Un progetto di economia circolare che parte dal recupero dell’allevamento del baco da seta, un tempo molto diffuso in Italia: è la Silk Urban Farm, nata dalla collaborazione tra Marco Ceriani, fondatore di Italbugs, startup concentrata sui processi di allevamento di insetti per l’alimentazione, e il Future Food Institute (FFI) di Bologna. Abbiamo chiesto al dottor Ceriani e al Community manager del FFI, Valerio Pappalardo, di raccontarci questo progetto e con loro abbiamo parlato di innovazione e cibo del futuro.
Il Future Food Institute
Fondato a Bologna nel 2014, il Future Food Institute si occupa del cibo come strumento chiave per affrontare le grandi sfide del futuro, con progetti come la Food Innovation Global Mission, di cui vi abbiamo raccontato l’anno scorso.
“Il Future Food Institute è un ecosistema, – spiega Pappalardo – lavoriamo su più fronti e siamo dei facilitatori dei processi innovativi, ma facciamo anche molta formazione. Organizziamo eventi, hackaton in cui coinvolgiamo gli studenti, operazioni di open innovation e favoriamo la collaborazione tra startup: uniamo gli sforzi usando un metodo cooperativo”. Il FFI lavora molto sia con i Ministeri che con le aziende e le scuole, e tra i progetti più importanti, racconta l’intervistato, c’è il Food Innovation Program, un master di II livello in collaborazione con l’Università di Modena e Reggio Emilia e l’Institute for the Future, che accoglie studenti di tutto il mondo provenienti da diversi background e unisce la teoria al design thinking e alla pratica per formare innovatori e imprenditori del settore alimentare. Dal forte orientamento alla novità e al cambiamento è nata anche la Silk Urban Farm bolognese.
Allevamento baco da seta: la Silk Urban Farm tra innovazione e tradizione
L’allevamento dei bachi da seta in Italia è stato praticato fino al secondo dopoguerra, periodo nel quale la concorrenza di fibre sintetiche e del prodotto estero l’ha resa poco remunerativa e ha portato alla sua scomparsa. L’allevamento del baco da seta (Bombyx mori, della famiglia delle Bombycidae), però, è stato recentemente reintrodotto nel nostro Paese grazie alla Silk Urban Farm, prima farm italiana dedicata, un progetto che mira al recupero di questa tradizione e alla sua innovazione attraverso il modello dell’economia circolare.
“Silk Urban Farm – racconta Valerio Pappalardo – nasce in collaborazione con Marco Ceriani, all’interno del nostro Future Food Urban Colab di Bologna. La caratteristica più importante di questo allevamento è la possibilità di standardizzazione: il baco può essere facilmente allevato anche in centro città, come avveniva in passato, e si presta a diventare un modello sostenibile.
Un allevamento sui generis
Nella produzione della seta, infatti, la crisalide sarebbe lo ‘scarto’, ma possiamo usarla per produrre delle farine dall’ottimo profilo nutrizionale”. Il baco da seta è molto ricco di proteine e apporta amminoacidi essenziali, e la farina ricavata da esso è già stata usata per il Panseta, il panettone brevettato da Marco Ceriani, il quale ci racconta che: “il baco ha un ciclo vitale breve, come quasi tutti gli insetti, e questo è molto importante a livello igienico-sanitario, perché consente l’allevamento in condizioni asettiche, inoltre sappiamo già come fare. Un altro vantaggio è che non si tratta di un parassita: il baco ha bisogno di essere nutrito, con foglie dalle quali attinge anche l’acqua”.
Un’innovazione che affonda le sue radici nelle tradizioni, italiane ma soprattutto provenienti da altri Paesi, nei quali gli insetti si mangiano da secoli. Ma sarà davvero questo il cibo del futuro?
Insetti e novel food: la rivoluzione dietro l’angolo
Il Regolamento Europeo sui novel food, in vigore da gennaio 2018, ha modificato l’iter di autorizzazione dell’immissione sul mercato di insetti e prodotti alimentari a base di insetti. L’Italia non si è ancora adattata, a livello legislativo, ma la rivoluzione sembra ormai dietro l’angolo, come spiega Pappalardo. “Gli insetti fanno parte dei novel food introdotti dalla nuova regolamentazione. Se vogliamo entrare in un mercato che li vede come parassiti, dobbiamo lavorare sull’aspetto nutrizionale. All’estero si lavora molto con le farine, o comunque proponendo prodotti che prescindono dall’insetto intero, ma è una questione di impostazione mentale, per molti la sola idea dell’insetto come cibo scatena forte disgusto”.
In altri Paesi europei lo scoglio legislativo è già stato superato, come ad esempio in Olanda, dove ci sono già dei coffee shop che hanno bagel con insetti – racconta Ceriani -. “Si tratta di un paradosso, come dico spesso: se mostrassimo un suino senza una zampa, probabilmente non venderemmo molti zamponi. Nel caso degli insetti se li presentiamo sotto forma di farina, sono più facilmente accettabili e verranno assaggiati”.
L’insetto ha per ora un posizionamento simile al sushi, è un prodotto d’élite, – spiega l’intervista – quando il cibo giapponese o cinese è arrivato in Italia, non c’erano gli all you can eat, ma solo pochi ristoranti. Va detto poi che non stiamo parlando di una cosa che non conosciamo, ma di una specie di gambero, di terra e non d’acqua: funzionalmente, nutrizionalmente e a livello biochimico è uguale, e il problema è soltanto cosa gli do da mangiare e come lo allevo. Il disgusto è soggettivo, ma attaccare l’insetto sulle prassi igienico-sanitarie non sta in piedi. Naturalmente il mondo scientifico sta lavorando molto sui rischi, per verificare che mangiando insetti non si sviluppino intolleranze e allergie, proprio per la loro vicinanza ai crostacei”.
Una rivoluzione culturale
Ceriani, che sabato scorso ha presentato il suo libro “Né ossa né lische – guida alle nuove proteine che fanno discutere l’Europa” al festival CondiMenti di Castel Maggiore (BO), afferma: “abbiamo un problema col cibo, e non sono gli insetti. Oggi il cibo è sempre meno un prodotto agricolo: mi sconvolge sapere che in America l’80% dei ragazzi a cui è stato chiesto cosa fosse il brown milk (latte al cioccolato, ndr) abbia risposto che è il latte delle mucche marroni. Nelle grandi città, molti bambini non sanno se la carota o la melanzana crescono sopra o sotto la terra; molti marchi vendono prodotti già pronti, come la pasta da reidratare, per andare incontro alle richieste del mercato”.
Siamo quello che mangiamo, come si sa, solo che ormai non tutti sanno davvero cosa mettono sulle loro tavole. Questo allontanamento dal cibo “vero” è causato molto spesso, della mancanza di tempo, che porta anche il consumatore italiano a scegliere sempre più frutta e verdura confezionate, ad esempio. C’è poi la volontà di risparmiare, ma Ceriani ricorda che “quando compriamo un hamburger, una bottiglia d’olio o di passata di pomodoro a un prezzo molto basso, dobbiamo essere consapevoli che si tratta spesso di un prodotto di qualità altrettanto bassa. Il consumatore dovrebbe essere in grado di sapere cosa sta mangiando, ma spesso questa consapevolezza manca, perché il cibo industriale è pieno di conservanti ed eccipienti. Per quanto riguarda i novel food, è assolutamente necessaria la regolamentazione: allevamenti del baco da seta, come quello della Silk Urban Farm, o di altri insetti devono chiaramente rispettare degli standard di sicurezza”, sostiene il fondatore di Italbugs.
Il ruolo degli insetti nell’innovazione alimentare
In questo panorama, mentre la popolazione mondiale continua a crescere e sempre più persone devono fare i conti con la scarsità delle risorse disponibili, gli insetti sono una proposta concreta di innovazione. “Gli insetti vivono già in concentrazione, quindi non necessitano di antibiotici – spiega Ceriani –
la FAO li ha scelti perché si tratta di animali ubiquitari, che si trovano in tutto il mondo, e la necessità di nutrire le popolazioni che stanno andando verso le monocolture è sempre più pressante. La buona notizia è che l’insetto si può allevare ovunque, anche in casa, in 30 metri quadri. Naturalmente è necessaria una regolamentazione, a garanzia del consumatore: la loro alimentazione dovrà essere controllata, ad esempio”.
Quello che è certo, è che il modo attuale di vivere e di mangiare non è più sostenibile e lo sarà ancora meno nei prossimi anni, per questo si sta lavorando molto su soluzioni alternative, come carne sintetica, sulla quale anche il FFI sta portando avanti delle ricerche. “Il cibo del futuro è una definizione molto forte – afferma Pappalardo – nel senso che non c’è un solo cibo del futuro, così come non ci sono diete uguali per tutti, ma l’insetto può essere una risorsa straordinaria dal punto di vista alimentare, che non bisogna sottovalutare né ridicolizzare, perché è un alimento che offre una fonte di proteine alternativa. Magari non saremo noi italiani i più grandi consumatori, ma potremmo essere gli innovatori. Non è necessario che l’Italia diventi il mercato di riferimento, potremmo esportare a Paesi esteri. Si tratta di una grande opportunità di investimento, che può garantire ottimi risultati grazie alla facilità di standardizzazione”.
Insomma, i presupposti per accogliere questo cambiamento ci sono tutti: si tratta di novel food per il mondo occidentale, ma per altri Paesi, come sappiamo, l’insetto fa già parte della tradizione ed è una fonte importante di proteine, e chissà che non possa prendere piede anche da noi. “Non dimentichiamo che le tradizioni sono soltanto innovazioni che si sono rivelate talmente valide da consolidarsi nel tempo. Gli spaghetti con pomodoro e basilico, che consideriamo tradizionalmente italiani, sono un mix di prodotti e culture. Quando inizia la tradizione? Troppo spesso quando fa comodo a noi, ma nelle scelte alimentari ci sono motivazioni sociologiche e culturali, e il cibo da questo punto di vista non mente mai. Il consumatore deve cambiare, – conclude Pappalardo – infatti nel futuro dovrà essere molto più attento, consapevole e colto, per questo noi crediamo molto nella formazione e lavoriamo con le scuole. Viste le problematiche legate al cambiamento climatico e alla scarsità di cibo, è necessaria un’altra grande rivoluzione, anche culturale”.
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