Giornale del cibo

Social Carpet: il tappeto sardo itinerante giunge ad Expo

Un patrimonio ambientale e culturale inestimabile che si fonda sull’eccellenza naturale, sulla varietà delle produzioni agroalimentari, sull’innovazione sostenibile e sulla qualità della vita: si è conclusa da pochi giorni la settimana ‘milanese’ della Sardegna durante la quale la Regione ha presentato al mondo il grande valore del proprio territorio. Sette giorni di incontri, conferenze internazionali, degustazioni curate dall’Accademia Casa Puddu dello chef sardo Roberto Petza, e poi molti ospiti (fra cui i campioni di basket della Dinamo Sassari), attività folcloristiche e film che hanno veicolato un’immagine rinnovata di un’isola che affonda le sue radici nella storia e nella tradizione, ma che è più che mai aperta al futuro e all’incontro costruttivo con la comunità globale.

 

 

Social Carper Sardegna


Una delle iniziative che più hanno attirato l’attenzione dei visitatori di Expo è stato sicuramente il
Social Carpet, un tappeto itinerante nato nelle piazze e nelle feste di paese e tessuto a più mani lungo il suo viaggio dalla Sardegna a Milano. Ora il tappeto, che nel frattempo ha raggiunto una lunghezza di 25 metri, è tornato a casa in Sardegna insieme alla sua ideatrice, Daniela Ducato, ambasciatrice della Sardegna ad Expo e appassionata imprenditrice. La sua azienda nel cuore dell’isola produce materiali per il settore delle costruzioni, ecosostenibili e naturali al 100%, derivati dalle eccedenze delle sottolavorazioni agricole.
A lei abbiamo chiesto di spiegarci meglio che cos’è il Social Carpet:

Daniela Ducato: “Si tratta di una lavorazione collettiva simile alle tessiture primitive senza trama né ordito. Tutti possono partecipare, è facile e divertente, non serve avere conoscenze specifiche, chiunque può proseguire la tessitura iniziata da un’altra persona senza nemmeno bisogno di parlare. La lavorazione a più mani, a cui hanno partecipato anche i visitatori di Expo, diventa così una metafora che contiene in sé il senso della relazione tra le persone che va anche oltre le barriere della comunicazione.  A differenza di un tappeto classico qui non c’è un disegno prestabilito o deciso da altri. La forza del Social Carpet sta proprio nella libertà di scegliere cosa tessere e quali materiali utilizzare: semi, spighe di grano, chicchi di riso diventano forme astratte, disegni e anche parole. Come nel caso del Book Carpet, una versione ‘letteraria’ del tappeto pensata per i più piccoli che ha avuto molto successo e che riproporremo nelle scuole”.

 

 

Fra gli ‘ingredienti’ ci sono anche i semi. Che tipo di semi sono stati utilizzati?

D.D.: “Nel tappeto sono stati tessuti oltre 20.000 semi, provenienti per la maggior parte dalla nostra macchia mediterranea. Fra questi c’erano anche i bellissimi semi neri e lucenti di una particolare peonia locale, a rischio di estinzione, e di molte altre nostre produzioni agricole protette, come l’anguria di Gonnosfanadiga, un’antica varietà che rischiava di sparire e che ora fa parte dei presidi Slow Food.

Proprio nella piazza di questa località è iniziata la lavorazione del Social Carpet. Sono state le persone stesse a scegliere e a portare i semi che volevano tessere nel tappeto e in questo modo hanno potuto raccontare una storia che parla di biodiversità. Nell’Anno internazionale del suolo e della pedodiversità i semi, anche quelli meno diffusi, sono significativi perché rappresentano l’importanza della varietà dei suoli”.

 

 


A Expo il tappeto è diventato globale…

D.D.: “Ad Expo il Social Carpet si è arricchito dei semi provenienti da tutto il mondo. In particolare i cluster tematici ci hanno affidato una grandissima varietà di risi, di tè, di cacao e di caffè. Così il tappeto, nato localmente, è diventato custode del mondo, una geografia tessile che racconta le produzioni agroalimentari globali. Abitiamo tutti lo stesso Pianeta, che va protetto e amato. Non possiamo pensare di curare solo il nostro giardino. Dobbiamo custodire il mondo ogni giorno attraverso le nostre scelte. La dimensione locale è importante ma non dobbiamo mai dimenticare che, come nel Social Carpet, siamo tutti legati gli uni agli altri da fili molto fragili e che attraverso la tessitura, ovvero attraverso le relazioni, rafforziamo i nostri legami. Possiamo e dobbiamo diventare tutti tessitori-custodi del nostro Pianeta”.

 


Ha avuto occasione di vedere Expo molto da vicino. Che impressione le ha fatto? Secondo lei l’Esposizione ha fatto centro rispetto agli obiettivi prefissati?

D.D.: “Si è parlato spesso della presenza delle multinazionali ad Expo, ma ritengo inevitabile che in iniziative così grandi ci siano molte contraddizioni. L’importante è far uscire queste contraddizioni, che se ne parli, che i media non facciano passare per sostenibili cose che sostenibili in realtà non sono. Credo che a centrare maggiormente il tema dell’esposizione siano state le cose meno conosciute e le meno comunicate.

Ho visitato Expo più volte, senza fretta, senza una meta prestabilita e senza farmi guidare dai media, usando lo stesso metro che uso nella vita, che è fatto anche di respiro e di lentezza. Non volevo farmi condizionare e alla fine le storie che più mi hanno affascinato sono anche le meno presenti nella comunicazione istituzionale, come ad esempio le storie dei contadini dal sud del mondo.

Sono rimasta molto affascinata dai cluster tematici: nessun effetto speciale, nessuna archistar, ma è qui che ho trovato l’anima vera di Expo. Luoghi che mostrano ad esempio quaranta qualità di riso diverse, dove puoi affondare le mani, dove c’è anche qualcuno che ti spiega da dove provengono e ti permette di andare alla radice delle cose. Ho percepito la forza di questo messaggio e sono felicissima che nel nostro Social Carpet, nato in Sardegna, siano stati tessuti semi di tutto il mondo, di luoghi che sono poco presenti nel nostro immaginario. La terra è una sola, ma tutti ne siamo custodi, anche da così lontano”.

Il Social Carpet proseguirà il suo viaggio fino al 30 settembre e porterà il suo messaggio di condivisione e socialità in molte scuole e piazze della Sardegna. Il suo passaggio ad Expo non è certo passato inosservato e ha dato il suo piccolo, grande contributo all’Esposizione, mostrando anche l’anima genuina di una terra, la Sardegna, ricca di passione e di valori radicati nel suo splendido territorio.

 

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