Si fa presto a dire “caffè”. Dietro questo termine – che noi italiani associamo subito alla tazzina di espresso, gustata al bancone del bar – in realtà si nasconde un mondo di cui conosciamo pochissimo. Non tutti i caffè, infatti, sono uguali, a partire proprio dalla materia prima, ossia dai chicchi: alcuni sono più speciali di altri, arrivando a costituire quello che si definisce Specialty coffee. Mai sentita questa definizione? Forse no, ma sicuramente ne sentirete parlare sempre più spesso. A spiegarci cosa rende così speciale una tazzina di specialty coffee è Valentina Palange, coffee blogger che si definisce una “raccontatrice di caffè” e che, insieme a Luca Rinaldi, ha dato vita al progetto Specialty PaL proprio con lo scopo di avvicinare gli utenti a questo mondo che, spesso, incontra delle resistenze. Insieme a Valentina, diamo un’occhiata anche a quelli che saranno i trend per quest’anno appena iniziato!
Di cosa parliamo quando parliamo di Specialty coffee
Per capire cosa si intende con questa definizione dobbiamo fare un passo indietro nel tempo. Precisamente, negli anni ‘70 quando Erna Knutsen, allora segretaria in una società di commercio del caffè, coniò questa definizione: lo scopo era identificare micro-lotti di caffè rari e, appunto, “speciali”, in quanto privi di difetti. “Si tratta infatti di caffè di altissima qualità, che hanno zero difetti primari” inizia a spiegare Valentina Palange. “Nel caffè ci sono tantissime sfaccettature di difetti, e quelli primari sono ovviamente quelli più importanti: se non ce ne sono, vuole dire che il caffè che si sta bevendo è top”. Per difetto primario si intende, ad esempio un chicco di caffè nero, acido o marcio, attaccato da insetti o funghi.
Dal controllo dei chicchi al “cupping”: i passaggi per riconoscere lo Specialty coffee
La primissima valutazione viene fatta a livello visivo sull’aspetto dei chicchi di caffè verde direttamente in piantagione. “Si fa un controllo molto accurato dei singoli chicchi, e nelle piantagioni a fare questo lavoro sono soprattutto le donne, importantissime nella filiera del caffè: di solito, fanno lavori meno pesanti a livello fisico ma più importanti a livello di responsabilità. Per prime, infatti, raccolgono le ciliegie (i frutti della pianta, anche chiamate “drupe”, che contengono i chicchi – ndr) e controllano, appunto, chicco per chicco. Si dice che abbiano l’occhio che veda meglio”.
A seguire, c’è poi una valutazione delle proprietà del caffè all’assaggio, effettuato attraverso un protocollo di cupping standardizzato a livello internazionale dalla Specialty Coffee Association (SCA). “La qualità del caffè si valuta con un punteggio che viene dato tramite un attento esame che viene fatto da esperti assaggiatori di caffè”: sono i cosiddetti Q grader, di cui ci ha raccontato in una video intervista anche Antonia Trucillo dell’omonima Accademia del caffè. “Questi professionisti valutano il caffè attraverso una scheda di valutazione sensoriale, che si chiama cupping. Se il caffè prende dagli 80 ai 100 punti è senz’altro uno Specialty coffee” continua a spiegare l’intervistata.
Dopo che i chicchi sono stati selezionati in piantagione, su questi si effettua una prima leggera tostatura e poi la macinazione, per valutarne innanzitutto l’aroma. Si procede con l’infusione e l’assaggio tramite cupping, con il quale viene assegnato un punteggio, il cosiddetto “cupping score”:
- 90-100 punti: Eccezionale (Specialty)
- 85-89.99 punti: Eccellente (Specialty)
- 80-84.99: punti Molto buono (Specialty)
- <80.0 punti: Sotto la soglia Specialty (Non Specialty)
Caffè Specialty vs caffè commerciale: che differenza c’è?
In altre parole, scopriamo quindi che per Specialty coffee non si intende una bevanda specifica, o nuovo metodo di estrazione particolare e innovativo, quanto piuttosto un sistema accurato di valutazione della filiera del caffè che premia l’eccellenza, distinguendolo da quello a cui siamo abituati normalmente. “Per ‘caffè commerciale’, quindi, si intende quello composto da chicchi che hanno ricevuto un cupping score che non raggiunge gli 80 punti.” racconta Valentina. Ma qual è la differenza tra i due?
A distinguerli, in primis, è ovviamente la differente qualità, ma anche la filiera che, nel caso dello Specialty coffee, è molto più corta. “In diversi casi è il torrefattore a mettersi in contatto diretto con il produttore e ad andare in piantagione: i rapporti che si intrattengono con i produttori sono molto importanti perché garantiscono un controllo diretto della materia prima. Nella filiera normale del caffè commerciale questo non succede e i passaggi sono tantissimi”.
La filiera dello Specialty coffee è quindi più corta e sostenibile, con una tracciabilità controllata e certa: “non a caso, questa tipologia di caffè è anche chiamata slow coffe”.
Ma quanto è conosciuto, specialmente in Italia?
[elementor-template id='142071']La difficoltà nel diffondere una cultura del caffè diversa in Italia
Ammettiamolo: in Italia, parlare di caffè è una cosa seria. A volte, fin troppo. La grande cultura italiana del caffè e l’attaccamento alle tradizioni non hanno permesso al mondo del caffè Specialty di svilupparsi velocemente nello Stivale, come invece accaduto in altri Paesi. A confermarlo è Valentina stessa, che ci racconta delle difficoltà che in questi anni ha riscontrato nel suo ruolo di raccontatrice di caffè.
Basta guardare il profilo Instagram del suo progetto, Specialty PaL, in cui racconta curiosità, aneddoti, piccole perle legate a questo settore. “Mi definisco una ‘raccontatrice di caffè’, perché ne parlo senza però essere tecnica come un professionista. Il mio compito è comunicare il caffè cercando di arrivare a tutti e tutte, e la difficoltà sta proprio nel raccontare in modo semplice una materia, come quella che riguarda questo mondo, che potremmo definire scientifica, perché ha che fare con la chimica e con la fisica”.
A questo, si aggiunge poi il fatto che il caffè, nel nostro Paese, è legato a una tradizione molto forte. “Molto spesso i concetti di cui io parlo vanno a scontrarsi con le credenze che ci sono state tramandate. Faccio un esempio, la montagnella del filtro della moka: l’usanza dice che si deve fare, io invece dico di no per ragioni scientifiche, che vi spiegherò in modo semplice. Mettere più caffè nella parte centrale del filtro della moka, così come avviene facendo la montagnella, farà passare più acqua nei lati e meno nella parte centrale, appunto. In questo modo, si otterrà un caffè amaro dato da un’estrazione non omogenea”.
La difficoltà più grande, quindi, è entrare nei cuori degli italiani perché la cultura italiana legata al caffè è molto forte: il caffè, però, è prima di tutto una scienza ed è stato studiato tantissimo negli ultimi anni”. O ancora, sapete come si beve correttamente un cappuccino? Ammettetelo: quanti di voi usano il cucchiaino per raccogliere la schiumosa crema di latte, per poi bere successivamente il caffè? Ecco, in realtà questo sarebbe un “errore”: il cappuccino – che non deve mai essere troppo bollente – andrebbe bevuto infatti senza usare il cucchiaino, sorseggiandolo per assaporare insieme caffè e crema di latte. O ancora, sapete che il caffè freddo non va fatto come si fa di solito, ossia preparando semplicemente il caffè e mettendolo in frigo? Perché così si ossida e assume aromi sgradevoli. Bisogna invece macinare il caffè grossolanamente, aggiungerlo in una bottiglia con dell’acqua e lasciarlo in frigo per 24 ore e, solo allora, filtrarlo.
Oltre a questo, Valentina spiega che un altro problema tutto italiano è che abbiamo una forma mentis per cui il caffè corrisponde all’espresso e basta. “Non ci chiediamo neanche da dove provenga quel caffè o com’è stato lavorato. E abbiamo la forte convinzione che l’espresso debba essere amaro e pensiamo sia normale così. In realtà, l’amarezza è data da una cattiva estrazione del caffè o dalla qualità stessa. Infatti, nello Specialty coffee l’amarezza non esiste quasi per niente, nell’espresso esiste invece la dolcezza o l’acidità che io amo e chiamo freschezza, per non spaventare nessuno!”.
Valorizzare il mondo del caffè: come fare?
Il primo passo da fare, quindi, è quello di provare a scalfire questa tradizione e valorizzare maggiormente il mondo del caffè, come invece accade per altri settori, ad esempio quello del vino. Abbiamo una grandissima tradizione e conoscenza legata a questa bevanda, e infatti non a caso nei locali troviamo le carte dei vini dedicate. “Sarebbe bello trovare anche una carta del caffè” in cui si spiegano le caratteristiche delle varie tipologie di caffè da provare: da dove provengono, come sono stati lavorati e per quale momento della giornata sono adatti e con quali cibi si abbinano.
Come racconta Valentina, infatti, siamo abituati a collegare il caffè al dolce: “lo releghiamo al momento della colazione o della merenda. Invece è possibile abbinare il caffè al salato: sembra una cosa assurda, ma si può fare. Ovviamente, non lo si fa con un espresso ma con un caffè filtro, magari un blend etiope che ha profumi di fiori e di frutta, che si lega benissimo a tantissimi piatti. Molti chef stellati si stanno muovendo in questa direzione, con l’abbinamento tra caffè e salato”.
All’estero questo è un trend che ha mosso i primi passi già da anni, mentre qui in Italia sembra qualcosa di ancora lontanissimo. Tuttavia, come spiega l’intervistata, dipende tutto da ciò che si mangia: “ad esempio, se il pasto è molto abbondante e grasso, io consiglierei di bere dopo pranzo un caffè colombiano, che ha un’acidità più spiccata e più vivace, e quindi va a pulire il palato, rispetto magari a un caffè brasiliano”. Insomma, come avviene per i vini e i suoi abbinamenti con il cibo, è possibile farlo anche con il caffè.
I trend del futuro del caffè: dove si andrà?
Buttando un occhio al futuro, chiediamo a Valentina quali saranno i trend legati al caffè per l’anno che verrà (e anche oltre).
Abbinamento tra caffè e cibi… salati
Un assaggio l’abbiamo già avuto, ossia quello del coffee pairing, l’abbinamento tra il caffè e cibo salato. Ad azzardare, non solo chef stellati però: “all’estero è molto comune il coffee pairing: ad esempio, non è raro abbinare un avocado toast a un cappuccino fatto in un certo modo o un caffè filtro. Per noi è qualcosa di difficile da immaginare, ma invece sono abbinamenti azzeccati. In Italia, alcune caffetterie Specialty che fanno anche servizio cibo offrono la possibilità di provare questi abbinamenti”. Già da qualche anno, ad esempio, alcuni pizzaioli hanno iniziato a sperimentare facendo la pizza al caffè, usando il caffè filtro nell’impasto. Insomma, la strada verso il futuro sembra segnata: il caffè uscirà dal bar e dalla classica tazzina per entrare sempre di più prepotentemente anche in altri territori.
La rivincita della moka e le degustazioni di caffè
Ma che tipologia di caffè? “Il settore del caffè si sta spostando finalmente verso la qualità, verso la sensorialità, e quindi una riacquisizione dei sensi e dei profumi. Ad esempio, uno dei trend che è nato – o forse sarebbe meglio dire, rinato – anche forse grazie alla pandemia è la moka. Tante caffetterie – ma anche ristoranti – non propongono più caffè fatto con la macchinetta ma con la moka, e in alcuni casi hanno iniziato a proporre anche vere e proprie degustazioni. C’è insomma una riscoperta del caffè, dal caffè commerciale allo Specialty coffee. A pensarci, finora è stato un controsenso. Prendiamo il caso di una pasticceria di alto livello, che fino adesso ha utilizzato un caffè commerciale di bassa qualità. Finalmente, ci si è resi conto che questo non è accettabile: anche Iginio Massari è passato allo Specialty Coffee e se vai nella sua pasticceria bevi il Sinfonia, un blend che è stato creato apposta per lui”.
Sempre più qualità e sostenibilità
Come abbiamo visto nell’articolo sui food trend del 2022, la sostenibilità è – e sarà – la parola chiave che muoverà produttori, aziende e consumatori nel prossimo futuro. Questo riguarda anche il mondo del caffè, di cui, come si dice per il maiale, “non si butta via niente”. “La sostenibilità è un concetto importantissimo nella filiera del caffè” racconta Valentina, per cui si cerca di produrre nel rispetto dell’ambiente e di riutilizzare tutti gli scarti. “Ad esempio, le bucce delle ciliegie, che si chiamano cascara e di solito sono considerate prodotti di scarto, possono essere usate per degli infusi, oppure impiegate come concime nelle piantagioni. I Paesi da cui proviene il caffè hanno una cultura di riuso degli scarti e di lotta agli sprechi altissima. Mentre noi viviamo in una società in cui questa sensibilità dobbiamo trovarla e dobbiamo impegnarci a non sprecare, lì invece non si butta via niente. Un altro esempio: non tutti sanno che la pianta del caffè, oltre a fare le ciliegie, fa anche fiori tutti bianchi che profumano di gelsomino: quando il fiore cade nasce la ciliegia del caffè. Questi fiori durano pochissimo, solo 48 ore, ma anche con quelli si possono creare infusi profumatissimi”.
Il settore del caffè, quindi, si sposterà sempre di più verso una maggiore attenzione alla sostenibilità, e, quindi, alla qualità. Il cambiamento climatico, infatti, è una realtà, e sta impattando sempre di più l’agricoltura anche del nostro Paese, trasformandola profondamente. A dimostrarlo, la nascita della prima filiera della quinoa, o il fatto che in Sicilia si stiano sperimentando le prime piantagioni di caffè. “Al momento, il caffè che mi è arrivato dalla Sicilia è un primo tentativo, quindi non destinato ancora alla vendita. Sono esperimenti che si stanno facendo da un po’ di anni in molte farm, ma ancora non si è arrivati a un risultato accettabile, sia dal punto di vista della qualità che della quantità. Certo è che, l’ultimo che mi è capitato di assaggiare è migliore qualitativamente parlando a causa del clima che sta cambiando”. Il climate change è una realtà, e questo deve farci riflettere molto: se si inizierà a produrre caffè in Sicilia è perché, ormai, anche da noi, ci sono temperature tropicali. La sostenibilità è il nuovo obiettivo di tutti, e infatti scegliere lo Specialty coffee significa sostenere una filiera più sostenibile, etica e corta”.
Avete mai sentito parlare dello Specialty coffee?