Giornale del cibo

Il lavoro del rider, tra rischi del “caporalato digitale” e nuove forme di tutela

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Il caporalato in Italia, ovvero modalità di sfruttamento dei lavoratori e delle lavoratrici lungo la filiera agroalimentare, assume molte forme. Lavoro nero o grigio, superamento degli orari previsti dalla legge, assenza vera e propria di contratti, cooperative spurie sono alcune delle modalità che, in questi anni, sono emerse, ma non sono le sole. Le associazioni che monitorano il fenomeno denunciano, infatti, come stia avanzando una nuova e insidiosa prassi che riguarda la fase di distribuzione del cibo. Parliamo del caporalato digitale che riguarda i rider, coloro che, nelle grandi città e non soltanto, si occupano della consegna a domicilio del cibo. Capiamo di che cosa si tratta, quali sono i primi dati sul fenomeno, ma anche le soluzioni e le best practice che in giro per l’Italia stanno dando nuova dignità al lavoro del rider, anche grazie alla spinta normativa dell’Unione Europea per una maggior tutela dei diritti dei lavoratori del settore.

Delivery, rider e caporalato: contorni di un fenomeno in evoluzione

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La crescita del delivery e la sua diffusione sempre più capillare anche fuori dalle grandi città, dove è attivo da ormai un decennio, hanno creato ampi spazi di sviluppo e crescita per le imprese della ristorazione. Non è un caso che durante la pandemia, molte attività abbiano sperimentato la consegna a domicilio dei propri piatti per poter sopravvivere alla chiusura al pubblico e abbiano poi deciso di mantenere il servizio anche una volta conclusa la fase più severa della pandemia. D’altro canto, gli stessi consumatori si sono abituati a portare a casa cibi che normalmente potevano mangiare soltanto al ristorante.

Questa evoluzione dei consumi ha avuto un impatto anche sul mondo del lavoro. Sulle strade delle città sono ormai immancabili persone che in bicicletta, in motorino o anche in auto si muovono con lo zaino termico sulle spalle per consegnare questo cibo a domicilio.

I rider sono una figura professionale nuova, sempre più richiesta, spesso non retribuita in maniera equa.

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92 vittime di caporalato digitale: il caso di Milano

Un’ampia indagine condotta dal Nucleo di Ispettorato del Lavoro dei Carabinieri di Milano avviata nel luglio 2022 e conclusasi lo scorso dicembre ha svelato un sistema di “caporalato digitale” e sfruttamento dei rider in Lombardia. Sono stati censiti in totale 832 fattorini in 225 punti di raccolta delle consegne: di questi, ben 92 risultano al lavoro tramite la cessione fittizia dell’account.

Il meccanismo è semplice: i rider per poter lavorare sono costretti a pagare un intermediario che garantisce loro di poter lavorare sulle piattaforme. Di fatto, dunque, la cessione illecita dell’account prevede che la registrazione alla piattaforma venga effettuata da un “caporale” (talvolta anche utilizzando documenti falsi), che accetta gli ordini che vengono materialmente eseguiti da qualcun altro in cambio della trattenuta di una quota di guadagno tra il 20 e il 50%. Quelli individuati dall’indagine, dunque, sono 92 casi di caporalato, secondo quando previsto anche dalla legge, perché è comprovata la presenza di un gruppo di persone che possiedono effettivamente gli account che vengono poi fatti utilizzare ai rider in cambio di una trattenuta su quanto incassato. Questo pagamento avviene quasi sempre in nero, perché le piattaforme permettono di pagare i fattorini solo tramite bonifico o accredito su un conto corrente, una carta di credito o una Poste Pay, e proprio per questo l’illecito è più complesso da individuare e tracciare.

Secondo quanto emerso dall’indagine, i rider vittime di caporalato sono soprattutto richiedenti asilo, persone che si trovano in una condizione di particolare fragilità o persone prive dei documenti per poter essere assunti regolarmente. Si tratta quindi di persone ai margini, e quindi più esposte al rischio di sfruttamento, esattamente come avviene per i molti braccianti sfruttati nei campi. Persone che spesso non hanno scelta o alternativa.

La segretaria confederale della Cgil, Tania Scacchetti, ha così commentato la notizia: “Ciò rende evidente come vadano rafforzate e ampliate le regole e le tutele in un ambito in cui i rischi di irregolarità e di scarsa sicurezza si sommano ai bassi redditi e alla quasi totale assenza di diritti, che spingono al cottimo e alla competizione senza regole. Un settore che si definisce innovativo, che è cresciuto moltissimo per rispondere a una domanda crescente dei consumatori, non può essere emblema del lavoro sfruttato, ricattato, insicuro. La vertenza rider deve quindi continuare, con l’obiettivo di contrattualizzare questi lavoratori e garantire loro sicurezza, dignità e diritti”.

Assunzione regolari, consegne etiche e soluzioni per regolarizzare i rider

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Proprio perché il tema è diventato di sempre più stringente attualità, sono diverse le soluzioni avanzate per una maggiore tutela della figura dei rider. A lungo si è discusso sull’opportunità per le aziende che si occupano specificatamente di delivery per la ristorazione di assumerli come dipendenti. Dopo forti resistenze, alcune di queste si sono mosse in questa direzione. Nel 2021, per esempio, l’italiana MyMenu, Getir che si occupa della consegna della spesa, e il colosso Just Eat hanno introdotto l’assunzione per i fattorini secondo i contratti di logistica. Esperienze di successo come conferma la crescita e l’espansione delle piattaforme che hanno scelto questa modalità.

A Bologna durante la pandemia, invece, è stata fondata Consegne etiche, una realtà parallela alle principali imprese di delivery che si basa proprio sul valore e sul rispetto dei diritti dei lavoratori. L’obiettivo è duplice: dimostrare che una strada legale è possibile e sperimentare contratti di lavoro equi.

In diverse città italiane troviamo, invece, la “Casa dei rider”, una struttura dove i fattorini possono riposarsi, fare una doccia, ricaricare il cellulare, spesso fare anche delle piccole riparazioni alla bicicletta. L’iniziativa, partita da Napoli dove due anni fa è morto il rider Antonio Prisco, fautore del primo sciopero della categoria e la cui lotta ha contribuito a ottenere la prima sentenza per migliorare i diritti di questi lavoratori, si è diffusa anche in altre città: Palermo, Genova, La Spezia, Modena e presto anche a Bologna. L’idea è di creare non solo uno spazio sicuro e riparato per far fronte alle esigenze pratiche dei rider durante i turni di lavoro, ma anche costruire reti, permettere alle persone di conoscersi ed entrare in contatto con le associazioni del territorio che possono supportarli in caso di necessità.

L’Unione Europea al lavoro per favorire le assunzioni regolari

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Sul tema nel giugno 2023 è arrivata anche una proposta di Direttiva dell’Unione Europea sui lavoratori delle piattaforme di delivery. Approvata dal Consiglio dell’UE composto dai 27 capi di governo dei Paesi membri, la legge europea sarà ora discussa dal Parlamento e dalla Commissione e punta a regolarizzare tutte quelle persone che ora collaborano con la Partita IVA o come lavoratori autonomi pur essendo, di fatto, dipendenti.

In particolare, sono stati fissati sette criteri per stabilire il tipo di rapporto di lavoro. Tra questi, citiamo alcuni dei più rilevanti:

L’elemento più innovativo di questa proposta risiede nell’inversione dell’onere della prova. Ciò significa che se il lavoratore ritiene che almeno tre dei criteri siano soddisfatti, può chiedere di essere assunto ed è il datore di lavoro a dimostrare che il rapporto di lavoro non è subordinato e quindi può proseguire così.

In una nota, il Consiglio ha evidenziato come “attualmente la maggior parte dei 28 milioni di lavoratori Ue su piattaforma, inclusi tassisti, lavoratori domestici e rider di consegne di cibo, sono formalmente lavoratori autonomi, tuttavia, alcuni di loro devono rispettare molte delle stesse regole e restrizioni di un lavoratore subordinato. Una circostanza che indica come abbiano effettivamente un rapporto di lavoro e dovrebbero quindi godere dei diritti del lavoro e della protezione sociale concessi ai lavoratori ai sensi del diritto nazionale e dell’Ue”.

È indubbio, dunque, come facilitare l’assunzione regolare dei rider sia un passo fondamentale per poterne garantire la tutela dei diritti. Parallelamente attività di indagine e di lotta contro il caporalato anche in questo campo possono contribuire a scattare una fotografia realistica del settore, valorizzandone le buone pratiche e perseguendo i comportamenti illeciti. Questa è una delle strade per far sì che il caporalato diventi un fenomeno sempre più marginale, senza trasformarsi in caporalato digitale e diventando ancora più sommerso.


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