Una piccola località capace di farsi conoscere ben oltre i propri confini grazie a un prodotto d’eccellenza che ne porta il nome: è il “miracolo” di un paese dal ricco patrimonio enogastronomico come l’Italia. L’esempio in questo senso più eclatante è la Focaccia di Recco IGP, ma il Prosciutto San Daniele DOP e il Culatello di Zibello DOP non sono certo da meno. La stessa cosa riguarda anche Varzi (PV), comune di poco più di tremila anime della Valle Staffora, nell’Oltrepò Pavese, che col suo salame tipico s’è guadagnato non soltanto la denominazione d’origine europea, ma soprattutto ha saputo conquistare tanti estimatori a ogni latitudine. In che modo? Andiamo ad approfondire, scoprendo tutte le ragioni che fanno del Salame di Varzi DOP una stella nel firmamento dei salumi italiani.
Il Salame di Varzi nei secoli: dai monasteri alla civiltà contadina fino alla DOP

Nonostante non ci siano tracce storiche documentabili, tanti elementi portano a supporre che il salame di Varzi abbia origini antiche. Già ai tempi dei Longobardi (VI-VIII secolo) si era diffusa l’usanza di produrre insaccati di carne da destinare alla conservazione. E in un’epoca dove non si poteva contare sui sistemi di refrigerazione, le tecniche per far durare nel tempo alimenti facilmente deperibili erano l’affumicatura, la salatura e l’essiccazione. Quest’ultime, in particolare, hanno permesso la diffusione del baccalà nella cucina regionale e di specialità locali come il missoltino. E sono la base anche del ricco panorama di salumi italiani, tra i quali il salame di Varzi occupa un posto d’onore.
Ad ogni modo, il contributo decisivo a creare l’insaccato che può essere considerato il vero antenato del salame di Varzi come lo conosciamo oggi sembra ascrivibile ai monaci benedettini. È all’interno dei monasteri, infatti, che si sarebbe affinata la realizzazione e la stagionatura di un prodotto apprezzato anche sulle tavole più nobili, come quella dei marchesi Malaspina, che nel XIII secolo erano signori del territorio.
A farlo diventare un elemento cardine della cultura locale però è stata la diffusione popolare e in particolare nella classe contadina, per la quale il maiale ha storicamente rappresentato una risorsa fondamentale. La collocazione geografica di Varzi ha fatto il resto. Non solo grazie al suo microclima favorevole a una corretta fase di asciugatura del prodotto, ma anche perché trovandosi sulla “Via del Sale”, importante rotta commerciale che collegava il mare – e nella fattispecie un porto come quello di Genova – alla Pianura Padana, è arrivato a farsi conoscere e apprezzare anche lontano dalla sua culla.
Il resto è storia recente e porta al 1950, quando una decina di produttori locali fecero il primo tentativo di unire le forze per tutelare e valorizzare la tipicità del loro salume. L’iniziativa non andò a buon fine, ma gettò le basi per l’effettiva costituzione, nel 1984, del “Consorzio volontario fra i produttori del Salame di Varzi”, cui aderirono 29 aziende, con la partecipazione di enti quali il Comune di Varzi, la Camera di Commercio di Pavia e la Comunità montana dell’Oltrepò Pavese. Da lì, attraverso innumerevoli eventi e attività di divulgazione e di promozione del prodotto, è iniziato un percorso virtuoso, coronato col riconoscimento della denominazione d’origine dell’Unione Europea. E così, dal 1996, questa eccellenza è nota e apprezzata come Salame di Varzi DOP.
Il disciplinare di produzione e le specifiche di un insaccato fatto ad arte
Il Salame di Varzi DOP è un insaccato di carne suina: morbido, compatto e aromatico, con una forma cilindrica di diametro fino a 50 mm e una colorazione esterna marrone-grigiastra. Al taglio rivela una polpa interna rosso rubino irregolarmente punteggiata da aree bianche di grasso. Quest’ultime sono molto evidenti, ma distribuite in modo meno fitto rispetto ad altre varietà, quali ad esempio il salame ungherese. Nel Varzi, infatti, la macinatura delle parti grasse, che non devono superare il 45% della massa totale, è a grana grossa. Il disciplinare stilato dal Consorzio, del resto, stabilisce l’uso di tritacarne con stampi dal foro di minimo 12 mm, eccezion fatta per i cosiddetti “torti”, salamini di pezzatura più piccola, per i quali il limite è fissato a 10 mm.
Ma il disciplinare di produzione dice molto di più. Intanto, delimita la macroarea geografica degli allevamenti, distribuiti tutti tra Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte, territori in cui la razza più diffusa è il cosiddetto suino pesante padano. Da specifica i maiali devono raggiungere l’età minima di 10 mesi e un peso di almeno 150 kg per garantire carni sode, compatte, sapide e la colorazione viva del muscolo. Oltre a tracciare le linee guida per la loro alimentazione, il disciplinare chiarisce anche quali siano i tagli da utilizzare per le successive fasi di trasformazione. Coscia, lonza, filetto, coppa opportunamente snervata, magro di pancetta, trito di banco, trito di prosciutto, spalla disossata, snervata e sgrassata per le parti magre. Guanciale, testata di spalla, pancetta, culatello e lardello per quanto riguarda il grasso.

Dopo una prima fase di 48 ore di riposo a temperatura compresa tra 0 e 6 °C, si passa prima alla tritatura e poi alla “concia”, ovvero quella mistura di sale marino, nitrato di potassio o sodio nitrito, pepe nero in grani interi e infuso di aglio in vino rosso filtrato con cui si massaggiano tutte le parti in modo da distribuire uniformemente sapore e aroma all’impasto. Subito dopo l’insaccatura, che può essere in budello naturale di suino o anche – solo per le pezzature inferiori ai 500 grammi – di bovino, si effettua la legatura, tramite uno spago opportunamente teso, e viene apposto il marchio DOP.
Si arriva quindi alla fase più delicata, quella determinante per definire le caratteristiche organolettiche e il gusto del prodotto finale, che inizia con l’asciugatura. Gli insaccati vengono posti sei giorni in un ambiente di temperatura compresa tra 20 e 23 °C con umidità relativa del 60/65%. Questo comporta una significativa perdita d’acqua, con conseguente riduzione di peso, e innesca la rapida proliferazione dei batteri buoni, la cui attività è fondamentale per inibire quelli potenzialmente dannosi. Poi si passa a 15 °C e 70% di umidità per altri quindici giorni di pre-stagionatura. Qui la perdita d’acqua prosegue in modo più lento: così gli aromi hanno modo di penetrare fin nelle parti più interne senza che quella esterna s’indurisca. A questo punto è la volta della stagionatura, per la quale si specifica una temperatura di 10-12 °C e umidità costante al 95%. La durata, in genere compresa tra i sei e gli otto mesi, dipende invece dalla forma e dalle dimensioni dell’insaccato. Il protrarsi di questo periodo fa evolvere il sapore dolce e fresco, accompagnato dalla fragranza vinosa e speziata delle pezzature più giovani, in sentori più complessi di muffa e di lievito, con l’accentuarsi di un retrogusto amarognolo. In alcuni casi può seguire un’ulteriore affinamento in ambienti ad hoc per accentuare o modificare dei particolari aspetti organolettici, un po’ come visto col Formaggio di Fossa di Sogliano DOP, che prende i sentori di paglia delle grotte in cui stagiona. Per quanto ammesso, tuttavia, non rientra in quanto regolato dal disciplinare. È dopo la stagionatura, infatti, che l’istituto certificatore appura la conformità di ogni singolo insaccato e dà quindi il via libera all’immissione in commercio come Salame di Varzi DOP.
A seconda delle pezzature, si può trovare in vendita nelle seguenti tipologie:
- Torto: salamino da minimo 100 grammi di peso, noto come “cacciatore” prima che venisse definita le denominazione Salamini alla Cacciatora DOP. Solitamente si trova in vendita in file da cinque pezzi legati in serie;
- Filzetta: fino a 700 grammi di peso, insaccato in budello naturale di suino;
- Filzettone: peso dai 700 ai 1000 grammi, insaccato in budello naturale di suino;
- Sottocrespone: oltre 1000 grammi di peso, insaccato in budello naturale pelato di crespone o sottocrespone di suino;
- Cucito a budello doppio: da 1000 fino a oltre 2000 grammi di peso, insaccato in doppio budello naturale di suino pelato e cucito, definito “il classico” per l’apprezzamento che incontra sulle tavole degli intenditori.
Oltre a questi formati interi, il Salame di Varzi DOP può essere venduto in tranci confezionati sottovuoto o in atmosfera modificata oppure affettato al banco di salumerie e gastronomie.
Morbidezza, aroma e gusto inconfondibile: le armi di seduzione del Salame di Varzi DOP

Nonostante le diverse sfumature gustative determinate dall’avanzamento della stagionatura e da eventuali affinamenti, ci sono delle caratteristiche che identificano il Salame di Varzi DOP a livello organolettico. A partire dalla compattezza della polpa, che è morbida ma al contempo soda, priva di spazi vuoti. Lo si apprezza soprattutto al taglio, per il quale è consigliabile servirsi di con un coltello a lama piatta e ben affilata, che affonderà con facilità, senza nessuna tendenza della pasta interna a sgranarsi. L’affettatura tipica si esegue in obliquo, a becco di clarino, ricavando fette non troppo sottili. Si noterà il colore rosso vivo, che potrà risultare più scuro nelle pezzature più stagionate, e le aree di grasso bianco perlaceo. Quest’ultime, in particolare, sono ben perimetrate: non ci sono cioè filamenti di grasso che si diramano anche tra le parti magre. Untuoso e aromatico, sprigiona profumi mai aggressivi, che toccano sfumature dal vinoso allo speziato, a volte con suggestioni erbacee. In bocca poi rivela un fine equilibrio tra pastosità e grassezza, con una delicata nota sapida e accenti pepati a solleticare il palato.
Come companatico costituisce uno dei connubi più semplici e insieme appaganti della tradizione italiana: un tempo classica merenda contadina, oggi pregiata stuzzicheria da aperitivo, capace di apportare una sferzata di colore e di gusto a un ricco tagliere di salumi e formaggi. Non è da sottovalutare, tuttavia, l’apporto che può fornire a condimento di una focaccia, di una pizza o persino quale ingrediente di ricette gourmet, come il Salame di Varzi DOP con tartare di rapa rossa ideato dallo Chef stellato Enrico Bartolini. In ogni caso ben si accompagna con un calice di vino rosso vivace, in modo da sgrassare, ma non troppo alcolico per evitare di sovrastarne il gusto, come un Gutturnio DOC o un Bonarda dell’Oltrepò Pavese DOC, per restare su prodotti del territorio. Ottimo anche l’abbinamento con una pilsener o – perché no? – con una delle birre artigianali piemontesi.
L’ingrediente segreto del Salame di Varzi DOP? La Valle Staffora e il suo microclima

Oltre alle caratteristiche e alle fasi di lavorazione, il disciplinare del Consorzio di Tutela del Salame di Varzi DOP ne individua con precisione l’area geografica di produzione. Sono quindici i comuni in cui questa specialità può essere realizzata e commercializzata come tale e ricadono tutti nella provincia pavese della Valle Staffora: Bagnaria, Brallo di Pregòla, Cecima, Fortunago, Godiasco, Menconico, Montesegale, Ponte Nizza, Rocca Susella, Romagnese, Santa Margherita di Staffora, Val di Nizza, Valverde, Zavattarello e, logicamente, Varzi.
Stiamo parlando di una zona appenninica di confine, a cavallo tra Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna, solcata dal fiume che le dà il nome. Qui, dove si estende quella che un tempo era la “Via del Sale”, crocevia del commercio tra il porto di Genova e l’entroterra, ci sono vette che superano i 1000 metri di quota, come il monte Lesima, dolci colli molto vocati alla produzione vinicola e vallate in cui abbondano spazi dedicati all’agricoltura e all’allevamento.
È esattamente in questo contesto che si concentrano i fattori climatici e ambientali favorevoli a quella corretta stagionatura per la quale il disciplinare stesso raccomanda di preferire le antiche e storiche cantine. Un elemento che, pur non comparendo nella lista degli ingredienti, è da sempre determinante nel fare del Salame di Varzi DOP l’eccellenza che oggi conosciamo. E che viene celebrata da sagre ed eventi, come il Festival del Salame di Varzi, che si ripete tra maggio e giugno di ogni anno, tra degustazioni, mercatini, show-cooking e iniziative collaterali come le visite guidate al castello Malaspina.
Se siete arrivati fino a questo punto, dovreste essere alle prese con un’acquolina che si fatica a trattenere… vi abbiamo fatto venire voglia di un panino generosamente infarcito di fette di Salame di Varzi DOP?
Immagine in evidenza di: Alessio Orru/shutterstock