Si chiama SmartDairy il progetto che vede coinvolte quattro università in Irlanda, Inghilterra, Finlandia e Italia e che ha come obiettivo individuare concrete opportunità di sviluppo sostenibile per la filiera zootecnica del latte. Si stima che, complessivamente, il settore agricolo è responsabile di circa il 10% delle emissioni di gas serra su scala globale e, di questo, il 40% è costituito dalle emissioni da fermentazione enterica degli animali, incluse dunque le mucche allevate per produrre latte e prodotti caseari.
Guidato dall’Università di Galway, il progetto SmartDiary coinvolte il Dipartimento di Scienze chimiche, farmaceutiche e agrarie dell’Università degli Studi di Ferrara come partner italiano, vista la cruciale importanza economica che il settore ha per il Paese. Per conoscere meglio i primi passi mossi da SmartDiary, abbiamo intervistato il professor Fabio Bartolini, responsabile del progetto per l’ateneo emiliano.
Un progetto di ricerca dedicato al latte “a impatto zero”
Finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, il progetto SmartDiary mira a rendere la filiera casearia – ad oggi responsabile di almeno un terzo delle emissioni totali di gas serra – più sostenibile. “Ci poniamo una fondamentale domanda” spiega il professor Bartolini, “ovvero quali sono i margini e le potenzialità concrete di ridurre l’impatto ambientale di questa specifica filiera.”
L’obiettivo è, dunque, individuare quali possono essere le strategie di innovazione più efficaci, ma anche descrivere con puntualità una situazione in continua evoluzione. “Quando abbiamo presentato il progetto nell’estate 2021, la principale questione riguardava le emissioni di anidride carbonica. Ma già un anno dopo osserviamo come temi come il caro energia o il benessere animale siano di sempre maggiore peso. Parlare di un’evoluzione verso la sostenibilità della filiera zootecnica del latte richiede, dunque, uno sguardo aperto su molti fronti e rende necessarie forme di interazione e di equilibrio.”
“Valuteremo tutta la filiera del latte” prosegue Bartolini, “a partire dalle risorse utilizzate per la produzione e trasformazione, fino alla commercializzazione, al consumo, ai rifiuti e al loro eventuale riutilizzo, in un’ottica di economia circolare così da identificare i punti su cui far leva”.
Il peso delle voci degli imprenditori della filiera
Una delle prime attività realizzate nell’ambito del progetto, avviato lo scorso aprile, è stata la somministrazione di interviste comuni ad attori della filiera in tutti e quattro i Paesi coinvolti. Il tutto con un duplice obiettivo: fotografare la situazione nel presente e sondare quale fosse la percezione della necessità di cambiamento.
“Siamo quindi ancora in una fase esplorativa” sottolinea l’intervistato, “ma già da queste prime occasioni di dialogo è emerso come oggi il tema della sostenibilità abbia molte sfumature. Non riguarda solo le emissioni di CO2, ma anche la lotta contro gli sprechi, la ricerca di soluzioni di green economy, l’efficienza energetica delle imprese e la vulnerabilità ai fattori esterni. Ora è necessario parlare anche di strategie di sopravvivenza delle filiere.”
Benessere animale, economia circolare, marketing: sono leve di sostenibilità?
All’Università di Ferrara, si stanno studiando le modalità di somministrazione del cibo agli animali, il packaging del prodotto, le strategie di mercato che possano garantire soluzioni migliori per l’ambiente, per i consumatori e per i produttori. Le altre Università, invece, si concentrano sul ruolo del consumatore, su come reagisce ai segnali del mercato e, in ultima istanza, su come può orientarlo.
“Le aziende della filiera, concentrate in Italia soprattutto in alcune aree (Emilia-Romagna, Veneto, Lombardia e Piemonte), sono consapevoli del fatto che la zootecnica è percepita come un problema dal punto di vista della sostenibilità” aggiunge il professor Bartolini. Per questo sono già in molti a sperimentare soluzioni innovative e molta importanza viene data al tema del benessere animale. Ci sono poi realtà, come ad esempio Origami Organics oppure Milk Brick, che sfruttano gli scarti della filiera in ottica circolare per dare vita a nuovi prodotti a ridotto impatto ambientale.
“In generale osserviamo come i colli di bottiglia ora riguardino le tecniche di allevamento intensivo e l’alimentazione degli animali” specifica Bartolini, che aggiunge: “da qui si può capire come si può cambiare, coniugando la sostenibilità con una forma di reddito per le aziende agricole.”
La sostenibilità riguarda anche il consumatore
La complessità del tema della sostenibilità, infatti, è tale per cui non esistono soluzioni universali o semplici. Ogni prodotto agricolo, come ad esempio il latte, proviene da una filiera che è condizionata dalla domanda di quel bene. In altre parole, si producono latte, formaggi, latticini e altri prodotti caseari anche in base a quanti ne vengono acquistati e consumati.
È la strategia europea Farm to Fork ad individuare per prima l’importanza dell’influenza che anche i singoli consumatori hanno sul processo di sostenibilità di filiera. “Il cambiamento può essere virtuoso se, da un lato, assistiamo ad un aumento degli standard di tutela dell’ambiente e, dall’altro, un calo dei consumi dei prodotti che generano più emissioni di gas serra” aggiunge il professor Bartolini. “Il rischio è proporre soluzioni particolarmente efficaci ma troppo onerose per le aziende e, allo stesso tempo, far approdare sul mercato una quantità di prodotti di alta qualità ed ecosostenibili insufficienti per soddisfare i consumatori che, quindi, si troveranno a dover acquistare prodotti importati da luoghi dove, magari, non c’è la stessa attenzione al tema. Quale sarà stato il vantaggio, allora, di aver spinto verso la sostenibilità le aziende per ridurre l’inquinamento, se poi si continuerà ad acquistare e commerciare alimenti che inquinano?”
Si tratta naturalmente di riflessioni e ipotesi che verranno affrontate, approfondite e studiate dal team internazionale di ricercatori del progetto SmartDiary, che si concentrerà sulla filiera zootecnica del latte. Ciò che è importante ricordare in conclusione, ci dice il professore dell’Unviersità di Ferrara, è che “siamo abituati a pensare alla zootecnica come agli allevamenti intensivi della Pianura Padana, ma non c’è solo questo. In Italia l’allevamento è spesso anche in aree marginali o montane dove la filiera è anche presidio del territorio e del paesaggio.” L’evoluzione verso un latte a “impatto zero” è, dunque, tortuosa e complessa: seguiremo gli step successivi del progetto SmartDiary per poter raccontare anche le soluzioni.