L’antica tradizione della raccolta delle olive in Molise, essenza di un territorio

 

La coltivazione degli olivi coinvolge gran parte del territorio molisano, soprattutto nella provincia di Campobasso: per citare dei numeri, si tratta di circa 13.000 ettari, sui quali sono presenti piante di almeno venti varietà diverse, molte delle quali diffuse ormai da secoli. Quando ci si sposta nella regione, infatti, lo sguardo si posa di frequente sulle colline coperte da questi alberi, che incarnano, con i loro tronchi forti, l’essenza di un territorio.

Come in molte altre zone d’Italia, la tradizione olearia in Molise ha radici molto profonde, che risalgono all’epoca dei Romani, e che si rinnovano ogni anno nella raccolta di questo frutto prezioso e nella produzione dell’olio extravergine Molise DOP. Oggi, perciò, voglio guidarvi in un viaggio alla scoperta di questo patrimonio della mia regione d’origine, partendo proprio dalle varietà di olive e percorrendo il tragitto che le porta al frantoio per la molitura. Curiosi di saperne di più?

Le varietà di olive molisane 

Il territorio molisano ospita circa 3 milioni di olivi e vanta la prima area protetta dedicata del nostro Paese: il Parco regionale dell’olivo di Venafro, in provincia di Isernia, con i suoi 600 ettari su cui crescono piante secolari.

ulivi molise
Foto di Pasquale D’Imperio – Az. Agricola Monte Altino f.lli Rettino

In questo territorio, le varietà autoctone più presenti sono l’Aurina, conosciuta dai Romani col nome di Licinia, la Rossuola, da cui si produce un olio dolce e di colore piuttosto chiaro, l’Olivastro Dritto, l’Olivastro d’Aprile.

La cultivar in assoluto più diffusa in regione, però, è la Gentile di Larino, che ha piante di altezza media e tronco nodoso, con foglie sottili e strette. L’olio che se ne ricava è denso e di colore verde paglierino; ha note fruttate, con un tocco leggermente amarognolo, e nel complesso è molto intenso e armonico. Tipica della cittadina in provincia di Campobasso, che ha dato i natali all’Associazione Nazionale “Città dell’Olio”, è anche l’Oliva San Pardo, adatta al consumo da tavola, con piante molto ricche di fogliame e rami pendenti.

Sulle colline e nelle piane della regione troviamo poi la Cellina, l’Olivastro di Montenero di Bisaccia, la Spagnuola, la Noccioluta di San Giuliano di Puglia, la Nera di Colletorto, che ha piante molto resistenti e produttive; il Leccino, diffuso in buona parte del territorio italiano, che ha un’alta resa sebbene l’olio abbia un sapore meno intenso rispetto a quello ottenuto da altre varietà, la Coratina, e molte altre.

La tradizione della raccolta delle olive

È facile intuire come la raccolta delle olive in Molise sia stata – e continui a essere – per molte famiglie un vero e proprio rito, esattamente come in molti altri luoghi d’Italia che vantano questa vocazione. È un momento atteso per tutto l’anno, in cui si rinsalda il legame con la terra celebrando l’abbondanza dei suoi frutti.

La raccolta avviene in genere nel periodo compreso tra la metà del mese di ottobre e la metà di novembre, a seconda dell’annata più o meno clemente a livello climatico: un momento in cui le giornate cominciano ad accorciarsi, ma c’è ancora molto tempo per lavorare all’aperto. La varietà Gentile di Larino spesso matura però con un po’ di anticipo rispetto alle altre, permettendone la raccolta già nelle prime settimane di ottobre, subito dopo la tradizionale fiera di paese, che vanta ormai 278 edizioni.

In origine, le olive venivano raccolta a mano, attraverso la cosiddetta brucatura, passando le dita lungo i rami per staccarne i frutti: un’operazione effettuata anche con l’aiuto di scale in legno per raggiungere la sommità dell’albero. Un ulteriore passaggio era effettuato con pettini o rastrelli in ferro o legno (e successivamente in plastica). Le olive cadevano in terra, dove erano posti dei grandi teli di juta: quando i raccoglitori si allontanavano da quell’albero, venivano ripulite dal fogliame, un compito tradizionalmente assegnato a donne e bambini.

Raccolta olive tradizione
Marco Ossino/shutterstock.com

I teli di juta sono poi stati sostituiti con quelli in materiale sintetico e i rastrelli in plastica hanno sostituito quelli in metallo, sebbene oggi sia ormai molto più comune la raccolta meccanizzata, con abbacchiatori e scuotitori per olive, che funzionano a batteria o sono collegati a un compressore e costituiscono un modo molto più veloce di compiere il lavoro, sebbene comunque stancante.

Il pragmatismo e la rapidità spesso rubano la scena alla poesia di gesti antichi, ma dobbiamo ricordare che in tanti oliveti di famiglia i due tipi di raccolta si affiancano, e che, in qualunque modo venga effettuata, rappresenta ancora un momento estremamente importante per chi “fa l’olio”. Non parliamo soltanto di chi possiede un’azienda agricola, naturalmente, perché molti producono l’olio per il consumo personale e familiare.

Il frantoio oleario, dalle macine in pietra agli impianti moderni

In Molise ci sono 130 frantoi oleari, la maggior parte dei quali si trovano nella provincia di Campobasso. Tipicamente, la molitura delle olive avveniva con una macina a pietra, azionata da un asino o da un cavallo: a Larino ne è stata ritrovata una datata intorno al I secolo a.C., a testimonianza di quanto antica sia la produzione dell’olio nel territorio. I frantoi a macina erano distribuiti su più livelli, perché le zone in cui le olive venivano stoccate e molite erano separate, così come quella in cui confluivano gli scarti della lavorazione (da un lato l’acqua di vegetazione, dall’altro la sansa). Il frantoio vero e proprio era il locale che ospitava la macina, ovvero la molazza in pietra, spesso granito, del peso di oltre dieci quintali: uno spazio originariamente di grandi dimensioni, per permettere all’animale di girare in circolo e farla funzionare, portando avanti così il processo di molitura delle olive. Successivamente, la pasta lavorata era posta sui fiscoli, dischi tessuti con fibre vegetali, che a loro volta venivano sistemati nella pressa o torchio, utilizzati fin dall’epoca romana per la spremitura delle olive. L’olio ottenuto era conservato in un altro luogo, spesso seminterrato.

Macina frantoio
Le macine in pietra di un frantoio tradizionale, in questo caso azionato da un motore. Oleificio Veroliolivo – Salcito (CB) OleificioVeroliolivo/facebook.com

Oggi gli oleifici sono automatizzati e si servono di moderne tecniche per molire le olive ed estrarne l’olio, ma il fascino di questa tradizione è ancora vivo nei luoghi in cui è possibile visitare un vecchio frantoio, in qualunque parte d’Italia vi troviate, un’esperienza assolutamente consigliata, che vi porterà indietro nel tempo, soprattutto se avrete modo di farvi raccontare storie e aneddoti dalla vostra “guida”, che in genere è uno dei proprietari.

L’antico frantoio romano

Il frantoio oleario, abbiamo visto, ha origini molto antiche, infatti deriva dal trapetum dei Romani. Si tratta di una macchina che era utilizzata per la prima fase della trasformazione delle olive in olio, la molitura, appunto. Questa sorta di macina era azionata da due persone, che la facevano girare in modo da separare la polpa dal nocciolo delle olive che si trovavano nel mortarium. La pasta così ottenuta veniva poi spostata nei torchi, dai quali si otteneva l’olio, raccolto poi in un dolio, un enorme contenitore di terracotta dall’aspetto rotondo che serviva per la conservazione e il trasporto.

L’olio extravergine di oliva Molise DOP

Veniamo allora al prodotto di eccellenza di questo territorio, l’olio extravergine d’oliva molisano, che dal 2014 è stato inserito nelle DOP italiane. Ne parlavano Plinio il Vecchio, Cicerone, Catone il Censore, lodandolo per il suo gusto delicato e celebrandone la qualità. Gli antichi romani lo utilizzavano non soltanto per la cucina, ma anche per la produzioni di unguenti per il corpo, e a loro era particolarmente caro l’olio prodotto nella zona di Venafro, dalla cultivar Aurina, che come abbiamo ricordato era chiamata Licinia, probabilmente da dal nome di colui che la importò sul territorio, Licinio, appunto. L’olivo, infatti, non è un albero originario dell’Italia, bensì del Mediterraneo orientale, e si è poi diffuso lungo le sue sponde del corso dei secoli, con varietà più resistenti al clima della nostra penisola.

Olio molise Dop
tenutaalmerita/shutterstock.com

Tornando ai giorni nostri, oggi la DOP si ottiene dai frutti della Gentile di Larino, della Nera di Colletorto e del Leccino, che devono essere presenti almeno per l’80%, insieme ad altre varietà coltivate del territorio.

Le olive possono essere raccolte a mano o con l’utilizzo di mezzi meccanici, a partire dal momento della maturazione, ma la produzione di olio non può includere i frutti già caduti in terra. La zona di riferimento si estende su buona parte delle province di Campobasso e Isernia: è da queste colline che arriva l’olio extravergine di oliva molisano DOP, che ha un aspetto limpido, colore giallo-verde, gusto e odore leggermente fruttati e appena una nota leggera di amaro.

Una delizia da gustare sul pane fresco, per assaporarla al meglio, ma anche sui latticini, sui carpacci di carne e pesce, sulle verdure, e come condimento di insalate miste, così come su tanti altri piatti: aggiunto a crudo, dà un tocco speciale alla polenta e alle zuppe invernali di cereali e legumi. In tanti, infine, lo apprezzano perfino sul gelato: l’abbinamento con il gusto vaniglia è sicuramente degno di nota, grazie al contrasto che si crea con le note di lattuga e di erba fresca dell’olio.

 

Avete mai partecipato alla raccolta delle olive nella vostra regione? E avete mai assaggiato l’olio molisano? Raccontatecelo nei commenti.

 

Altre fonti:

arsarp.it
frantoionline.it

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