Le mafie 3.0 hanno, sempre di più, le mani in pasta nel settore agroalimentare. Le infiltrazioni sono ovunque, dalla fase della produzione fino ai trasporti, e non risparmiano nessun settore, contaminando il mercato di frutta, verdura, carne e pesce. Soffocano il sistema e non risentono della crisi, tant’è che il loro volume d’affari complessivo è stato, nel 2018, di ben 24,5 miliardi di euro, il 12,4% in più rispetto all’anno precedente. A dirlo sono Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell’agroalimentare che hanno presentato a Roma il 14 febbraio il 6° Rapporto Agromafie 2018 sui crimini agroalimentari.
[elementor-template id='142071']Rapporto Agromafie 2018, cosa dice il report sui crimini agroalimentari
Colpisce il dato sulla crescita del volume d’affari delle agromafie in Italia, preoccupante poiché denuncia una diffusione trasversale del fenomeno e una necessaria difficoltà dei molti produttori onesti. Altrettanto rilevante è la crescita di “professionalizzazione” dei soggetti coinvolti nelle attività criminose: si parla di mafiosi che hanno ormai abbandonato l’abito “militare” a favore del “colletto bianco”. Hanno studiato in università prestigiose, parlano molte lingue, possono contare su un network internazionale potente attraverso cui costruire e consolidare le attività mafiose.
Un sistema riccamente remunerato, che schiaccia chi, tutti i giorni, lavora in maniera onesta e corretta per coltivare i campi o allevare il bestiame. E si parla di mafia 3.0 perché esiste una struttura intelligente che consente il coordinamento tra le varie organizzazioni criminali e che facilita l’infiltrazione nel settore agroalimentare coprendo azioni illecite con una patina di legalità.
“Le agromafie sono diventate molto più complesse e raffinate – ha affermato Ettore Prandini, presidente della Coldiretti – e non vanno più combattute solo a livello militare e di polizia ma vanno contrastate a tutti i livelli: dalla produzione alla distribuzione fino agli uffici dei colletti bianchi dove transitano i capitali da ripulire, garantendo al tempo stesso la sicurezza della salute dei consumatori troppo spesso messa a rischio da truffe e inganni solo per ragioni speculative.” Infatti, le conseguenze del business delle agromafie arriva direttamente nel piatto.
Le conseguenze concrete della diffusione delle agromafie
Il Rapporto agromafie 2018, infatti, evidenzia quali sono le conseguenze di questo business: crescono i casi di furto di trattori, falciatrici e altri mezzi agricoli, ma anche di gasolio e rame. Le mani della mafia arrivano sui prodotti (limoni, nocciole, olio, vino) e sugli animali, mettendo in ginocchio agricoltori e allevatori finiti nel mirino. Sono molte, inoltre, le perdite causate dal danneggiamento delle strutture, dalle estorsioni nelle campagne, dal racket e dai fenomeni di usura.
Tra il 1° gennaio 2017 e il 30 giugno 2018, la Guardia di Finanza ha sequestrato più di 4 milioni di kg di beni perché oggetto di frodi sanitarie e commerciali: il 20,3% di essi appartenevano alla categoria del pomodoro, che si conferma dunque un settore particolarmente critico. Il 17% dei sequestri riguarda invece mosti e uve parzialmente fermentati, e il 12% formaggi e latticini.
Strettamente connessi alle infiltrazioni criminali in agricoltura e nel settore alimentare è anche la moltiplicazione dei prezzi, i danni di immagine per il Made in Italy anche all’estero, e i rischi per la salute. Infatti, Coldiretti evidenzia come, nel 2018, siano stati rilevati 399 allarmi alimentari (dati del Sistema di allerta rapido dell’Unione Europea) potenzialmente connessi alle agromafie.
Come arrivano le agromafie nel piatto?
Vino, carne, conserve e zucchero sono i settori agroalimentari nei quali si è registrata, nel 2018, una crescita più sostanziosa delle notizie di reato e truffe. Sono stati sequestrati, in totale, 17,6 milioni di kg di alimenti, pari ad un valore di 34 milioni di euro. Il Rapporto stima che il 17% degli italiani è stato vittima di almeno una frode alimentare che significa, dal punto di vista pratico, che ha acquistato cibi fasulli, avariati, alterati e potenzialmente dannosi per la salute.
Spesso queste caratteristiche coincidono con alcuni cibi low cost che, secondo i curatori del report, tendono a celare problematiche serie come ricette modifiche, ingredienti di minore qualità, metodi di produzione non certificate, pratiche illegali vere e proprie, sfruttamento dei braccianti e episodi di caporalato.
Non mancano, infine, le conseguenze di tipo ambientale: sono stati rilevati anche più di 30.000 eco-reati nella gestione dei rifiuti, determinati anche dall’impiego sregolato di discariche abusive.
Nonostante i sequestri e le azioni di contrasto delle agromafie che coinvolgono tutte le forze dell’ordine, il volume d’affari continua a crescere. Cosa fare, allora? Risponde ancora il presidente della Coldiretti, che sostiene: “è necessario che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute. In più, oltre ad applicare l’indicazione d’origine su tutti i prodotti va anche tolto in Italia il segreto sui flussi commerciali con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero per consentire interventi mirati in situazioni di emergenza anche sanitaria che si ripetono sempre più frequentemente”.
Conoscevate i numeri del fenomeno delle agromafie in Italia?