Sfamare il pianeta? Basterebbero i numeri dello spreco alimentare

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1,3 miliardi di tonnellate di cibo vengono date in pasto all’immondizia: 670 milioni provengono dai paesi industrializzati, 630 da quelli in via di sviluppo. Per un totale di 750 miliardi di dollari, ovvero 565 miliardi di euro.
Sono i dati sullo spreco alimentare che la Fao ha riportato in occasione della Giornata Mondiale dell’Alimentazione.

Se a questi grandi numeri non riuscite a dare un valore tangibile vi aiutiamo noi: quello che buttiamo sarebbe in grado di sfamare 2 miliardi di persone, un dato “non eticamente sostenibile” per usare le parole con cui ha commentato Coldiretti. Perché ad avere bisogno di cibo sono ancora 805 milioni di persone.

Ecco il paradosso: paesi sviluppati e in via di sviluppo discutono su come Nutrire il pianeta, si adoperano per trovare geniali e innovative soluzioni che mettano fine alla fame del mondo e pongano rimedio alla crescita demografica. E nello stesso momento, buttano nella spazzatura una quantità di cibo che potrebbe sfamare la popolazione mondiale.

Lo spreco che uccide il pianeta
A ciò che abbiamo detto, come se non bastasse, si aggiunge il fatto che gli alimenti prodotti e non consumati hanno un impatto pesantissimo anche sullo stato di salute del nostro pianeta. Sapete quanto è “costato” all’ozono produrre quel miliardo e mezzo di tonnellate? Immaginate le immissioni di Co2 causate dai trasporti su strada negli U.S.A. e moltiplicatele per due: 3,3 miliardi di tonnellate.

Come ridurre gli sprechi alimentari? Rimedio numero 1
Se n’è parlato al seminario sulla lotta agli sprechi alimentari organizzato dal Governo in occasione della Giornata Mondiale dell’ Alimentazione. E si è arrivati alla conclusione che ogni rotella dell’ingranaggio dell’industria alimentare, dal contadino al consumatore, deve contribuire all’inversione di rotta.
Primi fra tutti, sicuramente, i produttori: circa il 54% del cibo infatti viene sprecato nella fase di produzione, lavorazione post-raccolto e stoccaggio. Il restante 46% si perde invece durante la lavorazione, la distribuzione e il consumo. Il primo passo da fare è dunque quello di migliorare le tecnologie attualmente responsabili di questa dispersione. Il secondo:sensibilizzare il consumatore.

Rimedio n.2: educazione anti-spreco
Quali sono le cause che inducono il consumatore allo spreco?
Andrea Segrè, fondatore di Last Minute Market, intervistato da “L’Huffington Post”,risponde che la prima motivazione che fa finire un alimento nel cestino è l’aver fatto la muffa, seguita dai cibi scaduti, andati a male fuori dal frigo -nel caso di frutta e verdura- e per cattivo odore o sapore. Ci sono poi cause minori come l’aver cucinato troppo cibo e l’aver calcolato male gli acquisti. Bisogna quindi educare il consumatore a cambiare abitudini e a fare maggiore attenzione, dandogli gli strumenti per evitare lo spreco del cibo.

Una lezione che l’Italia, comincia lentamente a far sua: l’ultimo sondaggio realizzato dall’Osservatorio sugli sprechi alimentari Waste Watcher promosso da Last Minute Market, ci dice infatti che, in soli 4 mesi, la quantità di cibo sprecato settimanalmente dagli italiani è scesa da 213 a 198 grammi.

Rimedio n. 3: tecnologia
Negli ultimi anni lo abbiamo capito: per tutto il resto c’è l’app. C’è sempre un’app che ci viene in aiuto, in qualsiasi momento e per qualsiasi azione della nostra quotidianità. Ci sono persino delle app che ci aiutano nella lotta contro l’abitudine allo spreco. Noi vi segnaliamo Fame Zero, app creata dalla Caritas per supportare l’omonimo progetto, che vuole coordinare donatori, distributori e centri di raccolta cibo. Se app, iphone e smartphone non fanno per voi, abbiamo anche una community scambiacibo, che vi consente di barattare gli alimenti che pensate di non consumare.

Gli strumenti per contenere lo spreco alimentare ci sono: non abbiamo più alibi a difendere la nostra disattenzione.

 

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