Lo sfruttamento e le battaglie dei lavoratori indiani dell’Agro Pontino sono il punto di partenza per una riflessione globale sulle agromafie e sul caporalato. I dati e le storie raccolte in “Sotto padrone. Uomini, donne e caporali nell’agromafia italiana” – il saggio di Marco Omizzolo, sociologo Eurispes, pubblicato a dicembre 2019 – contribuiscono a stimolare una riflessione su quanto violazioni i diritti e nuove forme di schiavitù siano diffuse non soltanto in Paesi lontani, ma anche a due passi da casa, e su quanto la battaglia per la legalità riguardi tutti i cittadini e le cittadine. Per questa ragione, abbiamo intervistato l’autore proprio per farci raccontare ciò che ha scoperto nel lungo percorso di ricerca confluito in questo saggio.
“Sotto padrone” di Marco Omizzolo, cronache di 12 anni nell’Agro Pontino
“‘Sotto padrone’ è la sintesi di 12 anni di ricerca e di azioni sociali frutto del mio impegno in prima persone sul fronte delle agromafie e, in particolare, sul territorio dell’Agro Pontino”, così comincia a raccontare Omizzolo riguardo al suo lavoro. Uno studio lungo che ha l’ha portato a stretto contatto con questa realtà di sfruttamento, a vivere per un anno e mezzo nella comunità indiana pontina e a lavorare per tre mesi come infiltrato. A questo proposito, l’intervistato spiega: “trovarmi a essere il primo italiano a lavorare come bracciante sotto padroni italiani e caporali indiani mi ha permesso di scoprire direttamente in che condizione vivessero le persone. Ho visto davanti ai miei occhi uomini e donne gravemente sfruttati, vittime di violenze di tutti i tipi”.
Dall’ascolto a un’inchiesta giornalistica fino a attività di formazione e mobilitazione sul territorio: il percorso di Omizzolo, raccontato anche nel libro, aveva e ha tuttora l’obiettivo di permettere ai lavoratori e alle lavoratrici di essere pienamente titolari dei diritti che gli spettano, a partire dalla libertà. “Ho visto giovani”, racconta ancora il sociologo, “chiusi con un lucchetto dentro gazebi 4 metri per 4, che venivano aperti solo dal padrone quando era ora di andare nei campi. Ma ho anche visto questi stessi lavoratori scendere in piazza”.
Dalla sciopero alla denuncia contro il caporalato
Era il 18 aprile del 2016 quando quasi 5.000 braccianti indiani scesero in Piazza della Libertà, a Latina, per chiedere diritti, giustizia e un contrasto effettivo a caporalato, sfruttamento e tratta. È stato il primo e più ampio sciopero di questo tipo nel territorio dell’Agro Pontino, ed è stato anche merito del lavoro del sociologo che, insieme alle associazioni del territorio, ha iniziato a formare – ed informare – i braccianti, sempre più consapevoli di subire una situazione di illegalità.
“Ciò che è importante sottolineare”, spiega, “è che i lavoratori hanno iniziato anche a denunciare caporali, padroni e mafiosi costituendosi come parte civile nei processi. Le azioni sociali non hanno portato soltanto a una fiammata di protesta, ma anche a una consapevolezza della propria condizione, che si è tradotta in rivendicazioni nelle sedi opportune”. In questi anni, infatti, è cresciuto il numero di arresti, insieme a confische e processi contro caporali e altre persone responsabili di forme di sfruttamento. Nel Lazio, in particolare, è stata anche recentemente approvata una nuova legge contro il caporalato per contrastare il fenomeno, riconoscendo per la prima volta proprio il ruolo del terzo settore in supporto dei lavoratori.
Omizzolo ribadisce che “le denunce e la partecipazione ai processi, insieme a tutto il resto, sono importantissime, perché in questo modo i braccianti svolgono un ruolo sociale e culturale per la propria comunità che non è quella indiana, ma quella italiana. Quando un lavoratore indiano fa arrestare un mafioso, contribuisce a una battaglia collettiva per la legalità”.
I “Cavalieri della Repubblica” dell’Agro Pontino
“Questo saggio”, riflette ancora il sociologo, “mostra una storia collettiva che non è ancora stata raccontata, ma che è parte del territorio. Io presto la voce per dare spazio alle vicende delle decine e decine di persone che ho incontrato in questi anni”. Un lavoro di ricerca che, nel 2019, gli è valsa anche una delle massime onorificenza della Repubblica, quella di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Tra le motivazioni, si legge che è stato insignito di questo riconoscimento “per la sua coraggiosa opera in difesa della legalità attraverso il contrasto al fenomeno del caporalato. Ha più volte denunciato, anche con dettagliati dossier, il fenomeno del caporalato e dello sfruttamento degli stranieri nei campi. Segue da anni il fenomeno dei braccianti nell’Agro Pontino: ha descritto la rete dei caporali, raccontato le condizioni di vita, i problemi di salute e lo stato delle abitazioni di questi lavoratori. Da quando ha cominciato a impegnarsi sulla questione, riceve avvertimenti e minacce di morte.”
[elementor-template id='142071']Le storie di Gurtip, Greta e Benedetto
Il libro, tuttavia, si chiude con le storie di tre persone che Omizzolo definisce come i veri Cavalieri della Repubblica dell’Agro Pontino: un bracciante indiano, Gurtip, una studentessa di origine indiana, Greta, e un bracciante italiano, Benedetto. “Gurtip ha vissuto in schiavitù per sei anni: veniva malmenato dal padrone, obbligato a lavorare 15 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, per al massimo 150 euro al mese. Era ridotto alla fame, obbligato a mangiare gli avanzi raccolti dall’immondizia. Grazie allo sciopero, ha preso coraggio e denunciato il padrone. Si è costituito parte civile del processo e oggi è impegnato in una profonda attività di sensibilizzazione all’interno della comunità indiana per spiegare a tutti e tutte che si può combattere per i propri diritti.”
Greta, invece, è la figlia di due braccianti indiani. Il sociologo l’ha conosciuta al termine di un incontro che ha tenuto alla sua scuola media: “ciò che mi ha colpito è il fatto che, dopo aver ascoltato tutto quello che succede nell’Agro Pontino, lei mi ha ringraziato dicendomi che aveva finalmente capito cosa fare da grande: la giornalista per la giustizia. È straordinario che una ragazzina non sviluppi né odio né indifferenza, ma il desiderio di agire con mezzi civici contro l’ingiustizia”. Infine la storia di Benedetto consente di ricordare un aspetto a lungo dimenticato quando si parla di caporalato: tocca tutti, non soltanto i lavoratori di origine straniera.
“Sotto padrone”, il punto di partenza per una maggiore consapevolezza
Tre storie potenti che chiudono “Sotto padrone”, ma che aprono il dibattito. Già in ristampa, il libro verrà presentato nei prossimi mesi in giro per l’Italia in altrettante occasioni di scambio, ascolto e confronto. “Il mio auspicio”, chiude l’autore, “è che sempre più persone prendano coscienza di trovarsi in una condizione di sfruttamento e capiscano che esistono i mezzi civili e pacifici per denunciare e rivendicare i diritti che ci spettano in quanto lavoratori. Con il libro vorrei porre delle domande: tu che stai dall’altra parte e leggi, come ti collochi dentro a tutto questo? Sei dalla parte degli sfruttati o degli sfruttatori? Sei sicuro di non essere sfruttato? Facciamo attenzione che la lotta di chi rivendica diritti legalità e giustizia appartiene alla collettività e fa bene a tutti gli sfruttati, uomini donne, migranti italiani, europei e non europei.”
Siete curiosi di scoprire di più di quanto accade nell’Agro Pontino?