Km 0, stagionalità, plastic free e la lotta contro lo spreco alimentare incontrano la mixology. Nasce così, dall’esigenza di costruire un presente più sostenibile, l’associazione Scarto che, da settembre 2018, ha aperto a Bologna il primo bar in Italia dove gli “scarti” sono protagonisti nel bicchiere, e da poco anche in cucina. Come funzionano, quindi, i drink a zero spreco? L’abbiamo chiesto ad Alessio Ghiringhelli, barman di Scarto, cocktail bar davvero unico nel suo genere.
Scarto, il cocktail bar con i drink a “zero spreco”
L’idea di Scarto è nata da una chiacchierata tra amici, come spesso capita. La questione era la sostenibilità, un tema sempre più caro agli italiani, e come coniugarla con il mondo del beverage e della mixology. Il primo a pensarci è stato Carsten Steinacker, architetto tedesco e barista per hobby, che si chiedeva come mai per realizzare i cocktail che beviamo ci siano così tanti sprechi. “Si è chiesto – ci racconta Alessio – se fosse possibile trovare una maniera differente per poter lavorare in un bar. Da lì, all’inizio del 2018, è partita la ricerca di un team e di uno spazio, trovato a Bologna, per poter realizzare questo esperimento”.
Un’intuizione che si è trasformata in un’associazione e, dal settembre 2018, in un locale aperto ai soci: Scarto, in via della Braina, nel pieno centro storico di Bologna. “Siamo in quattro e ci occupiamo di tutto, dai rapporti con i fornitori alla cucina fino alle attività di divulgazione e formazione per una cultura che contrasti gli sprechi alimentari”. Il problema è, infatti, ampio e urgente: secondo i recenti dati dell’Osservatorio Waste Watcher, lo spreco alimentare in Italia vale 15 miliardi di euro e ciascun cittadino butta quasi 700 grammi di cibo alla settimana.
[elementor-template id='142071']Economia circolare senza buttare nulla
L’attività di Scarto viene organizzata, dunque, per evitare il più possibile di gettare cibo all’interno del bar. “Applichiamo metodi di conservazione tradizionali e naturali come la fermentazione – ci spiega il bartender – per poter allungare i tempi di vita dei prodotti fino a che non sono pienamente utilizzati.” Ogni parte degli alimenti ha, inoltre, un suo ruolo: bucce e torsoli vengono trasformati in ingredienti per i drink. Chiediamo ad Alessio di farci qualche esempio: “le bucce sono perfette per le infusioni, mentre altre parti vengono caramellate e utilizzate come garnish. Tutto, anche le decorazioni, è funzionale a evitare gli sprechi”.
Anche la stessa filiera dei fornitori è orientata a innescare un circolo virtuoso per cui all’azienda agricola verrà chiesto di produrre esattamente ciò di cui c’è bisogno. “Stiamo collaborando già con un agricoltore di Faenza, proprio per elaborare un piano di semine annuali che aiuti ad agire sul tema dello scarto sin dall’inizio della produzione”.
Cosa si beve da Scarto?
“Nella nostra carta – spiega Alessio – trovate i cocktail classici, dal gin tonic ai vari drink a base Martini, ma aggiungiamo sempre qualcosa: destrutturiamo le ricette classiche per ricreare profumi e sapori con quello che potrebbe non essere convenzionale”. Gli chiediamo di spiegarci meglio: “prendiamo ad esempio gli agrumi, che vengono utilizzati molto spesso nella mixology, ma sono disponibili freschi solo alcuni mesi all’anno. D’inverno, quindi, possiamo anche usare arance, mandarini o bergamotto (che preferiamo comunque evitare), mentre il resto del tempo manteniamo l’acidità nei drink attraverso un mix di frutta fermentata”.
Tutto di stagione, dunque, e tutto naturale. Si usano prima i cibi freschi, e poi quelli conservati, se non c’è alternativa. Troviamo anche erbe spontanee, pigne di cipressi, gemme di abete rosso: “queste ultime sono tra gli ingredienti più sorprendenti che usiamo: è molto citrica e fruttata, talvolta è perfetta addirittura per sostituire i frutti rossi”.
Un altro esempio è l’uso delle ciliegie in salamoia al posto dell’oliva nel Martini, oppure il pane raffermo utilizzato per il Kvas, un drink originario dell’Europa dell’Est e che, un tempo, veniva proposto in Ucraina come alternativa alla Coca Cola. “Si prepara – spiega l’intervistato – mettendo il pane vecchio secco in infusione in acqua, dove viene fatto fermentare”.
La filosofia del drink senza sprechi
La filosofia è quella del recupero sia degli “scarti” che delle tradizioni dimenticate. “Ci sono decine di vecchie ricette che si possono studiare e proporre, non dimentichiamo che fino a pochi anni fa non c’erano i frigoriferi e si usavano metodi alternativi per conservare i cibi”. Non è semplice, però, riuscire a superare lo scetticismo del cliente che, oggi, è abituato a gusti diversi.
“All’inizio – ricorda Alessio – le persone di chiedevano spesso se ‘gli facevamo bene le cose marce’. Da un certo punto di vista è vero, perché usiamo ingredienti che spesso andrebbero buttati, ma non significa che non siano ancora buoni o funzionali”. Anche abituarsi ai sapori nuovi non è stato semplice: il Gin Tonic di Scarto, per esempio, è preparato con acqua tonica fatta in casa a partire dalla genziana, un sapore molto presente nel bicchiere.
Come abbattere i pregiudizi, se si può? “La chiave è il gusto – riflette il bartender – quando all’assaggio il drink piace, le barriere cadono. Da parte nostra non vogliamo essere integralisti, non stravolgiamo le ricette, cerchiamo di mitigare anche i sapori per normalizzare la nostra proposta. Smorziamo gli spigoli, mantenendo i prodotti a km 0 e senza sprechi, puntiamo sui metodi di produzione naturali (oltre alla fermentazione, anche l’essiccazione) e cerchiamo di offrire all’avventore qualcosa che piaccia”.
Un modello che, secondo Ghiringhelli, potrebbe essere applicato anche altrove: “bastano dei piccoli accorgimenti per mettere nel bicchiere più contenuto e meno forma, nell’ottica della sostenibilità”.
Conoscevate già il cocktail bar Scarto a Bologna?