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Sovranità alimentare: perché è considerata una soluzione per affrontare la crisi da Covid-19?

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In seguito alla crisi dovuta al Coronavirus, il tema della sovranità alimentare ha acquisito grande rilievo nell’ambito del dibattito sulle soluzioni per evitare il ripetersi di problemi di approvvigionamento. Il lockdown e le settimane successive, infatti, hanno mostrato l’importanza di materie prime e merci di provenienza estera, che il sistema produttivo nazionale non è in grado di mettere a disposizione in quantitativi sufficienti per la domanda interna. Ma l’Italia è in grado di raggiungere l’autosufficienza in ambito alimentare? E perché questa soluzione è considerata utile per mettersi al riparo da future crisi? Dopo esserci occupati di cibo e cambiamenti climatici, con questi approfondimento cercheremo di saperne di più.

Sovranità alimentare: il Covid-19 rivela la fragilità del sistema

Supermercato vuoto coronavirus
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Le misure restrittive per contenere il contagio da Coronavirus – iniziate in momenti diversi nel mondo e differenziate in base delle scelte dei singoli governi – hanno segnato anche il diffondersi di preoccupazioni e incertezze sulla possibilità di garantire le forniture alimentari. In Italia, come sappiamo, la produzione e la distribuzione dell’agroalimentare non si sono mai fermate, in quanto strategiche e indispensabili per le necessità primarie del Paese. La gravità e il diffondersi della pandemia, però, hanno evidenziato la fragilità del sistema, nonostante le rassicurazioni dei governi, come abbiamo visto nel nostro articolo sulle conseguenze del Coronavirus sull’agroalimentare. Ormai più che consolidate, la globalizzazione e le relazioni commerciali hanno reso la maggior parte delle nazioni dipendenti dai mercati esteri e dalle importazioni. Lo stesso vale per la manodopera, in gran parte basata sul lavoro precario degli immigrati – specialmente la raccolta di frutta e verdura, ma anche il settore lattiero-caseario e quello delle carni – che la momentanea chiusura delle frontiere ha bloccato negli spostamenti. Questa situazione può mettere a rischio i tanti comparti produttivi, legati ai settori citati.

Di conseguenza, l’intero settore alimentare è notevolmente esposto a diversi tipi di carenze delle materie prime, a maggior ragione quelle che devono compiere lunghe percorrenze prima di arrivare sulle tavole. Non si tratta solo di cibi esotici, ma sempre più spesso di legumi, cereali e frutta, le cui importazioni dal continente americano e dal Sudafrica sono molto rilevanti.

Alla luce di questo, è lecito domandarsi quanto l’attuale sistema globalizzato sia affidabile per assicurare l’approvvigionamento, anche in situazioni di emergenza. I sistemi locali, pur coi loro limiti di offerta, sono fondati su mercati interni ben più solidi ai fini della sicurezza delle forniture, oltreché ecologicamente più sostenibili. Pertanto, oltre ai vantaggi di carattere ambientale, ampiamente valutati negli ultimi anni, la sovranità alimentare ha guadagnato grande attualità dal punto di vista economico, in una nuova ottica impostata in primo luogo sulla gestione delle ipotetiche crisi.

Il Recovery fund per mettere in sicurezza l’approvvigionamento nazionale

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Secondo Coldiretti, in Italia dall’inizio della pandemia il 57% delle 730mila aziende agricole nazionali ha subito una un calo dell’attività, con un impatto variabile in base al ramo specifico, come l’allevamento, la pesca, la viticoltura, l’olivicoltura e l’ortofrutta. L’obiettivo primario, per l’organizzazione di categoria, al momento è assicurare l’approvvigionamento nazionale, e in questo senso le ingenti risorse economiche ottenute con il Recovery fund possono rappresentare un sostegno decisivo. A queste conclusioni è giunto un incontro tenutosi lo scorso luglio, alla presenza del ministro della Salute Roberto Speranza, del ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli e della ministra delle Politiche agricole Teresa Bellanova, assieme ai presidente di Coldiretti da tutte le Regioni.

Ettore Prandini, presidente nazionale dell’associazione dei coltivatori, ha dichiarato che “i problemi pandemici che hanno portato all’interruzione delle catene di approvvigionamento e le difficoltà vissute in termini di mobilità delle merci e dei servizi rendono strategico investire nel settore, aumentando la capacità di resilienza delle filiere agroalimentari nazionali. Questo deve avvenire anche con investimenti infrastrutturali, per rilanciare la competitività del Paese con le risorse europee. L’allarme globale provocato dal Coronavirus ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico della filiera del cibo e delle necessarie garanzie di qualità e sicurezza. La situazione ha messo a nudo tutte le fragilità sulle quali intervenire, con un piano nazionale per difendere la sovranità alimentare e non dipendere dall’estero, in un momento di grandi tensioni internazionali sugli scambi commerciali”.

Sovranità alimentare: come raggiungere l’autosufficienza?

Seguendo l’analisi di Coldiretti, il grado medio di autoapprovvigionamento dei prodotti agricoli è calato a circa il 75%. Il nostro Paese, di fatto, dipende dalle importazioni per gran parte dei prodotti agricoli – carne, latte, cereali, legumi e non solo – mentre l’autosufficienza si raggiunge nelle produzioni di carni avicole, frutta e vino.

Per conseguire tale traguardo, in tutti i rami dell’agroalimentare occorrerebbe uno sforzo congiunto che parta dall’innovazione, quindi dall’agricoltura 4.0 di precisione, per arrivare a coinvolgere il 10% della superficie coltivata con lo sviluppo di applicazioni su più fronti:

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Gli investimenti in tecnologie, secondo Coldiretti, sono decisivi per il rilancio delle produzioni nazionali e si integrano nel quadro di un sistema che vuole avvicinarsi sempre più al concetto di economia circolare. In questo senso, le risorse da ottimizzare sono molte, tra queste la chimica verde e la valorizzazione di allevamenti e foreste per la produzione di biometano e biogas. La conversione in chiave ecologica, inoltre, è un’azione concreta contro il cambiamento climatico, un’emergenza che quest’anno è costata miliardi, con la perdita di 1 frutto estivo su 3 per il calo del 28% nel raccolto di pesche e nettarine, e del 56% delle albicocche, rispetto allo scorso anno.

A conclusioni analoghe era giunto il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti, che ha sottolineato l’importanza dell’autosufficienza alimentare degli Stati europei, rilanciando il messaggio della Ministra tedesca dell’Agricoltura Julia Klockner, e dalla sua omologa austriaca, Elisabeth Kostinger. Le due ministre hanno precisato che, a vantaggio di tutti, i mercati devono restare aperti, superando le tentazioni protezionistiche, ma la dipendenza dalle importazioni non dev’essere eccessiva. In alcuni settori, infatti, raggiunge percentuali altissime: il 90% se si parla di proteine vegetali (legumi, soia, ecc.).

Secondo Giansanti, i benefici di un riassetto improntato sulla sovranità alimentare sarebbero notevoli, perché “ogni punto percentuale di crescita della produzione agricola vale 2 miliardi di euro”.

Iniziative già avviate e proposte di intervento

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Seguendo questa lista di priorità, Coldiretti sta già collaborando ad alcune iniziative, mentre altre sono in divenire. Tra queste:

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Prevenire e affrontare le crisi: cosa ci aspetta?

Dal punto di vista strettamente preventivo, innanzitutto, la risposta migliore a lungo termine deve basarsi sul cosiddetto approccio One Health, secondo cui la salute delle persone è intrinsecamente legata a quella degli animali e dell’ambiente. Come è emerso, infatti, l’interrelazione tra gli animali, gli ecosistemi e la nostra salute è la chiave per comprendere i le epidemie, di conseguenza è d’obbligo scongiurare il passaggio dei virus all’essere umano.

Come abbiamo visto, il Covid-19 ha portato la sovranità alimentare al centro del dibattito, e colossi come Stati Uniti, Brasile, Cina, India e Russia si stanno già organizzando per aumentare la propria produzione interna. In Europa, soprattutto Francia e Italia si sono fatte portatrici di questa visione, con valenza economica ma anche geopolitica. Gli Stati europei, per dimensioni e caratteristiche, però, devono evitare propositi isolazionisti di tipo autarchico, che richiamano a logiche del passato, bensì concentrarsi su un intervento efficace nella politica Ue, proficuo sia in ottica continentale che nazionale.

I Paesi membri, pertanto, devono comprendere che fenomeni come le epidemie o i cambiamenti climatici devono essere gestiti il più possibile in maniera unitaria. Tuttavia, sono ancora evidenti i limiti della struttura politica attuale, dovuti alle divisioni tra le 27 nazioni, con la mancanza di uniformità e rapidità decisionale. Per confrontarsi e parlare con una sola voce con le grandi potenze mondiali, la soluzione impone inevitabilmente un percorso in senso federale europeo, che parta da una maggiore coesione.

A monte, però, in termini economici è fondamentale ristabilire il primato dei beni di prima necessità, i generi alimentari su tutti. Con questo presupposto, dovrà essere corretta la Politica agricola comune dell’Unione quanto quelle nazionali, con investimenti per l’agricoltura e interventi contro la burocrazia, che ostacola la crescita del settore.

Proprio l’agroalimentare può essere una leva di ripartenza, insieme al turismo enogastronomico, per una ripresa stabile e sostenibile. Il Recovery plan italiano, da finanziare con i fondi straordinari Ue, dovrà avere la massima attenzione per queste istanze.

Avevate già sentito parlare di sovranità alimentare?

 

Fonti:

Organizzazione mondiale della Sanità, who.int
fao.org
coldiretti.it
confagricoltura.it

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