Nel campo profughi di Burj El Barajneh, alla periferia di Beirut in Libano, vivono più di 20.000 rifugiati scappati dalla guerra, che qui hanno trovato la pace, ma non la libertà. Come spesso accade, una soluzione abitativa che doveva essere transitoria è diventata definitiva per questo, nel 2013, l’UNWRA, l’agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, ha condotto un’indagine per capire quali fossero i bisogni di chi si trova nel campo, in particolare delle donne. È emerso il bisogno di lavorare per costruire una propria indipendenza, magari attraverso la cucina, un mondo considerato sicuro. Così, su spinta di Mariam Shaar, è nata Soufra Kitchen, una piccola impresa al femminile che prepara piatti della cucina palestinese e li consegna in tutto il Libano. Una storia potente di riscatto e di emancipazione che è diventata anche un documentario, “Soufra” di Thomas Morgan, presentato in tutto il mondo.
Soufra Kitchen, cucina palestinese e catering per l’emancipazione
È facile pensare che la presenza femminile in cucina sia solamente uno stereotipo, frutto di una cultura fortemente patriarcale che ancora condiziona la società. La realtà è che, talvolta, anche nelle situazioni che sembrano perpetuare meccanismi di discriminazione possono nascondersi delle concrete opportunità di emancipazione. Dipende dal contesto, così come dalla capacità delle persone. La cucina può, infatti, anche trasformarsi in un’area sicura dove costruire la propria autonomia e indipendenza, uno spazio dove cresce l’autostima e che diventa un vero e proprio lavoro. Lo sanno bene le Cuoche Combattenti di Palermo che, recentemente, hanno aperto una bottega, ed è questo lo spirito del gruppo di rifugiate palestinesi che ha dato vita a Soufra Kitchen, una piccola impresa di catering e, da poco anche un food truck.
In un contesto difficile come quello del campo per rifugiati di Burj El Barajneh, Mariam Shaar ha dato vita ad una vera e propria piccola impresa che coinvolge altre donne che vivono nella stessa area. Un azzardo poiché per le donne è più difficile che per gli uomini promuovere un business di successo, ma anche perché Mariam stessa è una donna che da sola ha avviato questo progetto. Intervistata dalla giornalista Daniela Sala per RSI, racconta: “di me spesso si domandano com’è possibile che una donna non sposata, senza un fratello o un partito politico alle spalle, possa fare questo. E sì, ci sono persone che sono intimorite dal fatto che io sia una donna forte, ma in generale la società palestinese è orgogliosa e sostiene le donne forti”.
La ricetta del successo di Soufra Kichen è proprio nell’incontro e nel sostegno reciproco tra le donne che lavorano al progetto. Le preparazioni che propongono sono quelle tipiche della cucina palestinese: muhammara, msakhan, mansaf, che vengono consegnate in tutto il Libano. Sono 40, ormai, le donne impiegate in questa società e, oltre alla cucina, è stato allestito anche un piccolo orto i cui frutti vengono utilizzati per preparare i cibi. Il sogno sarebbe quello di aprire anche un vero e proprio locale, a Burj El Barajneh, ma non soltanto.
[elementor-template id='142071']“Non abbiamo più paura”: il valore sociale di Soufra
La forza di Soufra Kichen non è soltanto economica o commerciale, ma anche sociale. Tutte le donne che ora lavorano nel progetto si sentono più forti, libere e indipendenti. Contribuiscono concretamente al sostegno delle proprie famiglie e, in alcuni casi, hanno capovolto le dinamiche di potere all’interno della casa. La maggior parte di loro, infatti, prima si occupava semplicemente della casa e della cura dei figli, situazione che talvolta le esponeva al rischio di discriminazione o marginalizzazione.
Come ricordano sorridendo le chef, ora non hanno paura di nulla e questa è una preziosa conquista raggiunga proprio grazie al lavoro nelle cucine di Soufra, che in arabo, significa “festa”. Inoltre, Mariam Shaar si è battuta per poter coinvolgere donne siriane, irachene, palestinesi e libanesi, superando le barriere nazionali, e puntando sul cibo per creare unione e dialogo tra persone che, di fatto, vivono nello stesso campo e solo in questo modo hanno potuto sviluppare relazioni autentiche e collaborazioni che guardano al futuro.
“Soufra”, il documentario prodotto da Susan Sarandon
Nel 2017, la storia di Mariam e delle donne di Soufra Kitchen è diventata anche protagonista di un documentario dal titolo semplicemente “Soufra”, girato dal regista Thomas Morgan, mentre l’executive producer è Susan Sarandon, attrice nota proprio per la sensibilità e l’attenzione ai temi sociali e alla cooperazione.
Accolto con entusiasmo da alcuni dei principali quotidiani USA, New York Times e LA Times in primis, il documentario sta girando il mondo permettendo alla storia di Mariam e delle donne di Soufra di farsi conoscere oltre i confini libanesi. Le proiezioni e la vendita del libro di ricette palestinesi e mediorientali realizzato all’interno del progetto contribuiscono ad una raccolta fondi per costruire una scuola a Burj El Barajneh. Nel campo, infatti, ci sono centinaia di bambini che non hanno accesso alla scuola o a degli spazi educativi di integrazione, “Soufra” ha già raccolto quasi 1 milione di dollari e il Children’s Center ospita attualmente 150 bambini.
Il cibo e la cucina sono, dunque, forte stimolo di crescita, di empowerment e di integrazione sociale. E ciò accade anche nei contesti più difficili come quello dove si è sviluppato il progetto di Soufra Kitchen che permette a un gruppo di donne di ricominciare a immaginare il proprio futuro. Lo conoscevate già?
Credits immagine in evidenza: Vivien Killilia Best