La ristorazione in Italia è importante sia sul piano culturale che dal punto di vista commerciale e lavorativo. Ci siamo già occupati delle nuove aperture che incrementano l’offerta per mangiare fuori. Questa volta, per capire quale sia la situazione del mercato e del lavoro in questo settore, abbiamo intervistato Luciano Sbraga, direttore dell’Ufficio Studi della Federazione italiana dei pubblici esercizi (FIPE).
La definizione di ristorante
Il dottor Sbraga, prima di entrare nel merito dei numeri della ristorazione in Italia, precisa che va chiarito bene il concetto di ristorante. “Bisogna mettersi d’accordo sulla tassonomia. Oggi il termine ‘ristorante’ non dice abbastanza, meglio parlare dei ristoranti al plurale, perché le tipologie sono tante. Se intendiamo il ristorante classico con il servizio al tavolo, parliamo di 111.000 attività. Invece, se più in generale ci riferiamo agli esercizi dove poter mangiare – includendo take away di vario tipo, ambulanti, ecc. – stiamo parlando di oltre 150.000 attività.”
Il mercato della ristorazione in Italia
Il dato sul rapporto fra nuove aperture e chiusure nella ristorazione in Italia non è di immediata interpretazione, prosegue Sbraga. “Negli ultimi anni si stanno verificando più chiusure rispetto alle nuove aperture, ma su questo aspetto i dati non sono sempre chiari. È vero che ci sono più chiusure di quante siano le aperture, ma se si osserva lo stock si parla sempre di crescita del numero delle aziende. Purtroppo nei sistemi di classificazione c’è una voce di non classificato che poi viene riattribuita tra i diversi settori, in questo modo scopriamo che le imprese aumentano. Tuttavia, c’è sicuramente un dato interessante e inconfutabile, ovvero quello delle chiusure: molte attività di ristorazione non sopravvivono. Purtroppo constatiamo che il tasso di sopravvivenza delle imprese a cinque anni dall’apertura è del 52%. Pertanto, dopo cinque anni, su cento imprese che hanno aperto solo 52 sopravvivono. Questo la dice lunga sulla situazione e sulle difficoltà del settore della ristorazione in Italia.”
Quanto vale il mercato
“Il consumo nella ristorazione in Italia vale oltre 76 miliardi di Euro, che equivale al 35% di tutte le spese per consumi alimentari degli italiani. Se consideriamo anche le spese fatte dalle imprese per eventi e dipendenti, parliamo di oltre 85 miliardi. Si tratta uno dei mercati più importanti d’Europa, addirittura il terzo per valore assoluto. È un mercato interessante e tendenzialmente in crescita, nonostante qualche piccolo inceppo degli ultimi anni.”
La competitività
“Quello della ristorazione è uno dei mercati a più alta concorrenzialità. Se consideriamo anche i bar, ci sono 4,5 imprese ogni mille abitanti, e questo fa capire quanto sia competitivo il mercato della ristorazione in Italia. Per questo è fondamentale che ognuno cerchi la propria strada e la propria specificità, per differenziarsi e attirare i potenziali clienti, evitando di omologarsi a tanti altri esercizi.”
Lavorare nella ristorazione in Italia
Per comprendere meglio cosa significhi lavorare nella ristorazione in Italia, è utile conoscere le realtà dei datori di lavoro e dei dipendenti di questo settore.
I nuovi imprenditori
Il dottor Sbraga sottolinea l’interesse e la rilevanza nel comprendere chi siano i nuovi imprenditori della ristorazione. “Si tratta di un tema molto interessante. Fra le nuove attività, parecchie sono aperte da giovani e da stranieri. Ci sono 40.000 imprenditori stranieri nel settore, che si orientano soprattutto su alcune attività. Non mi riferisco solo ai ristoranti etnici, perché aprono anche molte pizzerie, ad esempio. Pensiamo poi all’ingresso dei cinesi nel mondo dei bar. Fra i nuovi imprenditori della ristorazione, ci sono giovani che tentano di sviluppare nuovi format, ci sono stranieri e ci sono anche imprenditori più esperti.”
I dipendenti
Luciano Sbraga ci parla anche della situazione lavorativa per i dipendenti. “Con la presenza di molti strumenti di flessibilità, dal part time sia orizzontale che verticale, alla presenza del lavoro accessorio dei cosiddetti voucher, si è sicuramente assecondata l’esigenza dei ristoranti di avere personale flessibile. Purtroppo queste sono attività che si reggono molto sui picchi di lavoro. Pensiamo che gran parte del fatturato si ricava nei fine settimana. D’altro canto, ci sono giorni quasi nulli sul piano degli incassi. È evidente che queste attività hanno bisogno di flessibilità, non sono aziende manifatturiere in cui la merce si produce e si stocca in magazzino. Nella ristorazione si lavora in tempo reale, quando il cliente c’è va servito, quando invece non c’è non ci sarebbe bisogno di personale.
Parlando di dipendenti, questo è un settore dove lavorano complessivamente oltre 650.000 persone in media d’anno, che sono tantissime. Considerando soltanto i ristoranti tradizionali, ci sono almeno 400.000 dipendenti, e la maggior parte di questi ha un contratto a tempo indeterminato. Inoltre, la maggior parte sono giovani e donne. Questo è importante, perché il settore in un certo senso supporta le fasce che in genere sono più svantaggiate sul piano occupazionale.”
Dopo questa intervista sulla ristorazione in Italia, può essere interessante approfondire leggendo i consigli per aprire un ristorante e in che modo l’agromafia si insinua in questo settore, anche se fortunatamente ci sono iniziative per combattere questo fenomeno.