Il 12 settembre 2018 il Tribunale Penale di Lecce ha condannato il proprietario dell’agenzia PromoSalento a 9 mesi di reclusione e al pagamento di circa 8 mila euro per le spese legali e i danni provocati al colosso dei viaggi online, TripAdvisor. L’accusa? Aver venduto, a partire dal 2015, pacchetti di recensioni false a strutture di tutta la penisola. Si tratta di una sentenza storica, come dichiarato da Brad Young, VP Associate General Counsel di TripAdvisor, che segna un precedente significativo per il diritto e per la tutela dei consumatori. È infatti la prima volta che la compravendita di recensioni online viene perseguita penalmente. Di fronte alla soddisfazione dell’azienda americana, non si può però fare a meno di porre l’accento su un problema antico a cui, è evidente, non si è ancora trovato rimedio: quanto c’è di vero nel feedback lasciato su questa e altre piattaforme da parte degli utenti? E quanto ci si può fidare?
[elementor-template id='142071']Sentenza storica per le recensioni false su TripAdvisor: dall’indagine alla condanna
È la stessa TripAdvisor a fornire i dettagli dello svolgimento delle indagini che hanno portato alla condanna del rappresentante di PromoSalento, autore di oltre 1.000 commenti fasulli, nel frattempo individuati, rimossi o bloccati da TripAdvisor. Tutto inizia nel 2005, quando la divisione investigativa del gigante USA intraprende un’attività di identificazione dei soggetti coinvolti nella pubblicizzazione e commercializzazione di servizi di recensioni a pagamento, tra cui PromoSalento. Nello stesso anno, infatti, sono oltre 60 aziende di tutto il mondo ad essere sospese dal sito web per lo stesso motivo. Il caso dell’agenzia salentina, però, è proseguito oltre e, dopo aver declassato le realtà ricettive che avevano preso contatto con PromoSalento, TripAdvisor ha intrapreso una proficua collaborazione con la Polizia Postale e delle Comunicazioni, già sulla pista di PromoSalento per via della segnalazione di un ristoratore di Trieste. Le prove portate a processo dalle autorità competenti e dal gigante americano, costituitosi parte civile, sono state sufficienti a condannare la società pugliese al pagamento della sanzione pecuniaria e a quasi un decennio di reclusione.
I reati: truffa e sostituzione di persona
Due sono i reati riconosciuti dal Tribunale Penale di Lecce: la truffa e la sostituzione di persona. Sono infatti diverse le leggi che, a livello nazionale ed Europeo, regolamentano i comportamenti sleali in fatto di informazione e pubblicità, come ad esempio il Codice del Consumo. Emanato dal Ministero dello Sviluppo Economico Italiano con Decreto legge Economico del 6 dicembre del 2005, tale Codice riconosce ai consumatori alcuni fondamentali diritti a propria tutela tra cui quello ad una “adeguata informazione e corretta pubblicità”. Sempre a partire dal 2005, anno ricorrente in questa storia, l’Antitrust – Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – ha ottenuto il potere di imporre multe per le violazioni circa la pubblicità ingannevole, che fino a quel momento poteva solamente reprimere senza sanzionamenti ulteriori.
A livello europeo, invece, le linee guida derivano dalla Direttiva Europea 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori che definisce come pratica ingannevole “ogni azione commerciale che contiene informazioni false e sia pertanto non veritiera o possa ingannare il consumatore medio – anche se l’informazione è di fatto corretta – e portarlo ad assumere una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe assunto”.
Al pari di altre pratiche commerciali scorrette, secondo la legge italiana, anche la creazione di un profilo falso costituisce reato (sostituzione di persona) se l’intento è quello di trarre profitto dalle azioni attribuite a quel profilo. Se si considera che, secondo le stime fornite da TripAdvisor, oltre il 77% degli utenti è influenzato dalle recensioni che menzionano un servizio “Eccellente”, è evidente come l’inserimento controllato di pareri positivi da parte di PromoSalento potesse avere ripercussioni sulle decisioni d’acquisto dei viaggiatori.
Recensioni false e commenti a pagamento: un vecchio problema
Il problema, si diceva, è però annoso ed esteso, perché intrinseco alla piattaforma di viaggi e a tutte quelle che si basano sulla cosiddetta “reputation economy”. Il sistema di recensioni costituisce infatti la base del meccanismo di fiducia che si instaura tra gli utenti e, molto spesso, ne influenza il comportamento. In altre parole, la valutazione di alberghi, ristoranti, e simili da parte dei clienti è tenuta sempre più in considerazione quando si tratta di fare acquisti o prenotazioni online. TripAdvisor, in particolare, ha fatto proprio di questo sistema il suo cavallo di battaglia, adottandolo contro ogni tendenza fin dal 2000, secondo solo ad Amazon (1995) e ben sei anni in anticipo su Facebook. Nonostante la materia fosse delicata, perché il rischio di interventi truffaldini era ben chiaro fin da allora, negli anni TripAdvisor ha implementato questa logica sviluppando anche un metodo di rating delle strutture turistiche presenti nel proprio database.
La classifica di popolarità si basa su un algoritmo sviluppato ad hoc che incrocia qualità delle recensioni, attualità (i commenti più recenti contano di più di quelli più vecchi) e quantità. Il tutto, in un mix che intende premiare la generale coerenza tra l’opinione dei clienti e i servizi offerti dalle strutture. È evidente come questa modalità possa incentivare la partecipazione degli stessi albergatori e ristoratori, che sono così motivati a richiedere recensioni e punteggi (positivi) ai loro clienti.
D’altra parte, sottrarsi alla logica dell’economia reputazionale è praticamente impossibile: sono 7.7 milioni gli alloggi, compagnie aeree, esperienze e ristoranti di tutto il mondo recensiti sul sito web e continuamente aggiornate. Le strutture su TripAdvisor sono generate automaticamente ogni volta che un utente propone la sua recensione e, per questo, sono ipoteticamente già tutte presenti sulla piattaforma. Basti pensare che, tra le location in database, ci sono anche posti remoti come Ittoqqortoormiit in Groenlandia (58 recensioni), l’isola dei pinguini Macquarie Island in Australia e, per gli amanti dei viaggi immaginari, anche il Grand Budapest Hotel del film di Wes Anderson, con 361 recensioni a suo favore. Non a caso, TripAvdisor accoglie così i proprietari che accedono alla sezione a loro dedicata: “La vostra struttura è già su TripAdvisor. Non vi resta che sfruttare i vantaggi del portale di viaggi più grande del mondo”.
È evidente, quindi, quanto contino le recensioni degli utenti e la classifica di popolarità in un sistema simile. E di conseguenza quanto sia importante effettuare controlli costanti e precisi per verificarne l’affidabilità ed eliminare i commenti falsi.
TripAdvisor dichiara il suo impegno in questo tipo di verifiche che sono possibili anche grazie al complesso impianto di monitoraggio dei commenti sviluppato internamente per smascherare le frodi. Eppure, stroncare il fenomeno non è affatto semplice, proprio perché spesso “favorito” dalla politica della stessa piattaforma.
TripAdvisor vs. Antitrust: il caso del 2014
Solo quattro anni fa, infatti, le parti in tribunale erano invertite e l’Antitrust – su segnalazione di alcuni consumatori, dell’Unione nazionale dei Consumatori e di Federalberghi – condannò TripAdvisor e la sua divisione italiana al pagamento di una sanzione di 500 mila euro per aver enfatizzato il carattere veritiero delle segnalazioni lasciate dagli utenti.
Annullato dal TAR del Lazio l’anno successivo, il provvedimento non ha mai avuto luogo perché, secondo quanto scritto nella sentenza del TAR, era impossibile per TripAdvisor “verificare i fatti riconducibili a milioni di persone” e il consumatore era, anzi, messo nelle condizioni di ricevere informazioni chiare, complete e non diffamatorie. Anche quest’ultimo pronunciamento è stato poi impugnato davanti al Consiglio di Stato che, ad oggi, non si è ancora espresso in merito.
La questione delle recensioni false rimane, pertanto, più che aperta. Cosa ne pensate?