“Coltivare il futuro”: questo potrebbe essere il motto dello chef Ángel León, titolare del ristorante Aponiente, al Puerto de Santa Maria di Cadice, in Spagna, che da anni è al centro della scena internazionale per le sue scoperte innovative. Avete mai sentito parlare dello zucchero o della mortadella di mare? O del miele marino, una sostanza estratta dalla ruppia marittima? Definito non a caso come “il cuoco del mare”, Ángel León guarda al mondo sommerso come un organismo complesso, da preservare e che, però, con il giusto mix di curiosità, studio e disciplina, può fornire soluzioni ad alcuni dei problemi più urgenti di questo secolo. In un pianeta in cui ci si avvia a raggiungere gli otto miliardi di persone e in cui si è compreso che molte tecniche di allevamento e coltivazione non sono più sostenibili, diventa sempre più urgente trovare nuove forme per nutrire la popolazione mondiale.
“Il mare mi ha salvato” racconta lo chef in un’approfondita e bellissima intervista sul Time, e forse, come lui è stato salvato dal mare, questi può ricambiare offrendo appunto risorse inaspettate. Al prestigioso giornale ha recentemente raccontato i frutti della sua ultima e lunga ricerca che lo ha portato a scoprire il riso di mare, prodotto da alcune piante acquatiche della famiglia delle fanerogame marine. Questi ecosistemi, oltre a rappresentare uno di quelli più vitali nella lotta alla crisi ambientale, potrebbero diventare davvero il “cibo del futuro”. Curiosi di saperne di più?
Cos’è il “riso di mare”?
Da anni si stanno sperimentando nuovi alimenti che possano garantire la sopravvivenza di una popolazione mondiale che aumenta esponenzialmente e che, però, non esauriscano le (ormai poche) risorse disponibili del pianeta. A questo, si aggiunge la necessità urgente di contrastare il cambiamento climatico. Vi abbiamo raccontato delle micro e macro-alghe commestibili o della carne coltivata in laboratorio, e in questa direzione si inserisce la ricerca dello chef Ángel León.
Ma in cosa consiste esattamente? León si è concentrato sullo studio di una specie particolare di fanerogame acquatico chiamata Zostera marina. Non si tratta di alghe ma di vere e proprie piante dotate quindi di radici, steli, rizomi, fiori, semi e così via, e che all’aspetto ricordano quelle di riso coltivate in risaia. Si pensa che la vita sia iniziata dal mare e, come spiega anche León, che tutte le piante terrestri siano nate in origine come piante marine. “Crediamo che questa sia una forma di fanerogame che si è adattata a crescere sulla terra molti anni fa, riproducendosi attraverso fiori e semi, ma che alla fine sia tornata nel mare, dove ha continuato a evolversi nel suo attuale stato ‘sommerso’”.
Si tratta di una pianta, quindi, ampiamente conosciuta e studiata, ma in pochi sapevano che tra quei fili che ricordano l’erba si nascondono grappoli con piccoli chicchi commestibili dall’enorme potenziale nutritivo. La svolta arriva quando León trova un articolo del 1973 pubblicato su Science che documenta la dieta dei Seri, una popolazione di cacciatori e raccoglitori di Sonora, in Messico, che a quanto pare erano soliti consumare questi cereali ricavati dalla Zostera dopo un lungo processo di trebbiatura, vagliatura, tostatura e polverizzazione.
La prima fase della ricerca di León e dell’Università di Cadice: la coltivazione controllata
Stando alle ricerche, quindi, qualcuno aveva già raccolto e consumato la Zostera ma nessuno l’aveva mai coltivata prima d’ora. Ed è qui che si apre un mondo di sperimentazione e possibilità incredibili: il team di ricerca e sviluppo di León si è proposto di studiare in dettaglio l’impianto, firmando un accordo con l’Università di Cadice per collaborare alla ricerca. Con questo sostegno, hanno studiato e definito le condizioni ideali di crescita – corrente dell’acqua, temperatura, salinità, profondità, luce solare – e per la prima volta nelle acque salate di un estuario a breve distanza da Aponiente, nel Parco Naturale della Baia di Cadice, sono riusciti a coltivare questa pianta marina in circostanze controllate.
[elementor-template id='142071']La seconda fase: il consumo umano di un “super food”
La coltivazione controllata a Cadice e il primo raccolto hanno permesso a León e al suo team di dare avvio, nel 2017, alla seconda (e innovativa) fase della ricerca: studiare i chicchi della Zostera marina per caratteristiche, proprietà e usi per il consumo umano. Ciò che è emerso è che il grano marino – conosciuto come “riso di mare” per i chicchi allungati, simili appunto a quelli del riso – può essere considerato a tutti gli effetti un superfood dato le sue qualità nutritive uniche.
Uno studio comparativo con altri cinque cereali (riso, orzo, grano, avena e mais) avrebbe determinato che il grano marino contiene meno del 2% di grassi e:
- una maggiore quantità di proteine ad alto valore biologico (13%);
- più carboidrati (82%, di cui circa il 50% è amido);
- vitamine A ed E, non presenti in nessun altro tipo di cereale;
- alte concentrazioni di vitamine del gruppo B;
- acidi grassi essenziali, Omega 6 e 9, e amminoacidi non presenti in altri cereali e minerali comuni.
Per tutte queste caratteristiche – da aggiungere anche il fatto che è senza glutine – il riso di mare sarebbe quindi un prodotto alimentare dalle qualità eccezionali e perfetto quindi per una dieta sana. Ma anche a livello culinario apre le porte alla sperimentazione, per consistenza e sapori: il chicco si presenta denso e sodo (dicono che ricorda la pasta al dente), e il gusto è aromatico, vegetale e iodato. Si può utilizzare bollito, come un riso o una pasta, oppure trasformato in farina per fare pane o pasta secca.
Da un sogno a realtà: verso la creazione di un “giardino oceanico”
Date le premesse, non c’è dubbio che il grano marino abbia tutte le carte in regola per essere un prodotto alimentare eccezionale. Ma cosa lo rende davvero il “cibo del futuro”?
Come spiegano, c’è qualcosa di assolutamente straordinario nelle fanerogame marine, perché sono le uniche piante che fioriscono completamente immerse nell’acqua salata. Inoltre, i “prati” che formano lungo le coste di tutto il mondo rappresentano alcune delle aree più ricche di biodiversità dell’oceano, ospitando una fauna che farebbe fatica a sopravvivere altrimenti, e prevenendo il pericoloso fenomeno di erosione delle coste. Come se non bastasse, sono uno dei serbatoi di carbonio più efficienti sulla – o sotto la, dovremmo dire – Terra: infatti, forniscono protezione dai fenomeni climatici estremi, tra cui tempeste e inondazioni, in aumento per colpa del riscaldamento globale.
Considerando quindi che il 71% del pianeta è costituito da acqua, di cui il 97,5% da quella salata (sia negli oceani ma anche in profondità dei pozzi terrestri, rendendo impossibile berne l’acqua o coltivare raccolti), il riso di mare apre la strada a una coltivazione assolutamente innovativa. La Zostera marina, come spiegano, è una pianta perenne che quindi non richiede di piantare nuove colture ogni anno, e ha un’altissima produttività a fronte di una bassissima manutenzione, dato che non sono necessari fertilizzanti e pesticidi. Alla luce di questi aspetti assolutamente interessanti, quali sono gli obiettivi di León? Creare il primo e unico centro di ricerca e sviluppo specializzato al mondo per la coltivazione della vegetazione marina e continuare la ricerca sul riso di mare, poiché potrebbe essere la chiave per mitigare gli effetti del cambiamento climatico e, al tempo stesso, rispondere alla necessità di nutrire la popolazione. “Miriamo anche a ripristinare gli ecosistemi acquatici, sviluppare future colture marine che fino ad ora sono state coltivate solo sulla terra e lavorare per rendere il ‘giardino oceanico’ una realtà”.
Noi glielo auguriamo, sperando che la coltivazione della Zostera possa essere ampliata su larga scala per garantire un cibo buono, altamente nutritivo e, soprattutto, amico dell’ambiente.
Sareste curiosi di provare il riso di mare?