Dagli scarti agricoli potrebbe arrivare una vera e propria svolta per le coltivazioni, in grado di rimpiazzare gli agrofarmaci con prodotti di uguale effetto ma totalmente biodegradabili e a impatto zero. Infatti, le ricerche del gruppo di Patologia vegetale del Dipartimento di Scienze agrarie e forestali dell’Università della Tuscia (DAFNE) hanno provato l’efficacia nella difesa fitosanitaria di nanocristalli ricavati da sottoprodotti delle filiere agricole. Questa metodologia, già applicata in laboratorio, è pronta per una diffusione su scala industriale, un passaggio fondamentale che potrebbe ridurre sensibilmente l’impiego di prodotti chimici, migliorando la resa in campo. Ma quali sono le caratteristiche e i vantaggi di questa scoperta? Per saperne di più abbiamo intervistato il professor Giorgio Mariano Balestra, a capo del team di ricerca che ha seguito il progetto e docente di Strategie di difesa ecosostenibile delle coltivazioni agrarie all’Università della Tuscia di Viterbo.
Nanotecnologie e scarti agricoli: lo studio dell’Università della Tuscia
Da tempo la scienza è impegnata a individuare strategie di protezione delle colture innovative e più sostenibili rispetto a quelle attualmente più diffuse, un ambito di studio orientato a una forma di utilizzo che potrebbe rivoluzionare le pratiche agricole. In questo filone, si inseriscono le sperimentazioni sulle nanotecnologie, che, dopo più di trent’anni dalle loro prime applicazioni in ambito medico e scientifico, sembrerebbero in grado di imprimere una svolta green contro gli effetti dei cambiamenti climatici, ma anche di implementare la qualità produttiva.
In questa direzione vanno le ricerche condotte dal gruppo di Patologia vegetale del Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia, coordinato dal professor Giorgio Mariano Balestra, del quale fanno parte il professor Francesco Sestili e i ricercatori Sara Francesconi, Daniele Schiavi e Linda Felici. Secondo il team di lavoro, le formulazioni biopolimeriche a base di nanocristalli di cellulosa (NCC) e nanoparticelle di lignina (NL) – ricavate grazie alla sintesi dei sottoprodotti di differenti filiere agroalimentari, come potature, lavorazioni e trasformazioni di vario tipo – risulterebbero particolarmente efficaci nella difesa fitosanitaria.
Come dichiara il professor Balestra, “i risultati hanno indicato come le biomasse, ottenute da scarti di varie coltivazioni erbacee e arboree, risultino un promettente materiale di partenza per la sintesi di nanocarrier ligno-cellulosici, evidenziando allo stesso tempo il potenziale dei nanocristalli di cellulosa e delle nanoparticelle di lignina come strumenti innovativi green per controllare infezioni microbiche a danno delle coltivazioni, senza alcuna interferenza sul fisiologico sviluppo delle piante stesse, riducendo l’incidenza delle malattie in modo equivalente o migliore rispetto a quanto registrato impiegando i sali di rame”.
Inoltre, aggiunge Balestra, “si tratta di ricerche nell’ottica di un’effettiva economia circolare, per ridurre l’impatto della chimica nella protezione delle coltivazioni da agenti di malattia, in particolare batteri e funghi. NCC e NL esprimono attività antimicrobica e antiossidante e, per le loro dimensioni, si distribuiscono in maniera ottimale sulle superfici vegetale e possono essere anche assorbite dalle piante”. Questi studi segnano un passo importante nella salvaguardia ambientale, come nella tutela degli insetti impollinatori – tema che abbiamo trattato occupandoci di crisi del miele e delle api – vittime degli agenti chimici usati in ambito fitosanitario.
Una difesa fitosanitaria efficace e un’agricoltura più sostenibile
Il professor Balestra precisa che “è la prima volta che si valuta la possibilità di sfruttare gli scarti di filiere agricole, come fonti innovative, per ottenere dei biopolimeri da riutilizzare per sviluppare strategie di protezione delle piante”. La strada delle nanotecnologie, del resto, potrebbe rivelarsi ottimale non solo per l’ambiente, ma anche per elevare la produttività delle coltivazioni, riducendo costi e perdite dovuti agli agenti patogeni, oggi aggravati dai cambiamenti climatici. Ad accrescere i punti di forza di questa tecnologia il fatto che “le materie prime proposte e i metodi estrattivi adottati si sono dimostrati un punto di partenza molto promettente, a costi contenuti, per aumentare anche il valore delle differenti filiere in un contesto di economia circolare”. Tutto ciò si aggiunge alla loro efficacia e alla loro confermata compatibilità fitobiologica: i nanomateriali testati risultano quindi particolarmente performanti nello sviluppo di nanoagrofarmaci sostenibili nel contrastare numerosi patogeni.
In particolare, i differenti nanocristalli di cellulosa e le nanoparticelle di lignina hanno mostrato un’azione antimicrobica e biostimolante specifica per ciascuna delle piante. Quelli ottenuti da piante di pomodoro, ad esempio, supportano il rilascio di chitosano, sostanza naturale efficace nel contrastare l’agente della picchiettatura batterica del pomodoro e della fusariosi della spiga del grano, due patologie assai dannose. Allo stesso modo, i nanocristalli e le nanoparticelle ottenuti da scarti della coltivazione del nocciolo (potatura e gusci delle nocciole) combattono l’agente della necrosi batterica. Infine, quelli derivati dalle potature dell’olivo proteggono la superficie fogliare delle piante di olivo dall’agente causale della rogna, con un’efficacia superiore a quella dei sali rame.
Le materie prime all’origine degli studi: da scarti a risorse
Queste ricerche hanno già ottenuto numerose pubblicazioni e sono inserite nell’ambito di progetti regionali e nazionali (LazioInnova, GRAEEN e MULTIFRU, MUR, SAFEMed e PON Nemesi) per la valorizzazione degli scarti da filiere agroalimentari, quali ad esempio rami di potatura e gusci di nocciole.
Il team del Dipartimento di Scienze agrarie e forestali dell’Università della Tuscia si sta concentrando soprattutto sugli scarti delle filiere di grano, pomodoro, vite, actinidia, nocciolo e olivo, misurandone appunto l’efficacia contro i microrganismi portatori di patologie alle stesse coltivazioni da cui si recuperano gli scarti.
La scelta di utilizzare cellulosa e lignina è spiegata dal fatto che queste materie prime sono i due biopolimeri più abbondanti presenti nel mondo vegetale e negli scarti delle coltivazioni. Inoltre, sono entrambi biodegradabili e vantano numerose e interessanti proprietà fisico-chimiche, meccaniche e antimicrobiche, tali da renderle idonee all’applicazione. “Lavorare su scala nanometrica (1 nanometro = 1 miliardesimo di metro) – prosegue Balestra – significa riuscire a ricondurre a dimensioni estremamente ridotte elementi presenti in natura e capaci di esprimere attività antimicrobica, presupposto che consente di utilizzarli in modo ottimale contro gli microrganismi dannosi”.
Inoltre, aggiunge il professore, “lo smaltimento degli scarti abbondanti e di difficile gestione rappresenta un costo, invece, così facendo, queste materie prime possono diventare una risorsa preziosa per molteplici applicazioni. Abbiamo approcciato le ricerche su filiere Made in Italy di eccellenza, afflitte da rilevanti problematiche parassitarie, ma le potenzialità applicative non hanno preclusioni”.
Dalla sperimentazione alla diffusione su larga scala
Come per tutte le ricerche finalizzate a un’applicazione industriale, anche in questo caso il passaggio è fondamentale. Nell’ambito delle attività descritte, sono stati avviati studi per comprendere al meglio i meccanismi biologici alla base delle attività di inibizione microbica già dimostrate, offrendo ai differenti attori delle filiere produttive le basi applicative per strategie ecosostenibili per la protezione delle coltivazioni agrarie, alternative ai prodotti chimici oggi impiegati. Pertanto, ci sono già le basi per avviare uno sviluppo industriale della metodologia, “per arrivare gradualmente a una riduzione significativa fino a una sostituzione degli agrofarmaci, ma vanno valutate caso per caso le problematiche fitoparassitarie e le coltivazioni. La metodologia è nota e i costi sono minimi, quindi non sarà difficile passare a una produzione su scala industriale, aprendo nuovi scenari applicativi nel settore agricolo” conclude Balestra.
Avete già sentito parlare di progetti per riutilizzare gli scarti delle filiere alimentari per impieghi ad alto valore innovativo e tecnologico?