I ricci di mare sono tra i prodotti più preziosi del Mediterraneo e, negli ultimi anni, hanno visto una grande crescita della domanda in tutta Europa e non soltanto. La domanda ha però comportato un eccesso di pesca che, oggi, ne mette a repentaglio la sopravvivenza. Al punto che, dal 22 gennaio di quest’anno e per tre anni, in Sardegna è scattato il divieto di pesca e di vendita di esemplari di Paracentrotus lividus, ovvero una specie di ricci di mare tra le più comuni e utilizzate in cucina. Diventa d’attualità, dunque, il tema della sostenibilità della filiera ittica e, allo stesso tempo, la mancanza di una visione unitaria delle regole in questo campo. A questo, si aggiunge il fatto che nemmeno i consumatori sono davvero consapevoli dell’impatto delle loro scelte di consumo sull’ambiente. Vediamo perché.
Divieto di pesca dei ricci di mare in Sardegna
La decisione è stata presa dal Consiglio regionale della Sardegna con la legge regionale 17 del 22 novembre scorso. In particolare, si legge, “è vietato il prelievo, la raccolta, la detenzione, il trasporto, lo sbarco e la commercializzazione degli esemplari di riccio di mare (Paracentrotus lividus) e dei relativi prodotti derivati freschi, per un periodo di tre anni e comunque fino alla data del 30 aprile 2024.”
Una decisione molto netta che parte dalla necessità di tutelare una specie che fa parte della tradizione ittica sarda messa in crisi dalla domanda che ha portato a un eccessivo sfruttamento. Secondo alcuni dati raccolti in diverse aree della Sardegna, il numero di ricci di mare è diminuito in maniera sostanziale negli ultimi 15 anni. In particolare, lungo la costa occidentale si stima un calo fino al 70%. Un po’ più ottimisti sono i dati raccolti dalla Fondazione IMC nell’area marina protetta di Tavolara-Punta Coda Cavallo: qui la popolazione di Paracetrotus lividus è calata “solo” del 45%. Segnali positivi dal Parco Nazionale dell’Asinara dove il numero di ricci cresce, ma dopo l’introduzione del divieto di pesca.
Le azioni della Regione Sardegna a tutela dei ricci di mare
La legge regionale 17/2021 non è il primo intervento della Regione Sardegna per tutelare la biodiversità marittima. La pesca era autorizzata soltanto per pescatori con licenze apposite e in periodi ben delimitati, solitamente da novembre ad aprile e ogni anno per un periodo di tempo inferiore. Inoltre, era consentito raccogliere soltanto i ricci adulti, ovvero con un diametro di almeno 5 cm senza considerare gli aculei. Tutte decisioni in linea con i regolamenti atti alla riduzione della pesca promossi in tutta l’Unione Europea, che mirano alla tutela delle risorse e a pratiche più sostenibili.
Regole però che in questo caso non sono state sufficienti, secondo l’amministrazione regionale sarda, che ha scelto di vietare ora ogni tipo di pesca di questa specie di ricci di mare e stanziare un fondo di 2 milioni e 800mila euro che servirà a indennizzare i pescatori colpiti dal divieto.
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Soddisfatta l’assessora all’Agricoltura Gabriella Murgia, che ha commentato: “Un fermo necessario per consentire il recupero degli stock e la ricostituzione della risorsa nel nostro mare territoriale, messa a rischio dal massiccio prelievo effettuato negli ultimi anni. Questo sovra sfruttamento, se perpetrato, potrebbe determinare nel breve periodo il collasso della risorsa e l’estinzione commerciale della specie, quindi si è reso necessario intervenire con drastiche misure gestionali e con una chiusura temporanea”.
Il ruolo delle associazioni
L’appello a uno stop alla pesca dei ricci di mare in Sardegna era partito da molto, già nel 2020 e promosso da Legambiente. Gli attivisti denunciavano come le regole in vigore non fossero sufficienti e si scontrassero contro vari fattori: pesca abusiva, assenza di controlli e la tendenza a prelevare esemplari ben più giovani del limite di 5 anni stabilito. Il divieto di pesca era visto come la sola azione possibile per dare avvio a un programma di ripopolamento della fauna di Paracetrotus lividus nelle aree marittime sarde.
La proposta raccoglieva mesi di lavoro con pescatori, ricercatori universitari, esperti e gestori di aree marine protette che, ricordava l’organizzazione, evidenziavano la drammaticità della situazione e la necessità di un’azione forte da parte della Regione. Tra le richieste, anche una campagna di informazione rivolta ai consumatori, in quanto proprio questi ultimi condizionano, con le loro scelte di consumo, ciò che accade in mare. Secondo Legambiente è fondamentale far capire alle persone che, per qualche anno, è importante ridurre il consumo di polpa di ricci di mare, perché è l’unico modo per permettere il ripopolamento e, di conseguenza, poterla mangiare anche in futuro.
La finalità della campagna di Legambiente (e anche delle altre associazioni) non è, dunque, soltanto arrivare al divieto di pesca dei ricci di mare, ma portare l’attenzione del consumatore sul tema della sostenibilità del comparto. Anche la filiera ittica oggi segue, in alcuni casi, logiche e pratiche che danneggiano il Pianeta senza che chi acquista il prodotto ne sia consapevole. Per questo iniziative come quelle della Regione Sardegna si fanno promotrici di un cambiamento che deve essere anche culturale.
Del resto se, invece, si continuerà con gli stessi volumi di consumo è tristemente possibile che, presto, non ce ne saranno più. Lo sapevate?
Fonte dati:
Fondazione IMC di Torregrande (Oristano)