Le radici commestibili sono state fra le prime risorse alimentari dei nostri progenitori nella preistoria, che le raccoglievano in natura, al pari dei frutti e dei semi. Da allora le modalità di consumo si sono evolute, differenziandosi nelle varie culture territoriali, anche se non di rado si sono mantenute consuetudini e usi semplici, di origini antichissime. Ma quali sono le radici che possiamo mangiare e quali peculiarità le contraddistinguono? Dopo aver descritto i numerosi tipi di patate coltivati nel mondo, stavolta cercheremo di saperne di più su queste forme vegetali da riscoprire, per il loro valore nutrizionale e gastronomico.
Radici commestibili: origini e consumo
Quando i primitivi si mettevano alla ricerca di cibo, i vegetali rappresentavano la fonte alimentare più facilmente reperibile e disponibile, che non richiedeva grandi sforzi fisici o l’affronto di particolari pericoli. I nostri antichi progenitori vissuti prima dell’introduzione dell’agricoltura, infatti, erano raccoglitori-cacciatori, e l’attività di raccolta forniva gran parte degli alimenti, come ci ha spiegato il professor Enzo Spisni nel nostro approfondimento sulle diete dannose da evitare.
Oltre ai prodotti che si potevano prelevare al di sopra della superficie del terreno – frutti, erbe e semi – anche sottoterra la natura offriva risorse importanti per sfamarsi. Le radici commestibili erano e sono tante, come stiamo per vedere. Molte di queste possono essere mangiate crude, mentre altre richiedono la bollitura. Progressivamente, l’evoluzione dei gusti e delle tecniche in cucina hanno introdotto modalità di consumo sempre più adatte alle singole essenze, come l’essicazione e la macinatura, anche se l’uso delle radici, in genere, continua a prediligere lavorazioni minimali o pressoché nulle, come avveniva agli albori della civiltà.
[elementor-template id='142071']Oggi la globalizzazione e l’incontro fra diverse tradizioni gastronomiche ci permette di assaggiare cibi da tutto il mondo, aspetto che vale anche per le radici commestibili. Molte di queste, non a caso, provengono da altri continenti. Alcune hanno già avuto grande successo alle nostre latitudini, mentre altre sono ancora da considerare merci di nicchia, rispetto alle quali, però, l’interesse è in crescita, specialmente tra vegetariani, vegani e salutisti, ma anche da parte di chi ama sperimentare nuovi gusti. Negli ultimi anni, peraltro, l’alta cucina sta riscoprendo le radici, che trovano spazio in diverse tipologie di preparazioni, dimostrando la loro versatilità.
Radici e tuberi: quali sono le differenze?
Prima di descrivere le singole varietà di radici commestibili, è importante precisare la differenza fra questi vegetali e i tuberi, aspetto non sempre chiaro e spesso confuso. In sintesi, ecco per cosa si distinguono.
- Le radici sono la parte della pianta destinata unicamente a raccogliere i nutrienti dal terreno e non hanno capacità vegetativa, ovvero non possono generare germogli, aspetto fondamentale per riconoscerle. La maggior parte delle radici commestibili, che contengono soprattutto minerali e vitamine, sono quelle definite tuberiformi, dalla forma tozza e ricche di acqua all’interno, anche se alcune di quelle legnose e non tuberificate, come ad esempio la liquirizia, si possono usare in cucina.
- I tuberi, invece, fungono da “serbatoi” di nutrimento per i vegetali, per accumulare amido, acqua e altre sostanze. Diversamente rispetto alle radici, fanno parte del fusto e hanno capacità vegetativa, quindi possono far germogliare una nuova pianta, fenomeno che nel caso delle patate può essere prevenuto prima della vendita, con la tecnica conservativa dell’irradiazione. Quasi tutti i tuberi si trovano sottoterra, anche se alcuni, detti t. aerei, si sviluppano ben al di sopra della superficie del terreno. Nel confronto nutrizionale con le radici, i tuberi sono in genere più ricchi di carboidrati, tantoché, tradizionalmente, per l’alimentazione umana rappresentano la seconda fonte di questi nutrienti dopo i cereali.
Oltre alla distinzione con i tuberi, per rispettare la botanica le radici non andrebbero confuse nemmeno con queste altre forme con capacità vegetativa.
- I bulbi si riconoscono per la serie di scaglie una dentro l’altra che li forma; spesso sono rivestiti da una buccia, detta tunica, che ricorda la carta, come nel caso dell’aglio e della cipolla.
- I rizomi sono steli che si sviluppano orizzontalmente, sopra o poco sotto la superficie del terreno, come ad esempio lo zenzero, la curcuma e il loto.
- I cormi sono steli modificati, in genere tondeggianti e solidi all’interno, dei quali fa parte il taro, di origine asiatica e usato per le zuppe.
Radici commestibili: quali sono?
Pur essendo accomunate da particolari caratteristiche botaniche, le radici commestibili possono risultare molto diverse fra loro, non solo nelle forme e nei colori. Al palato, infatti, si spazia dal dolce al piccante, dall’amarognolo al vagamente salino, con consistenze più o meno solide, croccanti o pastose. Classificandole innanzitutto in base alla provenienza, ecco quali sono quelle più consumate e apprezzate nel mondo.
Le più conosciute in Europa
Parlando di radici commestibili, è impossibile non cominciare dalle carote (Daucus carota), delle quali esistono numerose varietà, che si differenziano a partire dal colore e dalla forma. Estremamente versatili in cucina, possono essere mangiate crude, lessate o al forno, per preparazioni salate o dolci, di consistenze e formati diversi. Le carote hanno ottime proprietà antiossidanti e depurative, che non si limitano alla salute degli occhi, l’aspetto più noto e attribuito alla vitamina A. Negli ultimi anni sono state riscoperte le carote nere e viola, particolarmente ricche di antociani, oltreché esteticamente curiose.
Anche di rape (Brassica rapa) esistono diverse varietà. Di quella bianca o comune si possono consumare sia la radice – utilizzata per zuppe, creme e altri piatti tipici della cucina povera – che le cime. Associato a espressioni gergali generalmente dispregiative, questo ortaggio di antica tradizione – potenzialmente privo di parti da scartare – merita di ritrovare spazio sulle tavole degli italiani.
Delle barbabietole o rape rosse (Beta vulgaris), invece, si possono consumare sia la radice che le foglie, crude o cotte. La parte radicale, di colore rosso brillante, è ricca di antiossidanti, minerali, fibre e vitamine, ma anche di zuccheri, che contribuiscono a costituirne il gusto caratteristico, valorizzato in varie ricette. Il sedano rapa (Apium graveolens rapaceum), nelle sue diverse sottospecie, unisce il gusto del sedano alle forme della rapa comune ed è molto adatto per preparare zuppe, purè e altri piatti invernali.
Le numerose varietà di ravanelli (Raphanus sativus), anticamente originari dell’Asia orientale ma diffusi in tutto il mondo, sono accomunati dalla croccantezza e dalle proprietà antinfiammatorie, digestive e depurative. In Italia si consumano crudi, ma in molti Paesi è assai più comune mangiarli cotti.
Non tutti sanno che del prezzemolo (Petroselinum crispum) e del cerfoglio (Anthriscus cerefolium) si possono consumare anche le radici, dal gusto delicato e tipiche della cucina ebraica dell’Europa orientale. Ricche di proprietà benefiche per il sistema digestivo, per la pelle e la circolazione, possono essere impiegate anche nella preparazione di decotti e tisane.
Diversamente rispetto a tutte le altre piante che citeremo, la liquirizia (Glycyrrhiza glabra) ha una radice legnosa usata fin dall’antichità in ambito officinale, grazie alle sue proprietà digestive, espettoranti, antinfiammatorie e rinfrescanti. Il grande potere aromatico, inoltre, rende questa essenza ottima per realizzare estratti, liquori e dolci, ma anche abbinamenti insoliti coi cibi salati.
La radice del rafano (genere Raphanus) si può consumare cruda o cotta e si distingue per il suo odore pungente, mentre fra le proprietà si segnala il potere diuretico e digestivo. Questa pianta perenne non è difficile da trovare anche allo stato selvatico, in prossimità delle acque interne e dei luoghi umidi.
La radice della pastinaca (Pastinaca sativa) – il cui nome non va confuso con quello della pastinacca, il pesce chiamato anche razza – è simile alla carota ma ha un colore biancastro e un gusto più dolce e acidulo. Un tempo molto diffusa in Europa, è stata soppiantata dalla patata a partire dal Settecento, e oggi risulta piuttosto rara. Si consuma cotta ed è adatta per preparare zuppe.
Simile a un grosso ravanello, la rutabaga (Brassica napus napobrassica), chiamata anche navone, ha un’origine incerta, probabilmente dovuta all’incrocio fra un cavolo selvatico e una rapa. Ricchissima di nutrienti e proprietà antiossidanti protettive, ha un sapore dolce e si presta per molte preparazioni invernali. Questa curiosa radice tuberosa è tipica dell’Europa del Nord e dei Paesi di cultura germanica e anglosassone.
Radici esotiche apprezzate in tutto il mondo
Alcune delle radici commestibili oggi più diffuse nel mondo hanno origini asiatiche e sono protagoniste delle cucine orientali. Il ginseng (genere Panax, le specie sono varie) si distingue per le sue proprietà energizzanti e stimolanti, ottime per iniziare la giornata, affrontare sessioni di studio o allenamenti sportivi. Più recentemente, inoltre, diversi studi hanno dimostrato effetti afrodisiaci. Allo stato selvatico, queste piante dalla crescita lenta possono raggiungere il secolo di vita, con radici dalla forme vagamente simili a quelle umane.
Il daikon (Raphanus sativus longipinnatus) è un particolare ravanello dell’Asia orientale, del quale esistono più varietà, da usare crude o cotte. Questa radice, assai versatile in cucina e simile a una grande carota bianca, ha proprietà drenanti, mucolitiche e depurative, mentre l’apporto calorico che fornisce è molto contenuto.
Originaria dell’America centrale e meridionale, la manioca (Manihot esculenta), chiamata anche cassava o yuca, è ampiamente diffusa nelle fasce tropicali dell’Asia e dell’Africa, a causa dell’attività dei colonizzatori europei. Oggi la Nigeria è il primo produttore al mondo di questo vegetale, ricco di amido e privo di glutine, e che, come la patata, si presta per moltissimi usi diversi, compresa la produzione di farina. La buccia di questa radice tuberosa è spessa e legnosa, mentre la polpa interna, dalle proprietà antinfiammatorie e diuretiche, è chiara e fibrosa. Per le popolazioni delle aree tropicali del mondo, la manioca rappresenta una delle principali fonti di carboidrati, aspetto che vale anche per le patate dolci o batate (Ipomoea batatas, diverse varietà) radici tuberiformi di origine americana, dal potere antiossidante e adatte alla preparazione di gustose ricette.
Radici commestibili meno note
Vi sono radici commestibili poco conosciute in Europa, ma comunque importanti per l’alimentazione di popoli a noi lontani. L’arracacha (Arracacia xanthorrhiza, diverse varietà), ad esempio, è originaria della regione andina del Perù e della Colombia e viene coltivata dai tempi degli Incas, anche se oggi risulta diffusa solo nelle limitate aree di coltivazione. La radice, simile a una piccola carota tozza, si distingue per il gusto caratteristico, è molto ricca sul piano nutrizionale e contiene anche buoni quantitativi di proteine. L’uso dell’arracacha, che necessita di bollitura, spazia dalla produzione di farina alla preparazione di dolci.
Non è un caso se la calcatreppola (genere Eryngium) viene anche chiamata fetida, per l’odore fastidioso che sprigiona. Le radici, però, sono commestibili e possono conferire un aroma gradevole e caratteristico alle portate. Di questa pianta spontanea europea, spinosa e appariscente, in passato si faceva uso in ambito alimentare, mentre oggi questa tradizione è praticata molto raramente. Con la radice della bardana (genere Arctium), una pianta spontanea diffusa in Europa e in Asia, si possono preparare decotti con proprietà benefiche per la pelle, lo stomaco e la diuresi.
La radice di hawknut (Conopodium majus) è detta cuore di castagna, a causa dell’aroma simile a quello di questo frutto, ma riconducibile anche a quello delle nocciole e delle patate dolci. Questa pianta selvatica è comune in Europa e nel Nord Africa.
Originaria dell’America centrale ed esportata nell’Asia orientale è invece la jicama o patata messicana (Pachyrhizus erosus), che può pesare fino a 20 chilogrammi. La parte interna della radice di questo rampicante, bianca, dolce e croccante, può essere mangiata cruda o cotta.
Le radice di sedanina (Sium sisarum), dal sapore dolce, si utilizza con modalità simili a quelle della rapa comune. Questa pianta spontanea, della famiglia delle Apiaceae, viene utilizzata soprattutto nell’Europa centrale e settentrionale.
Nella lista dei superfood più celebrati e in voga – citati nel nostro approfondimento sulla gentrificazione del cibo – recentemente è entrata anche la maca (Lepidium meyenii), detta “ginseng delle Ande”. Questa radice, dalle proprietà ricostituenti, depurative e afrodisiache, viene coltivata sulla Cordigliera andina del Perù e della Bolivia a altitudini elevatissime, di 4000-4500 metri. Consumata e apprezzata dagli Incas, fu notata dagli spagnoli all’epoca della colonizzazione.
Tra i superfood più trendy, va annoverata anche l’ube o patata viola (Dioscorea alata), una radice commestibile tuberosa molto dolce e dalla pasta color viola acceso. Originaria del Sud-Est asiatico e dell’Oceania, è stata diffusa in Africa e Sud America, dove il clima tropicale permetteva la coltivazione. Ricca di antiossidanti, viene utilizzata soprattutto per preparare dolci e gelati, ma anche piatti salati.
Conoscevate le radici commestibili e le loro caratteristiche? Oltre alle carote, vi capita di mangiarne altre?
Fonti:
Atlante delle coltivazioni erbacee
Expo 2015
Slow Food