Giornale del cibo

Più di una semplice confettura: la tradizione della scrucchiata abruzzese

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Può un vasetto di confettura essere una missiva d’amore? Di storie attorno alle comunicazioni epistolari ce ne sono tante, probabilmente tra le più intense si possono annoverare le 20.000 lettere di Juliette Drouet (considerata nell’800 una delle donne più belle di Parigi) a Victor Hugo, gran parte delle quali lasciate nella cavità di un albero di castagno, o quelle di Frida Kahlo a Diego Rivera, senza dimenticare le più recenti righe di Oriana Fallaci all’amante Alekos Panagulis. Tutte lettere d’amore, pregne di sentimento, scritte da donne. E sempre da donne, tradizionalmente dalle signore di casa, veniva e viene tuttora (anche se molto meno come accade per tutte le preparazioni che hanno origini lontane) prodotta la scrucchiata, tipica confettura d’uva abruzzese. Oggi scopriamo cos’è questo prodotto, perché è così rappresentativo dell’Abruzzo, come si realizza e perché è al pari di una struggente e immortale lettera d’amore.

La scrucchiata come lettera e dono d’amore: il messaggio non scritto

Scrucchiata confettura
Foto di Laura Toppeta

Ero nel cuore dell’Autunno scorso quando, per la prima volta nella mia vita da enogastronomo, si palesò alla mia porta non il solito omaggio recapitato dall’ufficio stampa di turno, ma un vasetto in vetro contenente una pasta scura. Marmellata, immaginai. Le vendemmie erano ormai giunte al termine, l’uva era già diventata mosto, una buona dose acquistata come vinaccia per la grappa e tutto il processo intorno al vino faceva il suo corso, come ogni anno. Ma alla scrucchiata proprio non pensavo. Non potevo immaginare che quel prodotto, tanto alto culturalmente quanto semplice per origini, potesse giungere fino a Milano per mano di una donna. Si presentò alla porta ma lo custodiva in borsa, lo tirò fuori come un cimelio prezioso che aveva attraversato mezza Italia e che era arrivato sano e integro: “ti ho portato la scrucchiata abruzzese preparata appena qualche giorno fa, l’ho fatta insieme a mia madre” mi disse, “sai cos’è si?”. Sorrisi e fu subito amore.

Ché andare a trovare qualcuno con un pensiero tra le mani, meglio ancora se godereccio, sia uso e costume di rispetto ed educazione si sa, ma quando a giungere nella dimora di un espatriato è un prodotto così primordiale… era come se fosse arrivato il sole nella grigia Milano e aveva il sapore dei vigneti della mia terra.

Non molti sanno, abruzzesi compresi, che la scrucchiata non era soltanto un dono di cortesia di visita o di vera e propria sussistenza per il periodo invernale (nonne e zie la facevano per i nipoti, oppure la lasciavano nel tinello di casa per ogni esigenza, soprattutto per le preparazioni casalinghe), ma rappresentava anche un presente d’amore. L’impegno, la fatica e la pazienza per prepararne anche solo un vasetto erano il chiaro segno di amore nei confronti dell’amato. Oggi ben altri oggetti legati al consumismo hanno sostituito gesti di questo tipo, ma qualche fioco lume di buona, sana e vecchia abitudine sentimentale ancora sopravvive.

Scrucchiata abruzzese: cos’è e origini del nome

Raphael Comber Sales/shutterstock.com

È caratterizzata da un colore violaceo scuro e da un sapore dolce, contraddistinto da un leggero retrogusto amarognolo, a volte lievemente acidulo. È ancora una delle tipicità meno conosciute fuori regione, la tipica confettura d’uva abruzzese, confezionata utilizzando uve di vitigni autoctoni a bacca rossa, principalmente della varietà Montepulciano, vendemmiate quando hanno superato lo stato di maturazione ottimale. La preparazione casalinga di questa confettura ha una lunga tradizione ed è trasmessa oralmente di generazione in generazione. Vi starete chiedendo cosa c’è di così profondo nella realizzazione di una semplice confettura. Evidentemente ogni condivisione legata al cibo ha qualcosa di speciale, ma in questo caso il lavoro minuzioso perpetuato negli anni, nonché nelle ore durante il processo produttivo, ne fanno qualcosa di unico. Una volta infatti che gli acini interi vengono selezionati e staccati dai raspi, si procede a schiacciarli, sempre a mano, tramite l‘operazione detta di “scrocchiatura”, termine che dialettalmente le dà il nome di scrucchiata: non è poi così difficile quindi comprendere il perchè si chiama così, giusto?

Il lavoro è lungo e preciso, oltre che amorevole, e richiede la pazienza che solo le massaie abruzzesi posseggono. Noi vi proponiamo volentieri la ricetta originale e speriamo vogliate mettere le mani in pasta! 

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La ricetta casalinga della scrucchiata abruzzese

Non fatevi illudere, gli ingredienti sono due, a volte anche solo uva senza zucchero, ma la forza lavoro è tanta! Rimboccatevi le mani e buon lavoro.

Ingredienti per 10 barattoli

Foto di Laura Toppeta

Procedimento

  1. Per prima cosa, bisogna lavare i grappoli d’uva e togliere gli acini dai raspi uno ad uno, escludendo quelli danneggiati.
  2. A questo punto, separate a mano i chicchi d’uva dai vinaccioli: il procedimento richiede calma e tempo (c’è anche chi oggi utilizza un passaverdure per far prima ma annientando la romantica poesia).
  3. Ponete i chicchi in una padella e, a fuoco lento, iniziate con una breve cottura sul fornello. Poi togliete dal fuoco e separate  la buccia ed eventuali semi residui: questa parte prevede l’utilizzo de lu pellicciola, un antico setaccio per la “passatura” dell’uva, composto da una serie di cerchi concentrici sostenuti da un supporto di legno (antico e prezioso quanto “la chitarra” con cui formare la famosa pasta fatta a mano).
  4. La passata ottenuta si riporta sul fuoco: aggiungete zucchero in misura di 200 g per chilo di uva (c’è anche chi non ne usa).
  5. Lentamente, sempre mescolando, procedete ad addensarla fino ad ottenere una consistenza viscosa: le signore di casa non guardano ovviamente le lancette ma le consistenze.
  6. Infine, se si desidera conservarla a lungo, bisogna mettere la confetturanei vasetti sterilizzati e capovolgerli per far formare il sottovuoto.

L’uso della scrucchiata nella tradizione abruzzese

Foto di Carmelita Cianci/visit.abruzzo/facebook.com

Si tratta di una confettura di altissima godibilità, e per questo molti la consumano pura lasciandosi inebriare dal sapore intatto dell’uva matura. Ma spesso è anche utilizzata come base per la preparazione di tipici dolci della tradizione abruzzese, come i “calcionetti”, dolci fritti natalizi preparati anche nel Chietino con un ripieno di ceci, a L’Aquila con mandorle, a Teramo con della crema di castagne. Oppure, la scrucchiata è usata per accompagnare le “neole”, ossia delle cialde cotte in un ferro – da qui anche il nome “ferratelle” – realizzate semplicemente con uova, farina, zucchero e con l’aggiunta di scorza di limone o anice per aromatizzarle, di consistenza morbida o croccante (attenzione, danno dipendenza).

 

Storie e gesti tramandati oralmente dalle nonne alle nipoti, senza troppe regole, solo amore, dedizione e l’immortale “guarda e impara”. Conoscevate l’antica tradizione della scrucchiata abruzzese?

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