Giornale del cibo

Dietro le porte del ristorante La Cru, stella Michelin e Stella Verde

Ristorante La Cru/facebook.com

 

Immaginate di tornare per un attimo nel ‘500 e di essere ospiti per una sera a casa di una delle famiglie nobiliari più importanti d’Italia: i Maffei. Ma parlare di “casa” è riduttivo quando si fa riferimento a una delle più antiche ville venete della Valpantena. Stiamo parlando di Villa Maffei Medici Balis Crema, oggi adibita a Relais, attorniata da un giardino e da un orto-frutteto in cui sorge il Ristorante La Cru, stella Michelin e Stella Verde. La cucina dello Chef Giacomo Sacchetto, interamente biologica e a chilometro zero, crede infatti sulla differenza che la sostenibilità può fare non solo a livello ambientale, ma anche in termini di buona cucina.

Incuriosita dal funzionamento dell’orto “sinergico” e dal significato della denominazione Stella Verde, ho intervistato lo Chef per conoscere i segreti del suo ristorante e immergermi nella bellezza della natura che lo circonda. In questo articolo, dunque, vi racconto la mia esperienza alla scoperta delle materie prime del territorio veronese, sperando di trasportarvi in un emozionante viaggio culinario tra passato, presente e futuro.

La Cru, il ristorante con una Stella Michelin e Stella Verde 

Ristorante La Cru/facebook.com

A Romagnano, nel 2019 Chef Giacomo Sacchetto, veronese e classe 1985, ha realizzato il suo sogno con un progetto di ristorazione che considera il cibo non solo come alimento, ma anche e soprattutto come momento di condivisione, socializzazione e cultura. Inserito nel meraviglioso contesto di una delle più antiche ville venete e circondato da terreni coltivati a vigneto, oliveto e un giardino-orto-frutteto, il ristorante ha ottenuto alla fine del 2021 anche la Stella Verde – introdotta per la prima volta nel 2020 dalla Guida Michelin – per la sostenibilità ambientale e la gestione delle risorse. Sono questi i due cardini su cui si basa la filosofia di cucina dello Chef, che propone un format originale in cui il rapporto con il territorio è centrale. Forse La Cru non sarebbe lo stesso ristorante se non fosse per la straordinarietà del suo orto. Unico nel suo genere, ha una varietà di piante e una storia che fanno venire voglia di avere il pollice verde, anche a chi (come me) non ce l’ha!

L’orto “sinergico” e il principio della collaborazione tra piante

Dalla forma concentrica, l’orto del ristorante La Cru occupa una superficie di 2000 mq. Si trova proprio di fronte al ristorante, a pochi passi dalla cucina. I principi della permacultura contaminata da vari metodi agricolturali, come quello sinergico, biodinamico e biologico, così come l’agro-ecologia, sono alla base del progetto di valorizzazione della biodiversità e del rispetto della stagionalità.

Foto di Francesca Di Cesare

“In mezzo alle zucchine c’è il basilico, tra le fragole il timo. Il nostro orto non è quindi bellissimo da vedere proprio perché le piante sono posizionate l’una accanto all’altra per darsi una mano” spiega lo Chef Sacchetto. È così che funziona il principio della collaborazione tra piante: ce ne sono alcune che in natura sono capaci di stimolarsi a vicenda nella crescita, ed è per questo che vengono piantate vicine: ad esempio, le radici del pomodoro favoriscono la crescita del sedano. “Qua e là, compaiono anche fiori e specie selvatiche che crescono spontaneamente, che però non vengono estirpate in quanto sono fondamentali per creare un ecosistema favorevole” continua lo Chef. Ecco il perché dell’aggettivo “sinergico” e la peculiare forma circolare dell’orto stesso, che permette di utilizzare al meglio lo spazio e beneficiare così di raccolti variegati.

Al ristorante La Cru è possibile passeggiare in mezzo all’orto e scoprire le sue verdure, i fiori e le piante aromatiche che vengono utilizzate in cucina. È così che gli ospiti diventano partecipanti attivi dell’esperienza gastronomica, potendo vedere con i propri occhi non solo la lavorazione grazie alla cucina a vista, ma anche le materie prime stesse osservando da vicino lo shiso, il basilico o il cetriolino messicano, o ancora toccando con mano i pomodori e annusandone i profumi. È un’esperienza che coinvolge tutti e 5 i sensi, proprio come una vera opera d’arte.

La Culinary Gardener di Chef Giacomo Sacchetto 

Ristorante La Cru/facebook.com

Ma chi si occupa dell’orto? Soltanto negli ultimi anni è emersa la figura del Culinary Gardener, ossia l’ortolano/a che lavora per gli Chef stellati. L’orto del ristorante La Cru lo cura e gestisce Liliana Coroian. Con una grandissima passione per la natura e la botanica, è lei che ha denominato la varietà di pomodoro che coltiva “pomodoro antifurto”, per il suo caratteristico rivestimento spinato che lo avvolge e lo protegge.

Conosce tutto quello che c’è da sapere sulle piante, compreso il momento giusto per coltivarle. “Piantiamo solo attraverso i calendari lunari” spiega lo Chef, “e cerchiamo di favorire il ciclo continuo della natura rendendo lo scarto in compost, ricchissima di sali minerali”. L’orto è quindi interamente biologico, per la totale assenza di utilizzo di agenti chimici e il completo rispetto della natura.

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I 3 pilastri del ristorante La Cru: sostenibilità, materie prime e ricordo

Tre sono le “colonne portanti” su cui si basa la filosofia di cucina del ristorante La Cru: la sostenibilità, l’utilizzo di materie prime a sostegno dei piccoli produttori locali e il ricordo, da cui Chef Sacchetto trae ispirazione per la creazione dei suoi piatti.

Sostenibilità

Cosa si intende per “sostenibilità”? Per lo Chef “significa salvaguardare la filiera dei piccoli produttori locali”, acquistando direttamente da loro le materie prime per favorire l’economia del territorio e modelli di sviluppo più sostenibili, facendo rete. “Questo comporta il sostegno diretto al territorio dal punto di vista economico e dell’abbattimento delle distanze, con un conseguente risparmio di tempo e anche  una maggiore freschezza degli alimenti e meno inquinamento”.

Ristorante La Cru/facebook.com

Inoltre, dal punto di vista architettonico sono stati installati pannelli solari e sul tetto c’è una vasca per la raccolta e il recupero delle acque piovane. “Ci siamo fatti costruire appositamente un tubo con una pompa e prendiamo l’acqua da lì. In questo modo, riutilizziamo l’acqua piovana per innaffiare le piante dell’orto, senza sprechi di acqua pubblica”. A questo si aggiunge anche la biopiscina, in cui l’acqua attinge dal pozzo ricavato al centro dell’orto e viene filtrata naturalmente grazie a piante e sassi, senza aggiunta di cloro e di sale. La vasca ha poi un sistema di controllo del livello dell’acqua, per cui quando si abbassa si riempie automaticamente.

Materie prime 

Abbiamo capito che nella filosofia del ristorante un ruolo chiave è rivestito dal territorio. Ed è proprio da quello veronese che lo Chef trae ispirazione per i suoi piatti. Il formaggio Monte Veronese, lo zafferano, carne di Pecora Brogna o della Vacca Vecchia della Lessinia sono alcuni dei prodotti tipici che lo Chef utilizza a seconda della stagione. Ma anche Amarone e Valpolicella se parliamo di vino, e per finire olive e Olio EVO di produzione locale. Accanto all’orto poi c’è anche un frutteto con alberi di ciliegie, pesche e albicocche, fichi e cachi. “E per finire c’è Umberto, che si prende cura delle nostre api” spiega lo Chef: “questi preziosi insetti sono fonte d’ispirazione per i nostri piatti, oltre a procurarci un miele davvero buonissimo”.

Foto di Francesca Di Cesare

Il ricordo

Per ricordo non si intende soltanto il legame con il passato, ma anche quello con le tradizioni culinarie veronesi. E come vive nei piatti dei menù proposti dal ristorante La Cru? A livello di gusto, come nel caso delle “Mioline e lumachine” (che in dialetto veronese indica un piatto di pasta da minestra dalla tipica forma a chicco, le Midolline). “Mia nonna faceva questa pastina con dentro il formaggio, e a volte la ripropongo al ristorante nel periodo invernale” racconta Chef Sacchetto, “la mantechiamo con del fumetto di pesce e poi sopra ci mettiamo delle lumachine”.

Ma il ricordo è vivo anche in certi accostamenti provati negli anni, come nel caso degli spaghetti turanici con le asparagine e le cannocchie. “Gli spaghetti si chiamano così perché il grano ha una bassissima quantità di glutine ed è quasi integrale” spiega. È un piatto che deriva dai ricordi di esperienze passate, di cui si conservano alcuni elementi, ma se ne aggiungono di nuovi. Creare un nuovo piatto mantenendo la tradizione che lo precede in fondo è un processo analogo alla nascita di una nuova corrente artistica, che vuole innovare ciò che è precedente ma senza mai allontanarsene completamente.

La mia esperienza di degustazione tra passato, presente e futuro: il menù Terroirs

Foto di Francesca Di Cesare

Abbiamo visto che al ristorante La Cru la cucina a vista, il dialogo costante con il personale di sala e la passeggiata nell’orto rendono il commensale partecipante attivo dell’intera esperienza gastronomica. La cucina di Chef Giacomo Sacchetto innova infatti la tradizione con dei piatti che aprono nuove frontiere del gusto, obbligandoci a porci delle domande riguardo ciò che stiamo assaggiando e a ricercare nuove risposte sul perché di certi accostamenti e associazioni.

È così che, proprio come davanti a un’opera d’arte, anche dopo la mia cena al ristorante La Cru non ho potuto fare a meno di chiedermi: cosa avrà voluto esprimere lo Chef attraverso questo menù? Per la mia esperienza di degustazione ho scelto Terroirs, dieci portate che mi hanno fatta partire per un viaggio alla scoperta dello shiso (pianta orientale che ricorda il basilico), del carpaccio di pecora e del risotto mantecato alla pancia di maiale. Come dessert, della piccola pasticceria servita su un tronco di vite che spazia tra frollini, bignè e cioccolateria. Un menù in cui Chef Sacchetto è riuscito a legare ricordi d’infanzia agli ingredienti della tradizione della sua terra con piatti di quella che mi piace definire una “semplice complessità”.

E voi sapevate che oltre alle Stelle Michelin esistono anche le Stelle Verdi? Sareste curiosi di provare un ristorante come La Cru, che valorizza così tanto la sostenibilità e il legame con il territorio?

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