Ecco come fa a diventare così bello e buono
di Martino Ragusa
Anch’io ho seminato nel mio orto i radicchi rossi. Sulla busta dei semi che ho utilizzato c’era scritto “Radicchio rosso di Treviso varietà tardiva”, ma i miei radicchietti, mezzi verdi e tracagnotti, non sembrano neppure lontani parenti di quel bel giglio bianco e rosso con le foglie lanceolate che compriamo al mercato. Infatti li uso solo per fare la misticanza con le altre erbe di campo, non li adopero di certo per il risotto che verrebbe talmente amaro da essere immangiabile.
Se i semi sono gli stessi, è chiaro che i contadini di Treviso devono avere un qualche segreto per ottenere un prodotto tanto più aristocratico, gradevole alla vista e al palato e soprattutto così duttile in cucina. Se coltivato a dovere, il radicchio rosso di Treviso di qualità tardiva – che è la più pregiata – si può fare ai ferri, brasato, fritto in pastella, è ottimo nel risotto, come ripieno per ravioli, come base di sughi per la pasta, per fare una parmigiana e naturalmente anche per un’insalata di gran lusso.
Potete immaginare come, una volta aTreviso, mi sia dato da fare per “rubare” i segreti di una metamorfosi così spettacolare. Non ho dovuto faticare molto perchè ho trovato Lino Franchettoche è stato ben felice di svelarmeli tutti nei minimi dettagli. Ma ho anche capito che se voglio un radicchio trevigiano devo rassegnarmi a comprarlo. Con questo prodotto, il “fai da te” nell’orto di casa è un’impresa impossibile.
Forse intuendo che volevo produrmi il radicchio a casa, Lino ha messo subito le cose in chiaro dicendomi che il radicchio tardivo di Treviso non è come una lattughina che si semina, si raccoglie e si porta al mercato. Vive un’esistenza intensa e tormentata da continui stress indotti dalla natura e dall’uomo, quasi crudeli ma indispensabili a farlo diventare bello e buono. Tanto che, mentre mi raccontava come tortura le sue piante, non potevo fare a meno di immaginare il signor Lino vestito di pelle e coperto di borchie, anche perchè “le physique du role” del master un po’ ce l’ha.
“Seminiamo a metà luglio e trapiantiamo entro il mese di agosto” spiega Lino. “Raccogliamo le piante dal 1° novembre, ma non può essere una data certa, perche possono essere raccolte solo dopo che hanno subito lo stress di almeno due brinate. Il freddo è indispensabile per favorire la colorazione rossa e soprattutto la dolcezza. Se avvertono una temperatura mite, le piante si preparano alla fase produttiva, con la fioritura e la produzione di semi, e si proteggono dai parassiti sviluppando sostanze amare sgradevoli ai loro nemici naturali. Ma finchè c’è freddo non ci sono parassiti, e proprio dopo le brinate le difese date dalle sostanze amare sono al minimo. Dopo la raccolta le puliamo, le riuniamo in mazzi di 20-30 e le lasciamo in gabbie con il fondo traforato dove arrestano il processo vegetativo ma rimangono vive”.
“Quindi le portate a uno stato comatoso” ho osservato con un po’ di apprensione.
“Proprio cosi!”
“E dopo come le rianimate?”
“Le immergiamo per 25 giorni in vasche con acqua fredda e corrente. Pompiamo quella risorgiva dalle falde del fiume Sile, che ha una temperatura costante da 11 a 13 gradi”
“E cosa succede alla pianta tramortita dopo l’ammollo in acqua fredda?”
“Riparte con il processo vegetativo e sviluppa un nuovo cuore. Da questo partono le foglie novelle che costituiscono il 95% del prodotto che alla fine si mangia. Dopo, i cespi vengono portati a 18/20° e posti su materiali assorbenti per raggiungere la completa maturazione. Durante questa fase di crescita sono legati in modo che le foglie non prendano luce che favorirebbe la produzione di clorofilla e quindi del colore verde. In questo modo invece rimangono color rosso intenso, perdono la consistenza fibrosa e assumono croccantezza e il sapore gradevolmente amarognolo. Infine i cespi sono liberati dai lacci e ripuliti dalle foglie esterne deteriorate e lavati prima di essere confezionati per avviarli al mercato”.
Metafora sadomaso a parte, la complessa tecnica di forzatura del radicchio rosso di Treviso risale al 1500 ed è rimasta immutata nei secoli. Forse è il prodotto ortofrutticolo con il record di ore di manodopera per la produzione, ed è questo il motivo del suo prezzo elevato. La consolazione è che è una verdura con pochissimo scarto, pensate a quello che si butta del carciofo, e anche il fittone, una volta ripulito, può essere usato per aromatizzare il risotto o l’insalata.
Visto il prezzo, vi consiglio di non confonderlo con la varietà precoce, che ha cespi più tondi ed è presente nel mercato da Settembre a Novembre. Questa viene allevata in pieno campo, cioè non subisce forzature, e costa la metà. Attenti anche a non farvi rifilare le varietà predisposte a dare cespi con le foglie lanceolate e sbiancate. In queste il colore bianco e rosso è determinato geneticamente, non hanno quindi subito la sbiancatura indotta dall’uomo che è anche garanzia di una nota amarognola gradevole e mai eccessiva.
Vuoi provare il radicchio trevigiano in cucina? Consulta le ricette presenti sul Giornale del cibo: Risotto al radicchio trevigiano di Martino, Lasagne al radicchio trevigiano di giulias, Rana pescatrice alla trevigiana di Ullix, Radicchio di Treviso in salsa rosa di rusdan64, Radicchio trevigianobrasato di Martino.
post scriptum
A Treviso non perdetevi il superlativo risotto di Giancarlo Pasin, chef e proprietario del ristorante “Alla Pasina”. Come tanti cuochi monomaniacali, Giancarlo ha scritto un libro sul suo ortaggio del cuore intitolato “Cento ricette facili con il radicchio”. Non contento dell’omaggio letterario, ha tappezzato le pareti del locale con ceramiche e quadri tutti a tema radicchio e gli ha perfino dedicato una statua in giardino.
Oltre al risotto, Giancarlo vi proporrà il radicchio in tanti altri modi sempre diversi a secondo dell’ispirazione della giornata. Altre specialità sono le “schie” (i gamberetti di laguna) con la polenta, l’insalata di porcini freschi con l’ombrina affumicata da lui, la frittata di carletti (silene) e bruscandoli (germogli di luppolo), i ravioli di coniglio e le lumache.
Potete anche pernottare in una delle sei camere e noleggiare una bicicletta per qualche escursione. Per esempio, potete raggiungere Jesolo, da lì imbarcarvi per il Lido e sbarcare a Venezia.
L’indirizzo e questo:
Osteria Alla Pasina Via Marie, 3
31030 Dosson di Casier (Tv)
Tel. +39 0422 38 21 12 – Fax +39 0422 492 32
Internet: http://www.pasina.it
Se volete staccare la spina, mettere a riposo i neuroni per un paio di giorni vi consiglio una sosta nell’Agriturismo “Alice, Relais nelle Vigne”, un antico casolare contadino ristrutturato tra Conegliano e Vittorio Veneto, in piena zona del Prosecco DOC. Qui l’atmosfera è impalpabile, si vedono solo vigne, colline dolcissime e le facce sorridenti dei proprietari pronti a coccolarvi con una discrezione e un savoir faire rari a trovarsi. Le camere sono ben arredate, super-confortevoli e i bagni forniti di quei saponi, sali e cosmetici naturali, tipo set da aromaterapia al tè verde, che fanno impazzire le donne e incuriosiscono gli uomini. L’aperitivo serale è un rito collettivo obbligatorio officiato con cura dalla padrona di casa. E se per caso si organizza un barbecue, gli ospiti sono tutti invitati. Mi ci sono trovato da dio.
Alice Relais nelle vigne
Via Giardino 94
31029 – Carpesica di Vittorio Veneto (Tv)
Tel. 0438 56 11 73 Fax 0438 92 07 54
E-mail: alice.relais@libero.it http://www.alice-relais.com