Dalla metamorfosi di Kafka a Moby Dick, la letteratura ha sempre raccontato e trasmesso i valori sociali e culturali del cibo attraverso le sue opere. Per valorizzare e testimoniare questo legame, abbiamo voluto rilegare, in senso metaforico, una serie di racconti legati al cibo, frutto della mano e dell’animo creativo di talentuosi scrittori.
I racconti saranno pubblicati su Il Giornale del Cibo ogni mercoledì, non perdeteli!
I cuochi italiani, sai
Di Massimo Cassani
Me lo aveva detto circa sei mesi prima, mentre si rivestiva in fretta, era allegra. “Un’occasione, capito? Quasi non mi sembra vero!”. Poi mi aveva baciato sulle labbra, era saltellata via, fuori dalla stanza ed era andata in cucina a preparare il caffè.
Un’occasione. Un grande albergo stile liberty o almeno così mi era sembrato su Internet, con una cucina raffinata, roba per palati fini. E lei aveva imparato a cucinare per i palati fini. Il suo maestro, uno che aveva saputo contaminare la nouvelle cuisine di Fernand Point, Paul Bocuse, Michel Guérard e Roger Verge con certe tendenze del nuovo secolo per restare al passo con le mode, l’aveva chiamata in quella cittadina nel nord della Svizzera dal nome impronunciabile affacciata su un lago freddo, pure questo dal nome impronunciabile. E le aveva proposto il lavoro. “I cuochi italiani sai…”
Dietro il finestrino del treno sorrideva, il sorriso pareva inghiottirla tutta. Il distacco? Un evento trascurabile. La distanza? Qualche centimetro sulla cartina geografica. La difficoltà di andare a trovarla lassù, anche solo per un fine settimana? Vabbè, dai, in qualche modo si farà, aveva detto, ma si capiva che stava pensando ad altro. Ai suoi ventott’ anni, forse, quasi si possa pensare ai propri ventott’anni, quando si ha ventott’anni.
Il treno aveva abbandonato la stazione Centrale di Milano troppo in fretta, sembrava essere stato risucchiato da un nulla indefinito di nebbia spessa. E mentre mi lasciavo trascinare via lungo la banchina nel fiume di persone con valigie e trolley al seguito, mi era cresciuta subito dentro la martellante sensazione della perdita.
“Il mio assaggiatore ufficiale”, così mi chiamava. Nella penombra riposante della sua piccola cucina mi serviva le prove di cibi studiati quasi fossero lingue antiche e sconosciute, pietanze minuscole dal sapore delicato. E dovevo indovinare gli ingredienti: mentuccia, limone, una leggera nevicata di non so cosa…ogni volta scoppiava a ridere. Non ne indovinavo uno. Fosse stato un arrosto di coniglio con bacche di ginepro avrei fatto centro e anche con il risotto allo zafferano avrei potuto dire la mia. Ma per me quelli erano gusti indefiniti, troppo sfuggenti, come era diventata sfuggente lei dopo la partenza, a mano a mano che le settimane passavano. Prima, telefonate tutti i giorni e messaggini e whatsapp ed email anche, a notte fonda, che trasudavano di stanchezza, ma entusiasmo, e qualche mi manchi via via sempre più raro. In una delle ultime diceva di aver cambiato modo di cucinare, stava imparando tanto, aveva imparato cose nuove, nuovi sapori.
Poi: stop. Messaggi come caduti nel lago e abbonato momentaneamente non raggiungibile. Anche la telefonata all’albergo con il mio inglese zoppicante aveva ottenuto una risposta pari a zero; con un inglese invece fluido, solo un po’ gutturale, una voce ferma di ritorno, cordiale: la signora non lavora più qui, no, non sappiamo dov’è ora.
Thanks you.
Danke schön.
Vaffanculo.
Quella notte il treno toccò a me, con un’espressione dietro il finestrino neutra però, preoccupata anzi. Accantonato per un attimo il vago timore di una tragedia perché i giornali ne avrebbero parlato, mi affioravano alla mente nomi dal suono mitteleuropeo come Dietbrand, Gottlieb, Gunther, Hans, Hellmuth, Joseph, Kolman, Marko…nomi pescati in chissà quali letture, in quali film o in quali squadre di pallone, tutti con facce sicure e capelli biondi e spalle larghe di quelle che sanno far star bene una donna come sotto un ombrello grande durante un acquazzone.
Tutti cuochi.
I cuochi stranieri, sai.
Sul pontile di quella cittadina nel nord della Svizzera dal nome impronunciabile, affacciata su un lago freddo pure questo dal nome impronunciabile, la sigaretta adesso mi fumava fra le labbra. Con addosso un soprabito troppo leggero e una voglia di un caffè come dio comanda, osservavo da lontano l’albergo che no, non era stile liberty, ma era bianco e ricercato, uguale alla foto su Internet. Rari gabbiani esalavano un lamento a fior dell’acqua e un nodo alla gola dava sostanza allo sconforto di trovarmi lì senza neppure sapere cosa ci facessi davvero. Dopo aver percorso il lungolago non so neppure io quante volte con la gola in fiamme per i troppi sfrigolii dell’accendino, una ragazza bionda, capello a spazzola e viso squadrato, alta quanto una giocatrice di basket, uscì da un bar dalle finiture di legno scuro e il tetto spiovente pronto per la neve. Non era sola, dietro c’era lei, con una pettinatura diversa e una tinta fra il nero carbone e il viola. Solo il sorriso non era cambiato, ancora la inghiottiva tutta, ed era sincero. Si abbracciarono e poi si baciarono a fior di labbra, lei sulle punte, protesa. Felice.
Me ne andai senza farmi vedere, e dopo mezzora mi trovavo seduto su una panchina della stazione ad attendere un treno avvolto da quel soprabito troppo leggero. Stufo di freddo e di tabacco, pensavo a certi nuovi sapori. E poi mi venne fame. E voglia di cantare.
Massimo Cassani, giornalista e scrittore, è autore della serie di romanzi con protagonista il commissario Micuzzi (Sottrotraccia, Pioggia battente, Zona franca e Soltanto silenzio) editi da TEA. I diritti di Soltanto silenzio sono stati venduti in Spagna (il romanzo verrà pubblicato nel febbraio del 2017).
Per l’editore Laurana ha pubblicato Un po’ più lontano (dedicato ai temi della solitudine e dell’agnizione di identità), Mistero sul lago nero (un divertissement che ricalca in chiave umoristica gli stilemi del genere hard boiled) e ha partecipato con un racconto autobiografico al volume collettaneo La formazione dello scrittore insieme a – fra gli altri – Tullio Avoledo, Raul Montanari, Giulio Mozzi e Alessandro Zaccuri. Tiene lezioni alla Bottega di narrazione – Scuola di scrittura creativa di Laurana, diretta da Giulio Mozzi in collaborazione con Gabriele Dadati.