Giornale del cibo

Povertà e sfruttamento dei braccianti: i dati del Report Oxfam 2018

 

Solamente un euro ogni venti che vengono spesi per acquistare prodotti agroalimentari nei supermercati ripaga il lavoro di chi, quegli alimenti, li produce. Questo è uno dei dati del rapporto “Sfruttati”, pubblicato da Oxfam nel mese di luglio 2018, che sottolinea anche come una percentuale considerevole dei braccianti, a livello globale, viva in condizioni drammatiche di povertà. Situazione che non può che portare a conseguenze anche sulla salute: basti pensare agli studi che hanno evidenziato come esista un concreto nesso tra obesità e diseguaglianze economiche.

Tre lavoratrici su quattro intervistate da Oxfam in Italia hanno dichiarato, a tal proposito, di dover rinunciare ai pasti regolari a causa della miseria delle retribuzioni, e anche quando i pasti sono “offerti” dal datore di lavoro o dal caporale, non sono rari i casi in cui l’equilibrio nutrizionale del pranzo sia la priorità.

Lavoratori agricoli, la maggior parte vive in povertà

braccianti caporalato

Oxfam denuncia, dunque, una trasversale e globale situazione di diseguaglianza che attanaglia il settore agroalimentare. Ben il 50% del prezzo pagato dai consumatori si ferma nelle casse dei supermercati, mentre appunto solo il 5% arriva al produttore. Per le donne impiegate in agricoltura, la percentuale di guadagno è anche minore con conseguenti difficoltà ancora più gravi.

Analizzando, poi, il rapporto tra povertà e sicurezza alimentare, i ricercatori hanno realizzato alcune interviste in cinque paesi caratterizzati da livelli di reddito e di vita molto diversi tra loro: Italia, Sud Africa, Filippine, Thailandia e Pakistan. Emerge ovunque, però, la concreta difficoltà ad arrivare alla fine del mese garantendo per sé e per la propria famiglia almeno un pasto al giorno. Ancora più remota la possibilità di acquistare regolarmente cibi nutrienti, assicurando a ciascuno il corretto fabbisogno di sostanze.

I braccianti “assunti” irregolarmente sono quelli maggiormente esposti alla povertà . Secondo le stime della ong, nel 2015 erano 430mila in Italia, 100mila dei quali vittime di forme di sfruttamento. Non solo assenza di garanzie, diritti e contratti di lavoro, ma anche paghe molto al di sotto del minimo fissato per legge e nessuna tutela in caso di infortuni, come denunciato anche da Medici per i Diritti Umani a proposito della stagione di raccolta degli agrumi a Rosarno.

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Pane duro e sassi: cosa mangiano i braccianti?

D’estate l’attenzione si sposta sulla Sicilia, ed è proprio dai campi dell’isola che emergono alcune storie drammatiche. Grazie a un’indagine della Polizia sono in stato di fermo 5 rumeni che nel ragusano sfruttavano un gruppo di connazionali, costretti non solo a lavorare 10 o 12 ore per una manciata di euro, ma anche picchiati finché non diventavano “jarca”, ovvero inutili. “Basta, può mangiare le pietre, i sassi… deve vedere stasera”, questo il testo di una delle intercettazioni rese pubbliche dalle forze dell’ordine che hanno scoperto in cosa consisteva il “pasto” fornito dai caporali ai lavoratori: avanzi e cibo scaduto, spesso raccolto dalla spazzatura dei supermercati e a volte già in fase di decomposizione.

Un modus operandi non troppo differente è stato individuato anche nel trapanese. Un’indagine della Squadra Mobile nelle campagne di Marsala e Mazara del Vallo ha portato all’arresto di due persone, accusate di sfruttamento aggravato di manodopera in concorso. I due ogni giorno contrattavano con i braccianti la paga, mediamente 3 euro l’ora, e il pasto giornaliero che, spesso, era un tozzo di pane secco e raffermo. Chi si lamentava, era fuori.

Anche il caldo è un pericolo per questi lavoratori. Infatti, durante la stagione estiva gli orari di lavoro nei campi e, soprattutto, nelle serre, dovrebbero variare assecondando i cicli naturali. Ignorare questo aspetto non può che mettere seriamente a repentaglio la salute dei lavoratori, basti pensare al bracciante 45enne morto a Carmagnola, in Piemonte, proprio a causa delle temperature elevate dentro le serre.

L’etichetta trasparente contro la povertà?

È evidente che il fenomeno, nonostante la nuova legge contro il caporalato inasprisca le pene contro chi sfrutta, è ancora molto diffuso in tutta Italia. L’avvio del processo per la morte della bracciante Paola Clemente, o le azioni delle Forze dell’Ordine che stanno portando ad arresti in tutta Italia, le iniziative istituzionali e collettive per monitorare e contrastare il lavoro nero, e la presenza di progetti che mirano a una produzione pulita e giusta, sembrano suggerire un moderato ottimismo.

Contro la povertà e per ridurre le diseguaglianze, una prima e semplice strategia portata avanti, tra gli altri, dalle realtà che abbiamo intervistato (Sfrutta Zero, Funky Tomato, SOS Rosarno) è quella dell’etichetta trasparente. Ciò consiste semplicemente nel tentativo di rendere esplicito e chiaramente visibile a tutti, direttamente sulla confezione di pomodoro, arance o altri prodotti, quali sono i passaggi che portano al prezzo finale.

Si tratta di un modo per permettere al consumatore di fare una scelta più consapevole, riconoscendo a prima vista un prodotto a “rischio caporalato” da uno che ha seguito una filiera pulita. Secondo le associazioni, si tratta di un gesto semplice che non dovrebbe costare molto a produttori e distributori, un segnale eloquente, però, di legalità. Garantire, infatti, una retribuzione tale per cui un bracciante possa procurarsi cibo a sufficienza ogni giorno, altro non è che un fondamentale diritto di ciascuno in quanto essere umano.

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