Sono convinto che il sapersi adattare ai cambiamenti, di qualunque tipo, rappresenti un vero punto di forza per una persona. Spostarsi per lavoro o per scelta da una città a un’altra, o magari da una nazione all’altra, porta necessariamente una variazione di luoghi, abitudini, riti e orari che vanno a caratterizzare il nostro quotidiano. E sicuramente anche il regime alimentare risente delle tradizioni del posto, delle ricette tipiche e delle materie prime usualmente utilizzate. Ma è chiaro che anche la più versatile delle persone avrà sempre un forte legame con la propria terra e soprattutto con i suoi sapori.
Roma mi ha permesso di scoprire l’intensità della Carbonara, la succulenza della coda alla vaccinara e la croccantezza dei carciofi alla Giudìa, ma nulla potrà mai eliminare dalla mia memoria olfattiva e palatale il ragù, la genovese, il babà o il casatiello. Venire quindi a sapere dell’esistenza di un locale che nella capitale propone le ricette della tradizione napoletana ma ha fatto subito venire voglia di andare a scoprirlo, per capire se in casa di forte “apucundria” (nostalgia), posso avere a disposizione un rifugio sicuro per il mio palato. Ecco la mia recensione del ristorante Filodolio di Roma.
[elementor-template id='142071']L’amore per l’olio extra vergine
“Un filo di olio a crudo per esaltare ogni piatto, dall’antipasto al dolce”. La storia di Filodolio 1966 cucina napoletana è particolare, perché il locale nasce grazie alla passione del proprietario Stefano Donaudy Mastelloni per l’olio extra vergine di oliva, le sue caratteristiche e le tante differenti varietà disponibili, ognuna con le sue particolarità che possono esaltare un prodotto. Un format che prevedeva per ogni piatto l’abbinamento con un olio differente, una scelta che non ha trovato immediato consenso da parte della clientela, e che ha quindi fatto capire a Stefano che l’olio poteva comunque avere un ruolo importante nel suo locale, portandolo però da protagonista a decisivo complemento della tradizione culinaria napoletana. A Roma è possibile assaggiare la cucina tradizionale di quasi tutte le regioni del nostro paese, ma quella napoletana incredibilmente mancava, e il cambio di rotta si è subito rivelato vincente, grazie anche alla presenza in cucina di uno chef napoletano, negli ultimi 18 mesi.
Ristorante Filodolio a Roma: i piatti della tradizione napoletana
“Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”. Un gattopardismo che ben esprime l’anima trasformista del locale, dove è in atto un cambiamento sostanziale. “Abbiamo ripensato il menù: siamo a Roma, ma un po’ vi sembrerà di stare a Napoli”. Spazio, quindi, a sapori noti che talvolta vengono rivisitati in chiave personale senza però stravolgerne il senso, il gusto e soprattutto il ricordo impresso nella memoria palatale di ogni napoletano. Dalla mozzarella bufala al polpo e patate, dal puparuolo ‘mbuttunato (il peperone imbottito) alla pasta e patate, passando per la genovese, la spigola all’acqua pazza e la torta caprese, senza dimenticare il caffè che viene preparato con la moka, per aiutare i clienti a ritrovare quel ritmo di vita lento e rilassato, cadenzato dal borbottio della macchinetta, sedendosi insieme per condividere una tazzina che veramente unisce.
Il locale di Filodolio
Un ambiente sobrio ed elegante, che unisce elementi moderni ed altri che richiamano periodi passati, un insieme di ferro battuto e legno, vetro, piastrelle e colori per un risultato finale che richiama il senso dell’accoglienza, anche quella familiare. La mise en place è semplice, ma studiata e curata, le sedute comode, le materie prime, al centro del progetto culinario del locale, fanno capolino un po’ ovunque, permettendo alla pasta, ai sughi e ai tanti differenti oli di completare un ambiente piacevole, nel quale vien voglia di rilassarsi per gustare in tutta tranquillità un buon piatto della cucina napoletana.
La prova d’assaggio
Non poteva che essere opulenta. Si parte con un assaggio di Casatiello, davvero ben realizzato, goloso e pepato al punto giusto, per poi passare a una sorprendente Cheese cake di alici alla colatura e maionese al basilico, delicata ed equilibrata, il cui sapore è naturalmente esaltato dal pesce. Il Polpo, patate e olive verdi di Gaeta si fa apprezzare per l’ottima cottura e per il gusto delle olive, un piatto ben eseguito e presentato. Il Puparuolo ‘mbuttunato si erge immediatamente a protagonista del pranzo, grazie alla sua “irruenza”: c’è il sapore, c’è la consistenza, c’è il ricordo del gusto che immaginavo. Il Risotto crema di friarielli, salsiccia e briciole di tarallo è caratterizzato dalla perfetta cottura del riso e da una mantecatura ben eseguita, ma forse risente della poca intensità di sapore dei friarielli, dovuta però al fatto che la loro stagione volge al termine.
Il “Mischiato”, ovvero la pasta mista, patate e mozzarella affumicata più che a un piatto somiglia all’abbraccio che tutti noi abbiamo ricevuto da mamme e nonne nel corso della nostra infanzia. Siamo nel quartiere Africano della capitale, ma potremmo tranquillamente essere a Mergellina o nei Quartieri Spagnoli. Gli Spaghetti aglio, olio e colatura di alici strappano un compiaciuto sorriso sin dal primo assaggio. Lo Spezzatino di manzo alla Genovese sancisce in maniera inequivocabile la nascita di una relazione amorosa tra il mio palato e il menù del locale.
In chiusura, felice e stracolmo, mentre la mia mente ha già iniziato a ripercorrere a ritroso il pranzo in cerca di conferme, arriva l’ennesima sorpresa. Il dessert Spuma di ricotta di bufala, pistacchio e mela verde, servito con un filo d’olio extra vergine a crudo, da un senso al nome del locale, alla sua filosofia culinaria, al ruolo dell’olio nel concept ideato ed alla bravura della brigata di cucina.
Cosa aggiungere? Posto bello, personale di sala preparato, proprietario appassionato e accogliente, cucina davvero ottima. Ho capito che quando mi prenderà un attacco di nostalgia ora saprò dove potermi rifugiare. Conoscevate Filodolio e la sua cucina? Vi è già capitato di provare i piatti preparati dallo chef?