Giornale del cibo

5 ristoranti della Valle d’Aosta da provare assolutamente (secondo noi)

Se andiamo avanti così, la Valle d’Aosta farà la fine del Molise: si inizierà a torto a dubitare della sua esistenza, che invece é florida e rigogliosa.
Infatti, si parla troppo raramente di alcune regioni, come se ci fosse un’Italia più degna di nota dell’altra, quando invece anche in questi territori c’é così tanto da raccontare. La Valle d’Aosta, ad esempio, é vittima di un nome che trae in inganno fin dall’inizio e ne minimizza i contenuti, poiché in realtà non si tratta di una valle sola, ma di ventidue valli valdostane che compongono questa regione. Divise come in due dalla città di Aosta, alcune sono sempre baciate dal sole, altre solo metà giornata, ma in tutte pascolano pezzate rosse e nere per fontine di livello, volano api per mieli di qualità e non mancano campi di grani antichi, come l’Arturo, per biscotti, torte e pagnotte come un tempo.

Le valli valdostane tra zuppe, prosciutto e dialetto locale

Ognuna di queste valli è una scoperta e ha qualcosa che la differenzia dalle altre, come la questione della zuppa: ad esempio c’è la Seupa alla Valpellinentze che, come vedremo, è ben diversa dalla zuppa di Verrayes o da quella della Val di Cogne, preparata con riso carnaroli, cannella e fontina. Nella Valle Saint Marcel é ancora tutta un’altra storia, poiché sono i luoghi delle merenderie e dei prosciutti. Si attraversa tutta all’insù, lungo la Via del Prosciutto appunto, un percorso segnato da cinque merenderie dove far rifornimento energetico con pane e prosciutto, anche se nel tempo si sono trasformate più in osterie. Questa valle è caratterizzata anche dall’olio, a dispetto di chi crede che in montagna non si possa farne uno così buono; e se si continua a salire tra castagni secolari, da betulle, meli antichi, larici e antiche miniere di rame, fino a giungere al panorama unico del Vallone: un’immensa distesa da cui si vedono insieme Monte Bianco, Monte Rosa e Cervino. Vogliamo poi accennare alla lodevole, seppur in fase primordiale, ripresa del Vuillermin nella zona di Chambave, il vitigno autoctono che ha rischiato la totale estinzione? Infine, tra un bicchiere di vino, una zuppa e una fetta di prosciutto, i valdostani parlano spesso ancora il patois, ovvero il dialetto locale che non é mai è stato considerato degno di valore letterario quando invece si tratta di un importante patrimonio linguistico, poiché trae origine dalla lingua parlata dalla gente di campagna.

Dunque, non vi resta che avventurarvi con me per conoscere i 5 migliori ristoranti della Valle d’Aosta. Buon viaggio!

Ristoranti Valle d’Aosta: 5 indirizzi da provare

La cucina tipica e onesta di Danilo al Vecchio Suisse

Chef-Danilo-Vecchia-Suisse
A dou po de Aosta nella località Chozon in Valpelline c’è un posto davvero a bon martchà, ideale per iniziare una scoperta enogastronomica della regione, la cui essenza, come già detto, si custodisce soprattutto nelle valli. Sto parlando del Vecchio Suisse di Danilo e delle sue donne, lui in cucina e loro in sala, dove preparano sia piatti tradizionali valdostani che alcuni tipici solo della Valpelline, come la Seupa alla Valpellinentze. Si tratta di un piatto povero composto da cavolo verza, pane nero, integrale o di segale raffermo, fontina, brodo e burro, perfetto dopo una lunga camminata in montagna. In questo locale semplice e alla mano, potete gustare anche altre classiche portate regionali, sempre a prezzi onesti e in dosi abbondanti: dalla valdostana, ovvero la cotoletta con fontina e prosciutto, alla moccetta, l’antico salume bovino della zona. L’abbondanza non è qui solo una questione di cibo, ma anche e soprattutto di ospitalità, infatti, se non ci fosse questa famiglia ad aprirvi le porte, probabilmente l’esperienza non sarebbe così accogliente e, in fondo, valdostana. Pare che nei dintorni sia un indirizzo valido anche la locanda La Clusaz di Gignod, tra la Valpelline e la Valle del San Bernardo, ma per riuscire ad avere un tavola bisogna prenotare sempre con un certo anticipo.

La cucina raffinata e contemporanea di Giacomo Lovato al Principe delle Nevi

Credits by Giacomo Lovato

Giacomo Lovato è giovanissimo: ha 27 anni e dal novembre del 2016 ha preso le redini del ristorante gastronomico Snowflake, all’interno dell’Hotel Principe delle Nevi. Per pranzo la sua proposta è semplice, pensata per gli sciatori in pausa, mentre per cena brilla la sua alternativa gourmet che parte dalle basi tradizionali della cucina valdostana per poi aprirsi a uno stile più contemporaneo e moderno, quasi francese. È partito alla grande anche grazie alla sua valida brigata in cucina, dove ognuno dà un prezioso contributo a un menù che è sempre in carta, raffinato e di prestigio: dal sous-chef Stefano Merlin a Antonio Amaddeo, che dopo un’intensa esperienza da Claudio Sadler a Milano, é qui capo partita ai secondi. Il Principe delle Nevi è il posto ideale per un weekend romantico (per altri consigli in amore c’è la nostra selezione dei dieci migliori ristoranti romantici del mondo), dove in questa recente costruzione moderna e di lusso, non manca nessun confort, dal buongiorno alla buonanotte. E quando il tempo è bello, ricordatevi di richiedere un tavolo sulla terrazza: non a caso questo posto viene chiamato il versante soleggiato del Cervino.

La cucina creativa e divertente di Christian e Claudio a Le Bistrot

 

Hanno aperto da pochissimo, eppure già l’impronta di questo gruppo tutto al maschile è ben chiara. Christian e Claudio in cucina, Carlo e Riccardo in sala, insieme sono riusciti a trasformare un vecchio bar in un Bistrot completamente diverso dagli altri, dove passare piacevolmente una serata tra amici così come un tête-à-tête romantico a lume di candela. Tanto il risultato non cambia: stupore di fronte a piatti con equilibri nuovi, ingredienti stravaganti e abbinamenti mai scontati, sempre più che ben riusciti. Un esempio? Le alici marinate su un letto di tarassaco con pane carasau e crema di finocchio; le orecchiette al pesto di finocchietto selvatico oppure l’uovo in pellicola su crostone di pane nero con spinaci e fonduta al grana. Tutte “fotografie gustative” destinate a restare impresse per giorni e giorni, insieme alle lunghe, preziose e dettagliate (fin troppo) spiegazioni in sala. Anche sui vini i baldi giovani si stanno muovendo bene, anche se fiore all’occhiello di tutto il beverage del locale resta l’amaro alla nocciola, piemontese e indimenticabile.

La cucina tradizionale e accogliente di Lou Tchappé

Questa volta siamo in Val di Cogne in un locale tipico di montagna, a pochi passi dalla Chiesa e dalle cascate di Lillaz, che secondo la pronuncia del patois valdostano, si pronuncia omettendo la “z” finale, la doppia “L” e prolungando leggermente il suono della “I”, quindi “Lìla”. Nonostante l’ambiente sia molto accogliente, servizio e personale sono un po’ freddi, sbigativi e poco informati sui piatti, che comunque valgono questa tappa. Dalla fonduta alla carne messada, ovvero una tartare con foglie di insalatine varie freschissime e appena aromatizzata con erbe, fino al piatto di salumi misti, tra cui “boudin”, mocetta e alcune generose fette di “jambon de bosses“. Punto forte del locale è la carne alla griglia, come il filetto di capriolo, presentato con due medaglioni cotti a puntino, appena avvolti in due striscioline di pancetta e accompagnati da un misto di insalatine primaverili che ne fanno un piatto delizioso, seppur nella sua semplicità. E poi, ovviamente, la loro personale zuppa che già cambia da quella che trovate nella città di Cogne: la Soca du Tchappè, che prevede pezzi di carne (e non riso), verza e fontina. Per finire non rinunciate mai alla ottima crema di Cogne con tegole e alla panna cotta al caramello, il tutto accompagnato da un bel vino tannico della valle, come l’Enfer d’Arvier. Perchè da queste parti e con questa cucina, c’è un gran bisogno di tannini!

La cucina giapponese fusion di Marco Ansaldo

Per tutti quelli che invece non hanno voglia di uscire, nulla da temere perché finalmente c’é la cucina a domicilio di Marco Ansaldo, giovane cuoco che in Val d’Aosta si reca a casa dei suoi clienti per proporre un menù un po’ diverso dal solito, giapponese e fusion. Chiede solo di apparecchiare la tavola, a tutto il resto ci pensa lui: si comincia con le edamame, i classici fagioli di soia bolliti e salati, per poi buttarsi su sushi e nigiri, la pallina di riso con pesce (salmone o spada). Per i vegetariani propone la versione con fettine di avocado o pomodorini secchi sott’olio. Si procede poi con i maki in tutte le fantasie possibili, perché nella sua testa le combinazioni sono infinite, anche se il segreto resta sempre quello di non abbinare mai più di tre o al massimo quattro ingredienti alla volta, in modo da far comprendere tutti i gusti presenti all’interno del piatto. I suoi cavalli di battaglia sono il Golden Gate, ovvero un maki con all’interno lo spada cotto in salsa teryaki, polpa di mazzancolle, avocado e fuori spada crudo o salmone ricoperto di salsa dolce e fiocchi di tempura; lo Spicy Roll, cioè un battuto di tonno e sette spezie giapponesi con olio di sesamo, salsa rossa thai e un pizzico di mayo; e il Porkaliscious Maki, un piatto con all’interno code di gambero in tempura avvolte da bacon, polpa di mazzancolle, avocado e all’esterno salmone marinato al sale, salsa dolce e fiocchi di tempura. La cena si conclude sempre con un dolce, ma con un scatto nazionalista inaspettato: infatti, il dessert è sempre italiano, preparato dalla mamma, come ad esempio l’indimenticabile tiramisù doppia crema mascarpone e cioccolato, oppure le varie torte classiche fatte in case, tra cui quella con le mele. Infine, pulizia dei piani di lavoro, un saluto e buona serata.


Se queste valli vi hanno incuriosito e fatto venire l’acquolina in bocca ma non potete partire subito, ecco qui un paio di idee appetitose per un aperitivo valdostano a casa tra amici: crespelle con prosciutto e fontina e bigné alla fontina Dop, da accompagnare rigorosamente con un buon calice di Torrette, meglio ancora se della Maison Dn di Nicola del Negro.

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