Giornale del cibo

Disturbi del comportamento alimentare: qual è il ruolo dell’alimentazione nella terapia?

 

 

 

In Italia sono 3 milioni le persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare (DCA), una stima che porta il Ministero della Salute a parlare di una vera e propria “epidemia sociale” che colpisce, nel 95,9% dei casi, le donne con una prevalenza di anoressia nervosa e bulimia. Esistono, tuttavia, alcuni centri riabilitativi specializzati che hanno sviluppato, nel corso degli anni, percorsi di cura specifici attuati da équipe multidisciplinari che accompagnano il paziente in ogni passaggio della sua giornata. L’alimentazione stessa è, dunque, al centro della terapia e per capire in che modo vengono gestiti i pasti (anche durante il ricovero) per chi soffre di un disturbo del comportamento alimentare, abbiamo intervistato il dott. Franco Scita, medico psichiatra e responsabile del reparto dei disturbi alimentari presso l’Ospedale Maria Luigia a 10 km da Parma.

Disturbi del Comportamento Alimentare, dieta e terapia

Prima di approfondire il ruolo dell’alimentazione nella terapia, chiediamo al dottor Scita di introdurre l’argomento per fare chiarezza su cosa si intenda per DCA.

“Quando parliamo di DCA facciamo riferimento ad un insieme di disturbi psichiatrici che pur strutturandosi attorno ad una peculiare relazione con il corpo (con il peso e con le sue forme) finiscono per interessare sia l’alimentazione che il rapporto con il cibo. Il termine DCA, ancora diffusamente utilizzato, è stato recentemente sostituito a far data dal Maggio 2013 dalla dizione “Disturbi della nutrizione e dell’alimentazione”. In quella data infatti è stata pubblicata da parte dell’APA (American Psychiatric Association), la 5^ edizione del DSM (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, ndr) che ha introdotto questo nuovo termine nella comunità psichiatrica mondiale. Ad oggi con “Disturbi della Nutrizione e dell’Alimentazione” intendiamo dunque l’insieme dei disturbi del comportamento alimentare e i disturbi della nutrizione (tipici dell’infanzia) su base psicologica. Nonostante questa modifica comunque ancora oggi si utilizza diffusamente il termine “disturbi del comportamento alimentare” e il suo acronimo DCA.

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Nello specifico, i disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono:

dieta disturbi comportamento alimentare
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I principali e più conosciuti disturbi alimentari sono l’Anoressia e la Bulimia Nervosa. Chi soffre di questi disturbi mostra in genere una bassa autostima e uno scarso senso di autoefficacia. Sono persone che tendono a collegare il proprio valore personale alla quantità di cibo assunta quotidianamente, al controllo del peso corporeo e alle forme dello stesso. Le preoccupazioni per il cibo, il peso e per le forme del corpo diventano, con il passare del tempo, un pensiero fisso e ricorrente che impedisce di pensare e di occuparsi di altro.

È tuttavia importante sottolineare che, nonostante i disturbi dell’alimentazione si manifestino con comportamenti aberranti nei confronti del cibo e del corpo, le cause del disturbo, complesse e multideterminate, sono soprattutto di natura psicologica, (individuale o relazionale), con una chiara interferenza con lo sviluppo armonico della personalità dell’individuo.

L’Ospedale Maria Luigia è, oggi, un punto di riferimento nazionale per il trattamento di questo tipo di disturbi.  In particolare, di quale vi occupate e che tipo di percorso terapico viene proposto?

“Ormai da oltre venti anni è attivo presso il nostro ospedale un programma specialistico di trattamento organizzato secondo il modello della “riabilitazione psico-nutrizionale intensiva ospedaliera”. I principali disturbi che trattiamo sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il binge eating disorder. Il nostro percorso prevedere un periodo di ricovero e un periodo di day hospital intensivo. A seconda delle condizioni specifiche di ogni singolo paziente è possibile effettuare l’uno o l’altro, ma il più delle volte ci si sottopone a entrambi. Essendo un trattamento ospedaliero intensivo è particolarmente indicato per tutti quei casi che per gravità e complessità non rispondono alle terapie ambulatoriali.

L’équipe di trattamento, strettamente coordinata con le altre agenzie sanitarie del territorio, è organizzata secondo il modello dell’integrazione multidisciplinare. Ciò significa che operano, insieme, secondo un percorso condiviso, psichiatri, psicologi, medici internisti, tecnici della riabilitazione psichiatrica, dietisti ed infermieri professionali.

Il percorso di cura si propone di fornire una risposta puntuale sia agli aspetti nutrizionali che a quelli psicologico-psichiatrici dei pazienti. L’obiettivo primario è quello di eliminare, o almeno di ridurre in modo significativo, tutti i fattori di mantenimento del disturbo alimentare. Si tratta sia di fattori psicologici (bassa autostima, perfezionismo, difficoltà nella gestione delle relazioni interpersonali e nella transizione di ruolo, regolazione delle emozioni, etc.) che di sintomi caratteristici come le abbuffate, il vomito autoindotto, la restrizione alimentare, la dispercezione corporea o l’esercizio fisico eccessivo. Tali fattori se non adeguatamente trattati possono mantenere il disturbo anche dopo aver riacquistato un peso nella norma. La loro persistenza, infatti, rappresenta un ostacolo al superamento della malattia e al raggiungimento della guarigione.

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All’interno di questo quadro, che ruolo ha l’alimentazione nella terapia per chi soffre di disturbi alimentari e come si differenzia per tipologia di disturbo?

“Il ripristino o il miglioramento dello stato metabolico-nutrizionale delle persone affette da un disturbo dell’alimentazione costituisce un obiettivo imprescindibile (ma non sufficiente) di ogni trattamento condotto secondo le norme della “buona pratica medica”. Un’alimentazione regolare è, per qualsiasi persona affetta da un disturbo alimentare, parte centrale della terapia e riveste un’importanza cruciale.

In casi di anoressia nervosa con grave deperimento organico, ad esempio, è necessario procedere gradualmente con la rialimentazione al fine di evitare la cosiddetta “sindrome da rialimentazione”; sindrome potenzialmente letale e collegata ad un carico nutrizionale troppo rapidamente prescritto dopo un lungo periodo di restrizione e dimagramento.

Per la Bulimia Nervosa l’aspetto alimentare principale riguarda principalmente la riorganizzazione della giornata alimentare sia in termini di timing che di apporto calorico. Interrompere il ciclo abbuffata/vomito o restrizione è di fondamentale importanza per poter poi affrontare le problematiche psicologiche. Attraverso la scansione ordinata dei pasti i pazienti riacquistano uno schema alimentare adeguato e funzionale.

Anche nelle condizioni di sovrappeso prodotte da un Binge Eating Disorder lo schema nutrizionale è di fondamentale importanza. Il ripristino di una dieta più sana ed equilibrata, la promozione di uno stile di vita attivo e la gestione delle emozioni e delle relazioni interpersonali costituiscono gli elementi base del trattamento di tale patologia.

Nella pratica, ciò si traduce in una peculiare organizzazione della giornata alimentare, con particolare attenzione alla composizione degli alimenti e delle diete, sia in termini di macronutrienti che di apporto calorico, per ogni singolo paziente. Sono predisposti infatti diversi menu a diverso apporto calorico giornaliero. La modulazione delle diete è prescritta settimanalmente dall’intera equipe ed è in linea con gli obiettivi e le condizioni di trattamento di ogni singolo paziente. Tale attenzione, da parte dell’équipe, si evidenzia ancora di più nel ruolo attivo e puntuale dei dietisti che definiscono il piano nutrizionale, insieme ai medici responsabili del caso.

Il lavoro svolto dai dietisti nel campo del trattamento dei disturbi dell’alimentazione supera costantemente i limiti della mera prescrizione dietetica per arricchirsi di una insostituibile valenza psicologica. Il cibo e le diete nei pazienti affetti da tali patologie si definiscono infatti contemporaneamente come “sintomo” del malfunzionamento del corpo e come “segno” di un disagio mentale ancor più profondo e complesso.”

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Durante il ricovero di un paziente, è necessaria la partecipazione e il coinvolgimento anche della ristorazione ospedaliera. Come si realizza questa collaborazione?

“Considerata la specificità delle patologie, la ristorazione ospedaliera nell’ambito del trattamento dei disturbi dell’alimentazione assume caratteristiche affatto peculiari. Il processo riabilitativo dell’ambito nutrizionale viene favorito e supportato dai dietisti che non solo contribuiscono all’elaborazione dei menù, ma agiscono primariamente sostenendo quotidianamente i pazienti durante i pasti. Tale sostegno è un elemento fondamentale svolto proprio in uno dei momenti più difficili della giornata per questa tipologia di pazienti: il pasto.

Spesso la riabilitazione nutrizionale prevede la reintroduzione nella dieta di cibi considerati “fobici” e dunque fonte di particolare angoscia ma che risultano importanti all’interno di uno schema alimentare vario ed equilibrato. La reintroduzione graduale di questi cibi durante il percorso di trattamento si configura come una vera e propria tecnica psicoterapeutica.

Infine la riabilitazione nutrizionale prevede che i pazienti siano aiutati e supportati nel recuperare il “valore nutrizionale” degli alimenti, separando per quanto possibile il cibo dalle emozioni ad esso collegate. Per alcune pazienti infatti sia la restrizione alimentare che le abbuffate sono un modo per “regolarsi emotivamente”, per evitare di sentire emozioni sgradevoli o per “mantenere il controllo” sulla propria vita.

Anche per questo motivo, all’inizio del trattamento, la gestione dell’alimentazione viene affidata all’equipe curante che garantisce un approccio obiettivo e misurato della quota calorica. Questo passaggio è fondamentale: riconoscere di non essere in grado di prendersi cura della propria alimentazione è il primo step per riconquistare questa capacità.

Con il procedere del percorso di cura infatti, l’alimentazione ritorna gradualmente nella piena responsabilità del paziente che viene aiutato a riconoscere e a decodificare correttamente i segnali fisiologici di fame e di sazietà per un approccio al cibo più sano e fisiologico.

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Che tipo di menù viene proposto e come viene elaborato?

“Gli schemi alimentari che vengono proposti ai pazienti sono costruiti sulla base di linee guida nazionali ed internazionali che regolano le pratiche di una corretta e sana alimentazione.

La struttura dei pasti, articolata nell’arco della giornata, prevede la colazione, il pranzo, la merenda e la cena, con la possibilità di aggiungere eventuali snack in relazione alle necessità di ogni singolo paziente.

I pasti vengono consumati in una sala da pranzo dedicata in presenza di un dietista formato nel trattamento dei disturbi dell’alimentazione, il quale svolge una costante azione di supporto e di incoraggiamento. La presenza del dietista aiuta ad individuare comportamenti disfunzionali tenuti dai pazienti a tavola, aiutandoli così a sviluppare strategie comportamentali più corrette ed adeguate.

I menù sono pensati per favorire gli obiettivi clinici e terapeutici specifici di ogni singolo paziente e richiedono particolare cura e attenzione. Le variazioni settimanali del contenuto calorico dei vari menù, che mantengono in ogni caso un corretto rapporto fra i principali macronutrienti, vengono condivisi dall’intera équipe, in conformità con gli obiettivi di peso attesi e concordati con il paziente.

Il cibo viene costantemente monitorato non solo per il suo valore energetico ma anche e soprattutto per i risvolti psicologici, intrapsichici e relazionali che assume nella peculiare organizzazione mentale del paziente. Il lavoro dei dietisti, esattamente come quello di tutta l’équipe curante, è quindi mirato da un lato a ristabilire un corretto assetto metabolico e dall’altro a far superare tutta una serie di sintomi la cui persistenza funge da volano per il mantenimento del disturbo alimentare.

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E una volta concluso il periodo di ricovero, quali indicazioni vengono date ai pazienti dimessi, dal punto di vista dell’alimentazione? Esistono linee guida di riferimento?

“Il trattamento riabilitativo psico-nutrizionale intensivo ospedaliero costituisce una tappa, uno step specialistico, nel complesso percorso di cura dei disturbi dell’alimentazione.

I pazienti una volta dimessi dall’ospedale vengono riaffidati al trattamento ambulatoriale che deve comunque garantire, attraverso l’integrazione dei vari professionisti, un lavoro multidisciplinare coordinato e condiviso.

Il mantenimento di una condizione di equilibrio metabolico-nutrizionale attraverso l’adesione del paziente a modelli di alimentazione salutari è fondamentale. Questa adesione costituisce infatti non solo la premessa indispensabile per un efficace lavoro psicoterapeutico (vera chiave di volta del trattamento), ma diventa anche il segno inequivocabile della progressione verso la guarigione e il superamento di quelle angosce che avevano contribuito a creare il disturbo alimentare.”

Esistono diverse linee guida internazionali, americane, inglesi e australiane in particolare, che tracciano e indicano specifici percorsi terapeutici per la cura dei DCA.

Per quel che riguarda il nostro paese, Il Ministero della Salute ha recentemente pubblicato, nella collana dei Quaderni della Salute, due documenti di grande interesse scientifico che, sulla scorta delle sollecitazioni prodotte anche con il contributo della più importante società scientifica italiana per lo studio dei disturbi dell’alimentazione e del peso (SISDCA),  forniscono ai terapeuti aggiornati e puntuali suggerimenti per la conduzione di una cura condotta secondo le prassi della “medicina delle evidenze” e secondo le norme di una “corretta pratica medica”.

L’equilibrio alimentare è, dunque, fondamentale per tutelare la propria salute e sono molti gli attori che possono contribuire a mantenerlo. Abbiamo visto, in questo esempio parmense, quanto anche la ristorazione ospedaliera si fa parte integrante della terapia per i disturbi del comportamento alimentare, trasformandosi in concreto supporto per chi si trova in una situazione di difficoltà.

 

 

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