Avevo una dozzina d'anni, ed i miei Genitori, per sopravvivere assieme a me ed alla mia sorellina, più piccola di sette, in una Roma ancora schiantata da molti anni di occupazione nazista, di bombardamenti degli alleati, di accaparramenti dei più sconci, avevano dovuto affittare una stanza della nostra bella casa a persone che, peraltro, malgrado i tempi, potessero essere considerate apprezzabili ed affidabili. Si trattava di una specie di bed and breakfast ante litteram, ed i nostri ospiti dovevano essere, tutto sommato, molto soddisfatti, se non mancavano - non mancavano! - di ricordarsi abbastanza di frequente, di offrire piccoli regali a noi bambini. Mi è rimasta impressa una mostarda modenese con la quale, malgrado la fame imperante, non riuscii mai a trovare uno straccio di feeling: aveva un sapore troppo diverso da quelli ai quali eravamo abituati, fatti di cucina bolognese, sarda, ciociara. Epperò, in un modo o nell'altro, anche quella strana frutta molto bella da vedere, tanto quanto aliena - non cattiva, tutt'altro: solo aliena - nel gustarla, servì ad attenuare i crampi di stomaco. Chi non sa cos'è la fame, non può capire, a quali compromessi si possa scendere con le proprie papille gustative, per attenuarla. Andai molto più d'accordo con un'altra cibaria, forse anche più marziana ( vi ricordo che negli anni '40-'50, il mondo personale di ogni singolo individuo risultava molto ma molto più piccolo, di quanto non siano quelli di oggi), ma straordinariamente più gradevole al mio palato: si trattava di una specie di frittatine piegate in due e ripiene di marmellata, di provenienza jugoslava, chiamate palachinken. Sarà che erano buone sul serio, sarà che quando ti manca anche una povera caramella, qualsiasi dolce ti fa sentire in paradiso, ma certo quelle frittatine ed i due sposi che me le prepararono - si chiamavano, pensa un po', Jovanovic - sono rimaste un caposaldo della mia primissima adolescenza, assieme ad Angelo Silvio Novaro e ad un Il Re del Mare che Mamma, con inenarrabili sacrifici personali, mi aveva regalato per rendere un tantino migliore un mio compleanno. Ma quello che ricordo con più stupore meraviglioso, se così si può dire, è un panetto di marzapane da circa mezzo chilo, di origine sicula. Ancora oggi ne percepisco il profumo di mandorle ed un lieve sentore di zagara, la sensuale dolcezza, una morbidezza che avrei ritrovato solo diversi anni più tardi, sulla pelle della mia prima donna. Beh, non è che ne abbia avuto quante Cassano, ma quelle poche sono state sempre dei meravigliosi bouquets. Durò quattro giorni, quella stupenda pasta di mandorle: ogni tanto andavo a prenderne un pezzettino, dal nascondiglio segretissimo nel quale Mamma era certa di averlo nascosto. No, non mi strafogai di marzapane. Io. Lo fece, invece, la mia dolce, amatissima, insopportabile sorellina: scovò anche lei il nascondiglio e si fece fuori una quantità assurda di quella meraviglia. La fioritura di bollicine dei giorni immediatamente successivi la fece rassomigliare alla superficie di un pianeta vulcanico. E la passata di sculaccioni che rimediò da Mamma, ce la ricordiamo, io e lei, ancora oggi. Un paio d'anni dopo, il Mito ricomparve, quando Mamma cominciò a produrre, a beneficio di amiche, parenti e soprattutto mio, dei dolcetti stupendi, quanto semplici e veloci da confezionare, fatti di datteri e noci. E marzapane, naturalmente. Altrimenti perchè avrei scritto tutta sta storia?!
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Preparazione 2 ore h
Tempo totale 2 ore h
Portata Dolci e Dessert
Cucina Italia
Porzioni 4 persone
Ingredienti
- 24 datteri freschi
- 24 noci di Sorrento
- 1 panetto marzapane non aromatizzato
- 100 gr frutti di bosco (mirtilli rossi o lamponi od anche fragole)
- 100 gr pistacchi
Istruzioni
- Lavo delicatamente i datteri, se sono sfusi, e li lascio asciugare.
- Pratico un incisione in ogni dattero, nel senso della lunghezza, e ne estraggo il nocciolo. Li metto da parte, su di un vassoio.
- In una ciotola verso la pasta di mandorla e la mescolo con mezzo bicchierino di Cointreau. Se preparo per ospiti adulti, posso usare il Drambuie, più tonico, per così dire. Amalgamo bene, aiutandomi con una forchetta.
- Divido la pasta in tre parti, ciascuna per suo conto, in una ciotola.
- Spremo i frutti di bosco con uno schiacciapatate o strumento equivalente, ricavandone il succo che conservo in una tazzina sino all'utilizzo, trito i pistacchi sino a ridurli ad una polvere sottile.
- Aggiungo, a due delle parti, rispettivamente, il succo dei frutti di bosco e la polvere di pistacchi, amalgamando sino ad ottenere che la pasta presenti un colore più o meno marcato, a seconda dei gusti.
- Rompo il guscio delle noci, stando ben attento a lasciare i gherigli interi.
- Con un cucchiaino, riempio i datteri con la pasta di mandorle colorata, in numero uguale, rosso, verde e bianco, aprendo ogni dattero a bocca grande, per dare un effetto scenografico anche migliore, anziché il cucchiaino uso una sacca-à-poche con ugello rigato.
- Riempio allo stesso modo gli interstizi tra i gherigli delle noci, lasciando una piccola base libera, per poterle appoggiare sul vassoio.