La proroga all’utilizzo del glifosato scadrà il prossimo 15 dicembre, quando la Commissione europea dovrà decidere se mantenere o sospenderne l’uso. Da anni al centro di dibattiti e polemiche rispetto alla sua possibile cancerogenicità e alla nocività per flora e fauna, si tratta però di un agrofarmaco funzionale rispetto a gran parte delle coltivazioni che arrivano sul mercato. Il possibile bando potrebbe quindi comportare un calo significativo delle produzioni? Quali sono le risorse a disposizione per un’agricoltura sostenibile ma comunque improntata alla resa produttiva e al contenimento dei prezzi? Approfondiamo l’argomento, considerando le ricerche sul glifosato e le stime sulle possibili conseguenze di una sua dismissione.
Proroga all’uso del glifosato nell’agricoltura europea: si attende una decisione
Glifosato, sì o no? Al pari di quanto avvenuto nel dibattito pubblico e scientifico, anche in sede europea si è manifestata la spaccatura tra sostenitori e oppositori della proroga all’utilizzo di questo agrofarmaco. Nel 2017, infatti, il via libera si concretizzò solo per un cambio di posizione dell’ultima ora da parte della Germania, che a sorpresa si astenne dalla votazione. Il prossimo 15 dicembre, però, tornerà in scena lo stesso copione, quando si dovrà decidere se prorogare o meno l’uso, una scelta che potrà impattare in modo molto significativo sulle pratiche agricole e sulla produttività. Gli apicoltori, come abbiamo visto, sono tra i più convinti rispetto allo stop dell’erbicida, letale per i piccoli insetti.
La formulazione di una proposta da parte della Commissione, però, è vincolata a due pareri scientifici, e quello dell’Agenzia europea per le sostanze chimiche (Echa) dello scorso ha fissato un primo fondamentale presupposto, escludendo la classificazione di questo prodotto come cancerogeno. Si aspetta ancora quello dell’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa), che ha richiesto più tempo per esprimersi: il parere è atteso nella prima metà del 2023.
Al momento, pertanto, alla Commissione europea manca una base scientifica completa da presentare al giudizio dei singoli Stati, tanto che sembra probabile una nuova proroga di un anno in attesa di una proposta definitiva, presumibilmente entro l’autunno 2023. Nel frattempo, è significativo il cambio di posizione della Francia, nel 2017 a favore di un bando anticipato. Recentemente, invece, le difficoltà degli agricoltori transalpini a produrre facendo a meno del glifosato hanno spinto il governo francese a fissare contributi per compensare i costi della dismissione di questo agrofarmaco.
La strategia Farm to fork impone una riduzione dei fitofarmaci
La scelta che si profila, ad ogni modo, dovrà considerare i limiti dettati dalla strategia Farm to fork, che entro il 2030 richiede una riduzione del 50% dell’uso di fitofarmaci nell’Unione europea e non inferiore al 35% nei singoli Stati membri. Questo limite è compatibile con la proroga al glifosato? A questa domanda basilare per ora manca una risposta, e in ogni caso è evidente una contraddizione che potrebbe rivelarsi decisiva ai fini della decisione finale sul prodotto.
Nei terreni agricoli decenni di inquinamento
Le indicazioni della strategia Farm to fork, del resto, non nascono dal caso. In Italia e non solo, la diffusione crescente del modello biologico ha contribuito ad accrescere la consapevolezza sulla situazione di degrado del suolo agricolo, come abbiamo visto occupandoci di agricoltura rigenerativa. La certificazione bio, infatti, come primo passaggio richiede spesso la bonifica dei terreni precedentemente coltivati in convenzionale, dove permangono residui di pesticidi. Nei casi peggiori si possono rinvenire anche metalli pesanti e fanghi industriali, sostanze per le quali i normali percorsi di rigenerazione non bastano.
In base agli studi del Global Soil Partnership dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), il 33% del suolo terrestre è degradato, percentuale che entro il 2050 potrebbe salire al 90%.
In mancanza di una rilevazione strutturale sulla salute del suolo, in Italia le analisi sono legate alla certificazione biologica e a progetti di sensibilizzazione. Con la campagna Cambia la Terra – progetto organizzato da FederBio in collaborazione con Legambiente, Slow Food, WWF, Lipu, e Medici per l’ambiente – nel 2022 è stata eseguita un’analisi comparativa considerando il suolo di 12 aziende biologiche e 12 convenzionali in diverse aree del Paese, da Nord a Sud. In quelle convenzionali sono stati rilevati residui di 20 diversi prodotti chimici di sintesi, tra insetticidi, erbicidi e fungicidi, e tra questi il glifosato si è dimostrato il più frequente. In questo contesto, va considerato che sono stati riscontrati anche tre prodotti dismessi da molti anni in agricoltura, quali il DDT, bandito in Italia dal 1978. Nei terreni bio, invece, le sostanze di sintesi sono risultate tre, dovute presumibilmente a contaminazioni accidentali. Il rame, fungicida di lungo corso tuttora consentito anche nel bio, è stato registrato in tutti i 24 campi analizzati, mediamente in quantità maggiori nelle aziende convenzionali.
A colpire è la permanenza a lungo termine delle sostanze, a riprova dell’importanza delle strategie incentrate sulla riduzione dell’uso di agrofarmaci. Tra queste risorse, si punta sempre di più sulle biotecnologie innovative per il miglioramento genetico, allo scopo di ottenere nuove varietà resistenti a malattie e parassiti. Anche nell’agricoltura convenzionale, ad ogni modo, il ricorso alla chimica è diminuita e sta diminuendo, anche per ragioni di costi, e i nuovi prodotti si degradano in tempi più brevi rispetto a quelli del passato. Buone prospettive, inoltre, sembra offrire anche la ricerca sui prodotti fitosanitari biodegradabili ricavati dagli scarti agricoli. La salute dei suoli, come abbiamo visto, è funzionale anche ai fini della loro capacità di assorbire anidride carbonica.
Senza il glifosato il calo produttivo e l’aumento dei costi sono sostenibili?
Oltre alla questione ambientale, per quanto centrale in questo dibattito, il percorso che verrà intrapreso dovrà valutare le conseguenze economiche dovute a un abbandono del glifosato. Secondo una stima della società di analisi Areté, è prevedibile un calo notevole dei volumi ottenuti, specialmente per soia (-18,2%), riso (-17,7%) e grano duro (-12,1%), materie prime che, insieme al mais, sconterebbero anche un aumento dei costi produttivi. Questi ultimi arriverebbero a toccare il 14% del prezzo medio di vendita per il mais prodotto nel Nord Italia e il 15% del prezzo per il grano duro del Sud, percentuale che salirebbe al +26% per la soia. In proporzione, a subire il danno più consistente sono proprio queste produzioni a ridotto valore aggiunto, dove le possibilità di assorbire un innalzamento dei costi sono inferiori. Peraltro, trattandosi di derrate di prima necessità, i rincari favorirebbero le dipendenze dalle importazioni dall’estero, a dispetto della tendenza politica – italiana e non solo – che mira alla sovranità alimentare. Altri settori colpiti, come la viticoltura, avendo una marginalità economica molto superiore possono ammortizzare meglio questa situazione.
Alla luce di questi aspetti, quindi, è evidente che qualora si decidesse di rinunciare al glifosato si dovranno impostare sostegni per la transizione a beneficio degli agricoltori.
Cosa ne pensate dell’uso del glifosato? La sostenibilità delle produzioni dovrebbe considerare di più le esigenze economiche?