scriveteci l’indirizzo in privato che ve li portiamo addirittura a casa’”.
[elementor-template id='142071']Da WhatsApp a Telegram: la tecnologia come strumento per validare nuovi strumenti di business
A settembre 2019 arriva un premio importante e il gruppo WhatsApp si popola al punto da superare i limiti imposti dalla piattaforma. Così i ragazzi decidono di trasferirsi su Telegram, “Abbiamo scelto questa piattaforma perché permette di programmare dei BOT automatizzati, e noi ne abbiamo sviluppato uno che funzionasse da e-commerce dentro una piattaforma di messaggistica. In pratica, prendeva le ordinazioni automaticamente e questo ci ha semplificato il lavoro. Così abbiamo portato avanti il business continuando a validare il modello grazie alla potenza della tecnologia”.
Sempre nell’autunno del 2019, nasce la vera e propria società di start up innovativa. Come funziona? “Noi vendiamo i prodotti al 50% in meno del prezzo di listino: i clienti possono sceglierli e prendiamo una commissione sul venduto. Il locale quindi non ha costi di ingresso o costi fissi ricorrenti, come degli abbonamenti, ma semplicemente una commissione che rimane più bassa rispetto a quella di altre piattaforme. Quindi, se il locale aderisce e non usa mai la nostra piattaforma, non gli costa niente, e lo stesso vale se la usa ma nessuno compra i suoi prodotti” racconta. Mentre riguardo ai clienti, Alberto ci dice: “avevamo tante famiglie affezionate che usavano il gruppo Telegram anche due volte alla settimana. Il target era proprio la famiglia che voleva il prodotto buono, che però costasse poco, e riceverlo comodamente a casa quando tornava da lavoro”.
Il numero dei locali aderenti cresceva, e i ragazzi continuavano a occuparsi personalmente delle consegne a domicilio.
L’impatto del Covid-19, tra chiusure e nuove necessità che emergono
“Come tutte le start up, parti e non è che ci guadagni. Parti che è un sogno, una forza di volontà e tempo investito” racconta Alberto. Ma il sogno viene messo a dura prova, perché a inizio 2020, poi, succede quel che sappiamo tutti. La pandemia, con le sue chiusure e restrizioni, ha messo in ginocchio il settore ristorativo. Ma proprio la tecnologia e la digitalizzazione hanno dato una mano a favore della ripartenza.
“Con il Covid-19 ci siamo fermati perché molte persone avevano ansia per le consegne. In più molti locali che collaboravano con noi hanno chiuso o magari hanno iniziato a lavorare solo su prenotazione, in questo modo non c’erano sprechi da rivendere. Abbiamo però gratuitamente messo a disposizione il nostro BOT per i locali che non utilizzavano alcuna piattaforma digitale o canali online, per vendere prodotti freschi. Volevamo dare un contributo”. Nonostante il periodo difficile, ad aprile 2020 trovano un investitore di Firenze, Nana Bianca, che prevede un investimento di capitale e permette loro di crescere. Poi, a settembre arriva un’altra svolta: decidono di rimuovere le consegne, perché non era un modello più sostenibile: “Non volevamo fare come altre piattaforme che utilizzano consegne sottopagate. Se le facciamo, vogliamo farle bene”.
Arriva l’App: come funziona Squiseat?
Alberto racconta che a settembre è stato un po’ come ripartire da capo: dopo un anno di esperienze e riflessioni alle spalle hanno iniziato a fare sul serio. “Abbiamo stilato il contratto per i locali, ad esempio. Poi abbiamo allargato il team e ora siamo in nove. Dal punto di vista del guadagno non possiamo ancora considerarlo un lavoro, ma tutti abbiamo voglia di portare avanti questo progetto. Ci dedichiamo a Squiseat full time. Io mi sento molto fortunato ad aver trovato delle persone che, dopo due anni, sono ancora qui a lavorarci a tempo pieno con la stessa voglia del primo giorno”.
A dicembre esce una prima versione di app per i locali, poi a marzo 2021 arriva invece la versione definitiva, che li svincola da Telegram. “Siamo partiti da 3 locali, ora siamo a più di 35”. Ma come funziona? Una volta scaricata ed essersi registrati, l’app, disponibile sia per iOS che per Android, permette di:
- geolocalizzarsi;
- a quel punto, visualizzare i locali che hanno prodotti disponibili in quel momento in ordine di distanza crescente, entro i 30 km;
- selezionare i prodotti al 50% del prezzo di listino e scegliere quando ritirarli in loco;
- pagare direttamente nell’app.
Un mercato ancora di prossimità, quindi, ma come racconta Alberto che sembra funzionare: “stiamo vedendo un’esplosione percentuale di ordini rispetto a marzo, perché sicuramente l’app rende tutto più appetibile”.
Squiseat a Bologna: perché fa la differenza?
Negli ultimi anni, la lotta contro lo spreco alimentare ha trovato – e continua sempre più a trovare – nell’innovazione e nella tecnologia un valido alleato. Dalle piattaforme, come Avanzi Popolo 2.0 a Bari e BitGood, che facilitano la distribuzione degli avanzi, alle vere e proprie applicazioni sviluppate da start up per aiutare ristoratori, consumatori e produttori a scambiare, donare o rivendere le eccedenze, come ad esempio Too Good To Go di cui vi abbiamo raccontato, oggi la principale app anti spreco in Europa. Nel 2019, però, quando Alberto e i compagni hanno pensato a quella che sarebbe poi diventata oggi Squiseat, ci dicono: “non sapevamo che esistessero app del genere. Come sempre accade con le idee, tu pensi: questo non lo fa nessuno, e poi in realtà scopri che lo fanno già in altri mille. Semplicemente tu devi farlo sapere meglio di loro”.
E Squiseat infatti si distingue dalle app simili. “La prima differenza è che noi facciamo scegliere il prodotto” ci dice subito Alberto. Questa piattaforma quindi va incontro a chi ha preferenze alimentari o segue diete particolari per via di intolleranze o allergie. Non c’è il rischio che lo spreco diventi domestico, perché magari quello che c’è nella scatola non piace o non si può mangiare e si butta via. Inoltre, come ci spiegano, i locali bolognesi che aderiscono a Squiseat vengono scelti accuratamente dai ragazzi secondo criteri precisi, come la qualità dei prodotti venduti: “a differenza di altre app, puntiamo sulla gastronomia, rosticceria, pasticceria o pizzeria gourmet”.
Gli sprechi alimentari nel settore produttivo: i progetti futuri di Squiseat
Oltre a combattere lo spreco che si crea nelle cucine dei ristoranti e dei locali, c’è però anche un altro aspetto da non sottovalutare, ossia quello dei prodotti che, per una ragione o per l’altra, non possono essere venduti dalle aziende e quindi vengono buttati.
“All’inizio del 2020 siamo stati contattati da un’azienda produttiva di Bologna che ci ha raccontato come il problema non sia legato solo al settore ristorativo, ma anche a quello delle industrie. All’interno dei loro magazzini hanno dei prodotti – con ancora uno o due mesi di scadenza, tutti impacchettati, quindi perfettamente tracciabili e sicuri – che non riescono più a vendere alla grande distribuzione. Abbiamo pensato: se noi vendessimo questi prodotti alla ristorazione? Abbiamo fatto questo esperimento per qualche mese in collaborazione con un’azienda che ha creduto nell’idea. A loro questi prodotti occupavano spazio in magazzino e avrebbero dovuto pagare qualcuno per lo smaltimento; noi così gli abbiamo fatto un favore e abbiamo venduto i prodotti alla metà del prezzo”.
Un innovativo modello B2B, che chiude quasi un cerchio: dagli sprechi lungo la filiera produttiva fino a quelli nei ristoranti e nei locali per arrivare alla creazione di prodotti gastronomici di qualità, fino alla tavola dei consumatori. “Per questo progetto abbiamo vinto un premio e molti investitori si sono dimostrati interessati, perché al momento non c’è nessuno che fa questa cosa in Italia. L’obiettivo finale è riuscire a vendere ai fornitori dell’altro modello. In un’unica app il ristoratore carica la lasagna da rivendere al 50% e compra, sempre al 50%, gli ingredienti per realizzarla. Sarebbe questo il nostro sogno”.
Il team di Squiseat non è rimasto – e non rimane – fermo: da un gruppo di venti persone su WhatsApp continua a progettare e a muoversi per far crescere la start up e portare avanti i valori e i sogni in cui credono. Tra questi, confessa Alberto alla fine dell’intervista, c’è anche l’idea di allargare il target e provare ad aggiungere anche una prenotazione food delivery standard, riattivando le consegne a domicilio. “L’idea è di non rimanere quindi soltanto una piattaforma di compra-eccedenze, ma diventare una piattaforma di riferimento di sostenibilità in ambito food in Italia effettuando consegne etiche. Se una persona sceglie di comprare sulla nostra app, quindi, paga leggermente di più, ma sa che sta facendo un acquisto sostenibile ed equo e i locali non hanno il 30% di commissioni, ma il 10-15%. Noi vogliamo essere totalmente trasparenti”.
Insomma, concludendo, potremmo dire in una frase che Squiseat è aiutare l’ambiente senza rinunciare al piacere della buona cucina. Oggi sono solo a Bologna, ma chissà che questi ragazzi non portino la loro grinta, il loro modello di sostenibilità – e anche un po’ di bolognesità, che non guasta – anche in altre città, per creare un futuro in cui niente vada più sprecato.