Attraverso il confronto tra diversi documenti e ricettari antichi, Francesco Antinucci (Spezie. Una storia di scoperte, avidità e lusso, Ed. Laterza) ci conduce alla scoperta di una sorprendente parabola storica lunga duemila anni, affiancando l’evoluzione del gusto e della gastronomia alle vicende politiche, sociali ed economiche dei popoli e delle nazioni che intrapresero le rotte di mare e di terra verso l’Oriente, spinti dal richiamo del forte guadagno che le spezie assicuravano.
Sua maestà il pepe
Prima spezia fra tutte a disegnare le carte della navigazione mercantile fin dall’Impero romano – sembra strano a noi contemporanei – è il pepe. Antinucci ci trasporta a bordo delle grandi “onorarie” che da Alessandria d’Egitto, città seconda solo a Roma, scendevano lungo la costa africana attraversando il Mar Rosso. Da qui il viaggio proseguiva, non senza enormi rischi, fino alle coste occidentali dell’India, che promettevano di risarcire l’Impero romano di olio di sesamo, riso, burro e un “miele di canna” chiamato “saccarum”. Che meraviglia: lo zucchero! E poi zanne d’elefante, il nardo (il profumo più prezioso dell’antichità) e, soprattutto, un’enorme quantità di pepe. Il suo valore è talmente elevato che “il viaggio viene fatto per lui, il resto è accessorio”: merce preziosa da rivendere sul ricco mercato occidentale.
Rare, “inutili” e ambitissime
Perché la storia delle spezie, dice Antinucci, è una storia che ha a che fare prima di tutto con il lusso, ovvero con oggetti e merci che diventano importanti non per il loro valore intrinseco, ma perché assumono la capacità di rappresentare lo stato di ricchezza o di potere di chi li possiede. Il pepe, ad esempio, non ha alcuna proprietà nutritiva e non può essere impiegato per la conservazione dei cibi, come invece il sale o lo zucchero. Ma i mercanti sanno che un carico di grani neri garantirà un guadagno altissimo, un valore aggiunto sorprendente per un alimento impossibile da consumare da solo, e che non varrebbe proprio nulla se in quel momento presso le case dei ricchi non fosse d’uso un sofisticato e ricercatissimo codice di utilizzo: l’arte culinaria.
Il lusso e l’arte culinaria
Offrire banchetti pieni di prelibatezze dai gusti esotici, preparate con spezie costose e difficili da reperire significa mostrare la propria ricchezza e il proprio status sociale. Ma come facciamo a sapere cosa veniva servito sulle tavole dell’impero romano? Il libro di Antinucci non è solo un resoconto storico, ma diventa in alcuni punti una meravigliosa raccolta di ricette antiche, tratte da diversi documenti pervenuti fino a noi. A partire dal De re coquinaria, un libro di cucina del I sec. d.C. attribuito al famoso gastronomo Apicio. Antinucci fa notare come la predominanza di combinazioni di agrodolce, agropiccante e dolce-salato presente nelle 464 ricette riveli una cucina dell’antica Roma sorprendentemente simile a quella cinese, e comunque assai diversa da quella odierna. La frequenza di alcuni ingredienti, inoltre, dice molto sul valore di mercato di alcuni di essi. La parola “pepe”, ad esempio, è presente ben 474 volte: praticamente in tutte le ricette!
Venezia-Istanbul: un corridoio tra due mondi
A partire dal V sec. d.C. l’Impero romano comincia a sgretolarsi sotto i colpi dei regni barbari e delle conquiste musulmane. Il mare nostrum è sempre meno nostro e sempre più rischioso, ma “il lusso non può fermarsi”, dice Antinucci, perché l’uomo, civile o barbaro che sia, non può smettere di rappresentarsi attraverso i suoi simboli. Durante il Medioevo Venezia diventa ponte e “spaccio” privilegiato tra l’Oriente e l’Occidente, e anche la cucina rispecchia il passaggio tra mondo antico e mondo moderno. Scompaiono dai ricettari i gusti combinati per lasciare sempre più spazio a preparazioni che separano il dolce dal salato o dal piccante. Le spezie rimangono però protagoniste di piatti molto elaborati, di salse ed intingoli: al pepe si aggiungono delle new entry di cui ancor oggi facciamo largo uso in cucina: zafferano, cannella, chiodi di garofano, zenzero,…
Tutte le strade portano… in Oriente
Le spezie muovono anche le sorti dell’Età delle grandi scoperte. È soprattutto in vista di un enorme ritorno economico che, a cavallo tra Quattro e Cinquecento, il Portogallo cercherà – e ci riuscirà con Vasco da Gama – di circumnavigare l’Africa per assicurarsi un’esclusiva rotta verso l’India. La stessa Spagna, vedendosi negata quella via, finanzierà la ‘folle’ idea di Colombo di raggiungere l’Asia navigando verso ovest, aprendo così la strada per il Nuovo Mondo, che però di spezie risulterà povero. Il vero obiettivo rimarrà per lungo tempo l’Oriente con la sua abbondanza di spezie ed essenze odorose, tanto che i nuovi protagonisti delle rotte mercantili nel Seicento, gli olandesi, cederanno alla fine New Amsterdam (l’odierna New York) agli inglesi in cambio dell’esclusiva mercantile sulle Indie orientali.
Spezie e regole del lusso
Nel frattempo anche i ricettari cambiano per soddisfare le esigenze della nascente borghesia e il valore delle spezie si adegua alle regole del lusso. Crolla il prezzo del pepe, che arriva ormai facilmente e in grande abbondanza in tutta Europa e che, sulla scala delle merci più ambite, dovrà lasciare il posto ad altre rarità, alcune delle quali manterranno praticamente invariato il loro enorme valore aggiunto fino ai giorni nostri, come ad esempio lo zafferano.
Anche se parla di epoche passate, il libro di Antinucci racconta molto dell’uomo contemporaneo e dei meccanismi che ancora oggi regolano gli andamenti del lusso: cambia l’oggetto – il pepe, lo zafferano, una borsa griffata -, ma non cambia il bisogno dell’uomo di rappresentarsi attraverso un sistema di simboli esclusivi. Una lettura avvincente che passa attraverso duemila anni di ricette e gastronomia arrivando fino agli albori della nouvelle cuisine francese.
Per chi ama la cucina, le spezie sono sempre un argomento fra i più affascinanti. Ne abbiamo parlato anche in questi articoli: Spezie e proprietà curative, Erbe aromatiche e Spezie: come utilizzarle e conservarle.