Sono 180.000 le persone in Italia che lavorano nel settore agroalimentare e sono considerate a rischio di sfruttamento lavorativo e caporalato. Questa la denuncia del Quinto Rapporto Agromafie e Caporalato dell’Osservatorio Flai Cgil Placido Rizzotto che fotografa la situazione dei fenomeni nel Belpaese durante l’ultimo biennio. Colpisce la diffusione in tutto il territorio della penisola, elemento che sta emergendo progressivamente in questi anni anche grazie agli effetti della Legge 199/2016, che prevede pene più dure per i caporali, introduce la responsabilità penale per le aziende che sfruttano e ha, indirettamente, favorito inchieste, indagini e processi in diverse Regioni. Come infatti aveva anticipato anche il Rapporto del Centro interuniversitario Altrodiritto con Flai Cgil, circa la metà delle inchieste non riguardano le Regioni del Sud, e questa è una delle novità del V Rapporto Agromafie e Caporalato. Vediamo dunque quali sono gli altri elementi rilevanti per conoscere più a fondo il percorso che fa il cibo dal campo alla tavola.
Quinto Rapporto Agromafie e caporalato: 180.000 vulnerabili in tutta Italia
Il rapporto, presentato a Roma lo scorso 16 ottobre alla presenza della Ministra Teresa Bellanova, parte da una stima: 180.000, infatti, sono le persone esposte al rischio di sfruttamento lungo l’intera filiera agroalimentare. Si tratta di lavoratori e lavoratrici a cui non viene riconosciuto uno stipendio degno, un contratto di lavoro pienamente legale, talvolta uno spazio abitativo agibile e con acqua corrente o elettricità.
L’Osservatorio descrive in che modo il caporalato agisce sulle vite di queste persone. In primo luogo, i braccianti sono assunti con un contratto che però non viene pienamente rispettato. Ad esempio, vengono ridotte le giornate di lavoro, oppure viene corrisposto un salario inferiore rispetto a quello pattuito, o anche un mancato riconoscimento di riposi e ferie. Un’altra situazione descritta nel rapporto riguarda i lavoratori occupati senza contratto di lavoro che si trovano in condizioni di forte vulnerabilità e, spesso, senza forme di tutela basilari come l’attrezzatura anti-infortunistica. Infine, ci sono i più invisibili, persone che lavorano in “condizioni pressoché servili”, senza contratto e privi di qualsiasi tutela basilare non soltanto dei loro diritti in quanto lavoratori, ma anche come esseri umani.
260 indagini per sfruttamento: non solo al Sud e nel settore agroalimentare
Come anticipato dal Rapporto 2019 del Laboratorio sullo sfruttamento lavorativo e la protezione delle sue vittime del Centro ricerca interuniversitario l’Altro Diritto e Flai Cgil, anche l’Osservatorio Placido Rizzotto per realizzare il report ha preso in analisi 260 procedimenti penali portati avanti sulla base della Legge 199/2016. Di questi, 143 sono presi in carico da procure che non si trovano nelle Regioni del Sud. Al contrario, tra i centri attualmente più attivi si rilevano Mantova, Brescia, l’intera Emilia-Romagna, Latina e Prato.
Un secondo elemento ribadito nel rapporto riguarda il settore in cui si riscontrano casi di caporalato. Tra le 260 indagini analizzate, 163 sono relative all’agricoltura, che resta il settore più rappresentato, ma non il solo (tessile, industriale, distribuzione e consegne, per fare alcuni esempi), a sottolineare la potenzialità della legge che sta permettendo di tutelare lavoratori e lavoratrici sfruttati in diversi settori.
A tal proposito, il responsabile dell’Osservatorio Placido Rizzotto, Jean-René Bilongo, intervenendo alla presentazione del Rapporto in diretta streaming sulla pagina Facebook della Flai Cgil, aggiunge: “quattro anni dopo l’entrata in vigore di quella legge vanno ancora potenziati alcuni dei suoi pilastri: prevenzione e pressione.” Vengono richiesti, dunque, maggiori controlli e l’applicazione della norma in vigore nella sua totalità, anche nel quadro dell’importante Piano triennale di contrasto al caporalato adottato nel febbraio del 2020.
Un salario equo per una filiera pulita e giusta
La ministra Bellanova, commentando la presentazione del Rapporto, ha evidenziato come il Governo abbia scelto di investire 150.000 euro per il triennio 2020-2021, per realizzare un osservatorio del fabbisogno agricolo che sia in grado di garantire alle imprese la manodopera di cui c’è bisogno e ai lavoratori un contratto regolare. “È la prima volta, ci tengo a dirlo, che il Ministero impegna risorse direttamente per uno studio con queste finalità del mercato del lavoro agricolo e per la prevenzione del caporalato” ha voluto sottolineare la Ministra, “un aggiornamento dei fabbisogni indispensabile, per la cui redazione abbiamo avviato un lavoro con il Crea al fine di costruire un primo impianto da condividere con le organizzazioni agricole e poi aggiornare di anno in anno”.
Oltre a porre l’accento su una piena applicazione della Legge 199/2016, i ricercatori dell’Osservatorio hanno individuato quale dovrebbe essere il salario minimo che bilanci il reddito del datore di lavoro e il rispetto del lavoro dei braccianti e delle braccianti. Questa cifra è fissata a 12 euro all’ora per le attività di raccolta, che va a crescere le mansioni più tecniche e progressivamente più professionalizzate. In questo modo, spiegano dall’Osservatorio Placido Rizzotto, sarebbe possibile ridurre lo sfruttamento nella prima fase della filiera, ovvero quella della raccolta dove il caporalato è più diffuso e coinvolge fasce ampie e vulnerabili della popolazione italiana e migrante, come ci ha raccontato anche l’attivista Lucia Pompigna.
In conclusione, il V Rapporto Agromafie e Caporalato conferma gli importanti passi avanti fatti dalla Legge 199/2016 che, ancora, non ha piena applicazione. Ed è proprio in questa direzione che si auspica si possa andare, stimolando e sostenendo realtà etiche e giuste, che rispettano i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici per portare nel piatto un’eccellenza non soltanto gastronomica, ma anche umana.