Era settembre. Non ricordo l’anno, ma probabilmente parliamo del 2013. Ero al Taste of Roma, la manifestazione che riunisce ogni anno molti chef stellati (e non) della capitale negli spazi dell’Auditorium della Musica, con l’obiettivo di rendere accessibili i piatti dell’alta cucina a un’ampia platea. Tra volti a me conosciuti, e altri chef di cui non avevo ancora provato le proposte, ricordo chiaramente di essere stato folgorato dal nome di un piatto: “Tiramisù di Baccalà”, dello chef Riccardo Di Giacinto, patron di All’Oro (1 stella Michelin). La sensazione avvolgente al palato, l’intensità degli aromi, il retrogusto delicato e persistente sono ancora ben impressi in me. La storia dell’autore di un piatto del genere meritava d’esser raccontata, ed è per questo motivo che ho intervistato per voi lo chef Riccardo Di Giacinto.
Riccardo Di Giacinto: il passato, il presente, i progetti futuri
Di Giacinto mi dà appuntamento nella nuova sede di All’Oro, poco distante da Piazza del Popolo. All’interno del ristorante c’è una sala privata utilizzata per piccoli gruppi, con tanto di porta segreta posizionata in una libreria. Un dettaglio apparentemente poco significativo, ma che invece, unitamente alla grande ricercatezza degli elementi d’arredo e delle scelte stilistiche, esplica subito la lucidità del progetto, che ha dietro la volontà di costruire un luogo originale dove poter esprimere l’intensa vena creativa dello chef e l’originale idea di servizio di sala di sua moglie Ramona, un approccio al cliente informale ed empatico, ma anche estremamente professionale.
L’importanza della cultura del lavoro
Il tempo di ambientarmi e di bere un caffè e la conversazione si fa subito molto fitta. Conoscendo le varie attività imprenditoriali che Riccardo gestisce (All’Oro, MadeITerraneo, UP) gli chiedo subito quale sia il segreto che consente loro di riuscire a gestire luoghi, dipendenti e proposta ristorative senza far trasparire stanchezza. “L’affaticamento e la ricerca di scuse sono lo specchio della nazione, non c’è più voglia di sacrificarsi e abbiamo problemi sia in sala che in cucina con le nuove leve, perché la tv ha creato falsi miti”. La cultura del lavoro, quindi, quale punto di partenza, e una disposizione al sacrificio ereditata dall’insegnamento dei genitori. Un atteggiamento che non trova riscontro però nei ragazzi che si avvicinano al mondo della cucina: “I giovani devono capire che non esistono festività in questo mondo. Noi non abbiamo paura del sacrificio, lo abbiamo ereditato dalla famiglia. Papà gioielliere e imprenditore, suocero imprenditore, mia madre rimasta sola dal 2003 e che nonostante tutto riesce ancora a mandare avanti da sola il negozio”. Riccardo mi parla della loro capacità di riuscire a gestire tutto al meglio grazie allo staff che hanno saputo costruire nel tempo, persona dopo persona. “C’è profonda passione per questo lavoro. Facciamo tanto team building, talvolta ci capita di chiuderci un giorno in riunione con tutti i collaboratori per capire assieme come affrontare nuove sfide. Trasmettiamo umiltà, siamo i primi a entrare e gli ultimi a uscire, ci occupiamo di tutto, e questo atteggiamento nel tempo premia”.
L’alta cucina di chef Di Giacinto
La chiacchierata è fitta, lo chef ha voglia di parlare e le mie domande diventano l’ideale trampolino di lancio per affrontare numerosi argomenti. Dalla cultura del lavoro si passa all’alta cucina e alle sue prime esperienze, ma anche al suo approccio al mondo dell’imprenditoria: “il gourmet e l’alta cucina possono arrivare al massimo al pareggio per una serie di fattori, tra cui il costo del lavoro che è davvero altissimo, e l’enogastronomia che potrebbe far da volano per il paese non è sostenuta dal governo, come accade in altri paesi”. “Inoltre – aggiunge – non si fa sistema: cuochi, ristoratori, giornalisti e uffici stampa spesso passano il tempo a parlar male dei colleghi”.
Uno sfogo che denota la passione con la quale Di Giacinto vive il suo lavoro. “Ho preso la mia prima stella a 27 anni, ho iniziato quando fare questo mestiere non era di moda, ho sempre avuto una propensione per la qualità ma anche per i numeri, ho gestito ogni locale come fosse il mio, per una naturale attitudine” mi racconta mentre, contemporaneamente, lui e sua moglie Ramona danno disposizioni ai loro collaboratori per organizzare le attività della giornata.
“Sono entrato in cucina perché non mi piaceva studiare, anche se poi nel tempo mi sono ritrovato a doverlo fare, su varie materie, ma con grande piacere e voglia di imparare; con il tempo e l’esperienza ho capito come muovermi in vari ambiti, riuscendo a gestire ogni aspetto di una attività di ristorazione”.
L’incontro con Ramona e l’avventura di All’Oro
Ogni storia ha un prima e un dopo. Quello di Riccardo è rappresentato dall’incontro con Ramona Anello, che poi sarebbe diventata compagna di vita e nel lavoro. Nel 2006 lei era impegnata nel settore immobiliare, ma l’incredibile intesa nata tra loro due porta a un repentino cambio di vita, a scelta lavorative anche azzardate, con alla base, però, una comune visione, che ha permesso loro di affrontare gli iniziali sacrifici. Il 24 aprile 2007 aprono il ristorante All’Oro in via Duse, a Roma. Ramona scopre d’avere un talento per la gestione della Sala, ma non avendo esperienza inizia a studiare, soprattutto i vini, per acquisire una sempre maggiore conoscenza.
I primi tempi sono caratterizzati da tante serate con il locale vuoto, senza riuscire a capirne il motivo. La proposta culinaria di Riccardo, formatosi in Spagna e Inghilterra (cruciale l’anno di esperienza con Ferran Adrià da El Bulli), era già intrigante, ma non trovava riscontro. Poi, poco alla volta, la svolta: prima un articolo di Luca Zanini del Corriere della Sera, poi il premio “Miglior Chef emergente”; infine, nel 2009, il ristorante All’Oro è inserito nell’articolo di Gianni Mura sui 100 nomi dell’anno. L’anno dopo, nel 2010, arrivò la stella Michelin.
Una comunicazione controcorrente
“Noi abbiamo investito sempre su All’Oro e mai su Riccardo Di Giacinto per scelta, perché vogliamo far crescere tutto il nostro mondo”. Ramona mi spiega in maniera sintetica ed esaustiva il loro approccio al mondo della comunicazione, concetto ribadito anche da Riccardo: “Non mi interessa fare il divo, essere sotto i riflettori, avere atteggiamenti sopra le righe, perché misuro la qualità del lavoro con il fatturato, sono molto americano da questo punto di vista. Per me la concretezza è quella della famiglia Cerea, persone solide, lucide, con una visione costruttiva dell’imprenditoria”. Aggiunge che La Rinascente li ha scelti (per la gestione di MadeITerraneo e UP) non (solo) per le capacità tecniche e per il talento, ma anche se non soprattutto perché in grado di gestire dei ristoranti come fossero aziende.
La filosofia culinaria di Riccardo Di Giacinto
Il discorso in maniera naturale non può che virare sulla cucina e sulla filosofia che Di Giacinto porta avanti da anni: “I piatti devono essere comprensibili, siamo cuochi italiani, dobbiamo valorizzare il sapore, i prodotti, ai clienti deve venir voglia di fare la scarpetta. Anche con il servizio cerchiamo di essere vicini, sdrammatizzando e non proponendo il classico servizio protocollare, quando il tavolo lo consente cerchiamo di divertirci”. Da All’Oro sono moderni ed eleganti senza essere ridondanti, hanno eliminato alcuni cerimoniali come il tovagliolo da mettere sulle gambe, ma al tempo stesso hanno delle attenzioni significative e necessarie, come il cambio di bicchiere dopo il piatto ‘Riassunto di Carbonara’.
“Quando sento di essere in un momento creativo – aggiunge lo chef – chiamo il mio secondo e i miei collaboratori e subito metto a punto i piatti, qualche giorno fa ne ho realizzati 5-6 nuovi che a mio avviso diverranno importanti. Riesco ogni anno a crearne quasi un centinaio, sono felice di possedere questa attitudine che consente alla mia cucina di evolvere”.
Ramona e la nuova Sala
Avendo Ramona con noi, non posso che chiedere di spiegarmi la sua idea di Sala: “per alcuni la sala è uno slogan, per noi è una parte fondamentale, cuciniamo in sala con il carrello i ‘Raviolini al mascarpone con il ragù d’anatra’: il cliente diventa protagonista assoluto, mi dà energia vedere Simone e Achille (i ragazzi che lavorano in sala) che mantecano la pasta e si sentono parte viva del progetto”.
Riccardo e Ramona cercano di contornarsi di persone come loro, che abbiano la stessa visione, la stessa sensibilità, per continuare a trasmettere la loro filosofia con coerenza. “Esistono esercizi narcisi che non hanno senso e allontanano la gente dall’alta cucina, e a quel punto conviene andare in trattoria, dove pure ci sono realtà di scarso valore – aggiunge lo chef. – Molti si allontanano da una determinata categoria di ristoranti anche per l’impostazione del servizio, la pesantezza, il silenzio. Noi arriviamo a 45 coperti serali e la sala è viva, abbiamo tempistiche di un certo tipo, i piatti escono di continuo, non si può star seduti per ore a tavola, e ciò non strema i clienti”, conclude Ramona.
Una (comune) visione lungimirante, la disposizione al sacrificio, la cultura del lavoro, la conoscenza di tecniche e materie prime: gli elementi che hanno portato al successo di All’Oro sono evidenti e rappresentativi di una realtà ristorativa che cresce anno dopo anno. L’intervista mi ha permesso di cogliere sfumature di una storia che conoscevo solo per grandi linee e che si è dimostrata interessante. Conoscevate lo chef Di Giacinto e il suo ristorante?