Facendo il punto sulla situazione a distanza di mesi dall’approvazione della nuova legge contro il caporalato, è emersa la necessità di potenziare e sviluppare strumenti e azioni concrete per agire contro lo sfruttamento che ancora è ampiamente diffuso, in particolare nelle regioni del Sud, che ora si sono unite contro il caporalato. Proprio Calabria, Basilicata, Puglia, Campania e Sicilia hanno infatti presentato, pochi giorni fa, un progetto al Ministero dell’Interno, al vaglio anche della Commissione Europea, con questa finalità.
Regioni del Sud contro il caporalato: un’iniziativa condivisa
Cinque Regioni insieme, dunque, per far sì che gli obiettivi previsti dalla legge non restino solamente sulla carta, ma si trasformino in azioni reali che abbiano un impatto sul territorio. Se l’obiettivo generale è l’eliminazione delle forme di sfruttamento e della gestione criminale del lavoro agricolo che coinvolge non soltanto stranieri, come ricorda anche Giuliano Gallini riflettendo sulle morte dei braccianti agricoli Paola Clemente e Abdullah Muhamed, questo progetto mira allo smantellamento dei ghetti, gestiti in maniera diretta o indiretta dai caporali e dove, in situazioni al limite della dignità, sono costretti a vivere oltre 15mila migranti impiegati nei campi.
Accoglienza degna e controlli
Le attività proposte dalle Regioni attingono alle esperienze virtuose, sperimentate a macchia di leopardo sui territori. Per esempio, si vogliono introdurre liste di prenotazione per accedere al lavoro regolare, come avviene in Basilicata, e un sistema di trasporto sicuro e legale come quello sperimentato a Palazzo San Gervasio: in questo modo, auspicano i promotori, si andrà ad indebolire l’influenza e il potere che i caporali hanno sui lavoratori che potrebbero trovare, quindi, alternative sicure e garantite.
Inoltre, in attuazione dei protocolli d’intesa sottoscritti localmente con le Prefetture, si vuole promuovere la creazione e costruzione di centri di accoglienza pubblici, dove realizzare anche percorsi di inclusione, formazione ed integrazione rivolti a tutti i lavoratori agricoli e non solamente a quelli migranti. Per farlo, ciascuna Regione attinge alle proprie risorse: la Basilicata, per esempio, ha voluto includere alcune attività finalizzate al recupero di strutture appartenenti al patrimonio pubblico ed oggi inutilizzate.
L’accoglienza è un lato della medaglia a cui si accompagna anche la necessità di individuare le reti di sfruttamento criminali: secondo quanto dichiarato dal prefetto di Reggio Calabria, nel 2017 sono state realizzate 36 operazioni contro caporalato e lavoro nero in 34 comuni della sola provincia. L’azione di Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di finanza, Polizia provinciale, Carabinieri Forestali e Ispettorato del lavoro, ha portato alla denuncia di 30 persone e all’emissione di ben 181 sanzioni amministrative, per un totale di 1.716.518 €.
Un’altra indagine coordinata dalla Guardia di Finanza, invece, ha scoperto, nel mese di marzo di quest’anno, una rete di sfruttamento coordinata da un gruppo di caporali e imprenditori che “assume” lavoratori stranieri per raccogliere i mandarini, pagandoli solamente un euro per ogni cassetta consegnata. Un recente report della Federazione del Sociale dell’USB di Catania ha acceso i riflettori su come la longa manus del caporalato non risparmi nemmeno il mare: i pescatori, nel catanese, vengono retribuiti con soli 25/30 euro al giorno, solo se il pescato è sufficiente per quantità e qualità.
Un’assemblea per la prevenzione e la denuncia
La lotta delle regioni del sud contro il caporalato, dunque, si muove su più fronti e allarga l’intervento a più attori, come le associazioni attive sul territorio. E proprio la Flai-Cgil ha organizzato per lo scorso 6 aprile, a Torino, la prima assemblea nazionale dei lavoratori migranti. Si è parlato, come suggerisce il titolo della giornata “Di terra in terra”, della necessità quanto mai urgente di rompere gli stereotipi per cui gli stranieri sono in Italia solo per rubare il lavoro, quando invece si tratta di manodopera richiesta e preziosa, in particolare nell’ambito agricolo, ma non soltanto. Impossibile, infatti, non affrontare il tema del caporalato e dello sfruttamento: come riportato da “Torino Oggi”, in assemblea i lavoratori migranti hanno confermato, in particolare, l’esistenza di un calendario della raccolta e, di conseguenza, dello sfruttamento che coinvolge l’intera penisola. Le stesse persone che in inverno, per esempio, lavorano a Rosarno, poi si spostano in Puglia e poi risalgono la penisola fino al Nord, in particolare nell’astigiano e nel cuneese.
Elemento di ulteriore interesse è il fatto che le cooperative che hanno già sperimentato questo approccio all’agricoltura sono attive su territori confiscati alla criminalità organizzata che vengono dunque restituiti non solo ad una produzione etica, ma anche alle persone che possono vivere sul territorio, lavorando alla luce del sole.
Se vi interessa scoprire di più su chi si cela dietro al sistema di sfruttamento del caporalato, vi consigliamo di leggere l’intervista a Stefano Liberti, autore del libro “I signori del cibo” edito da minimum/fax. Avete partecipato ad iniziative contro il caporalato anche nei vostri territori? Raccontateci la vostra esperienza nei commenti.