Allarme microplastiche: sono presenti nel cibo che mangiamo?

rifiuti in mare

kw: rifiuti in mare

 

Entro il 2015 in mare ci sarà più plastica che pesce: questa è il drammatico scenario che gli esperti immaginano per il pianeta che, ogni anno, è sempre più sommerso dai rifiuti che, sistematicamente, finiscono in mare inquinandolo e arrivando, indirettamente, fino alla tavola.

Le microplastiche e le nanoplastiche presenti in enorme quantità nei mari minacciano davvero l’organismo umano e in una percentuale finiscono, appunto, nei nostri piatti: a confermarlo è stata anche l’Efsa, l’autorità europea sulla sicurezza alimentare. Ma il fronte che lancia l’allarme è quanto mai trasversale e include associazioni come Greenpeace, ricercatori, e autorità sovranazionali: Lisa Svensson, coordinatrice del programma degli ecosistemi marini e costieri del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), ha inserito proprio la presenza di rifiuti in mare, e in particolare la questione delle plastiche, tra le “crisi planetarie”.

Rifiuti in mare: allarme microplastiche

I numeri del fenomeno

Ogni anno l’uomo produce 260 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, dei quali una percentuale significativa finisce in mare. Lo affermò nel 2012 il report tecnico del Cbd (convention of biological diversity), il primo dossier completo su un rischio globale ritenuto dalla comunità scientifica internazionale analogo ai cambiamenti climatici, all’acidificazione degli oceani, alla perdita di biodiversità: da allora la portata del fenomeno è più o meno la stessa, e i numeri sono addirittura cresciuti. Cifre importanti nel contesto di un problema generale, universalmente noto come marine litter: sono 267 le specie marine a rischio perché ingeriscono plastica, e secondo il dossier di un gruppo di ricercatori dell’università della North Carolina pubblicato su Science ogni anno muoiono un milione di uccelli e 100mila mammiferi a causa dei rifiuti sversati in mare.

 

In totale sono 8 milioni le tonnellata di plastica che ogni anno vengono riversate negli Oceani e, secondo uno studio dell’Università della Georgia pubblicato su Science, ben 5,3 milioni di tonnellate provengono da 5 soli paesi: Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam.

La “zuppa di plastica” negli oceani, le microplastiche nel Mediterraneo

È proprio la plastica, dunque, il materiale più presente tra i rifiuti di cui l’uomo riempie la sua più importante riserva d’acqua: è l’80% della spazzatura totale degli oceani, con isole galleggianti di estensione pari a grandi nazioni europee. E il Mediterraneo? Secondo l’Expédition Med, la prima organizzazione ad aver intrapreso un lavoro organico di ricerca di questo tipo nel mare nostrum, i frammenti sono il 70% della superficie totale. Con una presenza di micro e nanoplastiche impressionanti: 290 miliardi di pezzi galleggiano solo nei primi 10-15 centimetri d’acqua.

 

Rincara la dose Marco Faimali, ricercatore del Cnr intervenuto ad un convegno organizzato da Sea Sheperd a Lerici, in provincia di La Spezia: “se filtrassimo un chilometro cubo di acqua del Mediterraneo, troveremmo da qualche decina fino a qualche centinaia di chili di plastica.”

Cosa sono le microplastiche e le nanoplastiche

L’Efsa definisce microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5000 micrometri, ossia 5 millimetri (ogni micrometro è un millesimo di millimetro). Le nanoplastiche hanno invece una misura non rilevabile dall’occhio umano: da 0,001 a 0,1 micrometri, o da 1 a 100 nanometri. Sono il prodotto della nanotecnologia, ma anche, più semplicemente, l’effetto della frammentazione delle isole di plastica oceaniche: i pezzi diventano sempre più piccoli fino a raggiungere queste dimensioni e le correnti li trasportano poi negli altri mari tra i quali il Mediterraneo.

La presenza nei cibi che mangiamo

L’Efsa, nel produrre un’importante dichiarazione sul tema che rappresenta anche un allarme, è stata chiara: è proprio sulla presenza di micro e nano frammenti nei cibi che mangiamo che dobbiamo ancora indagare.

Una risposta all’appello dell’authority che chiama a raccolta la comunità scientifica proviene da uno studio pubblicato su Frontiers in Marine Science.

 

L’equipe di ricercatori ha studiato i pesci mesopelagici che vivono a profondità notevoli, ma di notte salgono in superficie per alimentarsi. In particolare, hanno analizzato quelli che vivono in un’area dell’Oceano Atlantico nord occidentale e hanno esaminato i loro stomaci in laboratorio. Il risultato è che ben 3 pesci su 4 risultano contaminati da agenti inquinanti come, appunto, microplastiche derivate da vestiti in pile, o cosmetici.

 

Un elemento interessante sottolineato dagli stessi ricercatori è che non solo queste microplastiche possono mettere a repentaglio la salute dei pesci esaminati, ma essi possono diffondere questi elementi inquinanti in tutto l’ecosistema marino e contaminare specie predatrici, come il tonno o il pesce spada, che si nutrono di organismi ormai contaminati.

Nei crostacei, nella birra, nel miele

Ciò detto, Peter Hollman, docente universitario olandese esperto di queste tematiche e membro del team che ha assistito il comitato che si occupa di contaminanti nella catena alimentare, il Contam, aggiunge, sempre sul sito dell’Efta, che “si registrano elevate concentrazioni nei pesci, ma poiché le microplastiche sono presenti per lo più nello stomaco e nell’intestino, che di solito vengono eliminati, i consumatori non ne risultano esposti. Tuttavia, nel caso dei crostacei e dei molluschi bivalvi, come le ostriche e le cozze, il tratto digestivo viene consumato, per cui si ha una certa esposizione”. E ancora, un’informazione misteriosa ma comunque inquietante: “Ne è stata riferita la presenza anche nel miele, nella birra e nel sale da tavola”. E poi la tossicità: “È troppo presto per dirlo, ma sembra improbabile, almeno per le microplastiche.”

 

Una potenziale preoccupazione riguarda le elevate concentrazioni di agenti inquinanti quali i policlorobifenili e gli idrocarburi policiclici aromatici, che possono accumularsi nelle microplastiche. Potrebbero anche esserci residui di composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A. Alcuni studi indicano che le microplastiche, dopo il consumo negli alimenti, possono trasferirsi nei tessuti: quindi importante stimare l’assunzione media.

Sappiamo infine che le nanoparticelle di sintesi possono penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze per la salute. Ma sono indispensabili ulteriori ricerche e maggiori dati.

Rifiuti plastici in mare: l’allarme in Italia

Legambiente, grazie al progetto Plastic Free Sea oggi Beach Litter, monitora i litorali del Belpaese dal 2014. Lo scorso anno sono state prese in osservazione 62 spiagge tra aprile e maggio e son stati raccolti ed individuati 41.623 rifiuti: in altre parole di parla di una media di 670 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia e per l’84% si tratta di plastiche.

 

Anche la stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli ha predisposto nell’area circostante il porto di Mergellina 6 grandi laboratori sommersi di oltre 15 metri di profondità e 2 metri di diametro, che hanno consentito il campionamento dell’acqua del golfo e rilevare la presenza di micro e nanoplastiche.

 

Inoltre, norme molto discusse come quella a proposito dei sacchetti biodegradabili a pagamento, entrata in vigore con il 1 gennaio 2018, rientrano tra le politiche mirate ad una riduzione del consumo di plastiche che, a loro volta, andrebbero ad inquinare di meno il mare, preservandone la biodiversità e, probabilmente, anche la nostra salute.

 

Cosa pensate di questo problema? Lo sentite vivo e vicino alla vostra tavola?

 

Entro il 2050 in mare ci sarà più plastica che pesce: questa è il drammatico scenario che gli esperti immaginano per il pianeta che, ogni anno, è sempre più sommerso dai rifiuti che, sistematicamente, finiscono in mare inquinandolo e arrivando, indirettamente, fino alla tavola.
Le microplastiche e le nanoplastiche presenti in enorme quantità nei mari minacciano davvero l’organismo umano e in una percentuale finiscono, appunto, nei nostri piatti: a confermarlo è stata anche l’Efsa, l’autorità europea sulla sicurezza alimentare. Ma il fronte che lancia l’allarme è quanto mai trasversale e include associazioni come Greenpeace, ricercatori, e autorità sovranazionali: Lisa Svensson, coordinatrice del programma degli ecosistemi marini e costieri del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep), ha inserito proprio la presenza di rifiuti in mare, e in particolare la questione delle plastiche, tra le “crisi planetarie”.

Rifiuti in mare: allarme microplastiche

rifiuti plastici in mare

I numeri del fenomeno

Ogni anno l’uomo produce 260 milioni di tonnellate di rifiuti di plastica, dei quali una percentuale significativa finisce in mare. Lo affermò nel 2012 il report tecnico del Cbd (convention of biological diversity), il primo dossier completo su un rischio globale ritenuto dalla comunità scientifica internazionale analogo ai cambiamenti climatici, all’acidificazione degli oceani, alla perdita di biodiversità: da allora la portata del fenomeno è più o meno la stessa, e i numeri sono addirittura cresciuti. Cifre importanti nel contesto di un problema generale, universalmente noto come marine litter: sono 267 le specie marine a rischio perché ingeriscono plastica, e secondo il dossier di un gruppo di ricercatori dell’università della North Carolina pubblicato su Science ogni anno muoiono un milione di uccelli e 100mila mammiferi a causa dei rifiuti sversati in mare.

In totale sono 8 milioni le tonnellata di plastica che ogni anno vengono riversate negli Oceani e, secondo uno studio dell’Università della Georgia pubblicato su Science, ben 5,3 milioni di tonnellate provengono da 5 soli paesi: Cina, Indonesia, Filippine, Thailandia e Vietnam.

La “zuppa di plastica” negli oceani, le microplastiche nel Mediterraneo

inquinamento plastica mare

È proprio la plastica, dunque, il materiale più presente tra i rifiuti di cui l’uomo riempie la sua più importante riserva d’acqua: è l’80% della spazzatura totale degli oceani, con isole galleggianti di estensione pari a grandi nazioni europee. E il Mediterraneo? Secondo l’Expédition Med, la prima organizzazione ad aver intrapreso un lavoro organico di ricerca di questo tipo nel mare nostrum, i frammenti sono il 70% della superficie totale. Con una presenza di micro e nanoplastiche impressionanti: 290 miliardi di pezzi galleggiano solo nei primi 10-15 centimetri d’acqua.

Rincara la dose Marco Faimali, ricercatore del Cnr intervenuto ad un convegno organizzato da Sea Sheperd a Lerici, in provincia di La Spezia: “se filtrassimo un chilometro cubo di acqua del Mediterraneo, troveremmo da qualche decina fino a qualche centinaia di chili di plastica.”

Cosa sono le microplastiche e le nanoplastiche

L’Efsa definisce microplastiche le particelle di dimensioni comprese tra 0,1 e 5000 micrometri, ossia 5 millimetri (ogni micrometro è un millesimo di millimetro). Le nanoplastiche hanno invece una misura non rilevabile dall’occhio umano: da 0,001 a 0,1 micrometri, o da 1 a 100 nanometri. Sono il prodotto della nanotecnologia, ma anche, più semplicemente, l’effetto della frammentazione delle isole di plastica oceaniche: i pezzi diventano sempre più piccoli fino a raggiungere queste dimensioni e le correnti li trasportano poi negli altri mari tra i quali il Mediterraneo.

La presenza nei cibi che mangiamo

L’Efsa, nel produrre un’importante dichiarazione sul tema che rappresenta anche un allarme, è stata chiara: è proprio sulla presenza di micro e nano frammenti nei cibi che mangiamo che dobbiamo ancora indagare. Una risposta all’appello dell’authority che chiama a raccolta la comunità scientifica proviene da uno studio pubblicato su Frontiers in Marine ScienceL’equipe di ricercatori ha studiato i pesci mesopelagici che vivono a profondità notevoli, ma di notte salgono in superficie per alimentarsi. In particolare, hanno analizzato quelli che vivono in un’area dell’Oceano Atlantico nord occidentale e hanno esaminato i loro stomaci in laboratorio. Il risultato è che ben 3 pesci su 4 risultano contaminati da agenti inquinanti come, appunto, microplastiche derivate da vestiti in pile, o cosmetici. 

Un elemento interessante sottolineato dagli stessi ricercatori è che non solo queste microplastiche possono mettere a repentaglio la salute dei pesci esaminati, ma essi possono diffondere questi elementi inquinanti in tutto l’ecosistema marino e contaminare specie predatrici, come il tonno o il pesce spada, che si nutrono di organismi ormai contaminati.

ostriche

Nei crostacei, nella birra, nel miele

Ciò detto, Peter Hollman, docente universitario olandese esperto di queste tematiche e membro del team che ha assistito il comitato che si occupa di contaminanti nella catena alimentare, il Contam, aggiunge, sempre sul sito dell’Efta, che “si registrano elevate concentrazioni nei pesci, ma poiché le microplastiche sono presenti per lo più nello stomaco e nell’intestino, che di solito vengono eliminati, i consumatori non ne risultano esposti. Tuttavia, nel caso dei crostacei e dei molluschi bivalvi, come le ostriche e le cozze, il tratto digestivo viene consumato, per cui si ha una certa esposizione”. E ancora, un’informazione misteriosa ma comunque inquietante: “Ne è stata riferita la presenza anche nel miele, nella birra e nel sale da tavola”. E poi la tossicità: “È troppo presto per dirlo, ma sembra improbabile, almeno per le microplastiche.”

Una potenziale preoccupazione riguarda le elevate concentrazioni di agenti inquinanti quali i policlorobifenili e gli idrocarburi policiclici aromatici, che possono accumularsi nelle microplastiche. Potrebbero anche esserci residui di composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A. Alcuni studi indicano che le microplastiche, dopo il consumo negli alimenti, possono trasferirsi nei tessuti: quindi importante stimare l’assunzione media.

Sappiamo infine che le nanoparticelle di sintesi possono penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze per la salute. Ma sono indispensabili ulteriori ricerche e maggiori dati.

Rifiuti plastici in mare: l’allarme in Italia

plastica in mare

Legambiente, grazie al progetto Plastic Free Sea oggi Beach Litter, monitora i litorali del Belpaese dal 2014. Lo scorso anno sono state prese in osservazione 62 spiagge tra aprile e maggio e son stati raccolti e individuati 41.623 rifiuti: in altre parole di parla di una media di 670 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia e per l’84% si tratta di plastiche.

Anche la stazione zoologica Anton Dohrn di Napoli ha predisposto nell’area circostante il porto di Mergellina 6 grandi laboratori sommersi di oltre 15 metri di profondità e 2 metri di diametro, che hanno consentito il campionamento dell’acqua del golfo e rilevare la presenza di micro e nanoplastiche.

Inoltre, norme molto discusse come quella a proposito dei sacchetti biodegradabili a pagamento, entrata in vigore con il 1 gennaio 2018, rientrano tra le politiche mirate ad una riduzione del consumo di plastiche che, a loro volta, andrebbero ad inquinare di meno il mare, preservandone la biodiversità e, probabilmente, anche la nostra salute.

Cosa pensate di questo problema? Lo sentite vivo e vicino alla vostra tavola?

Articolo redatto con il contributo di Renzo Sanna.

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