Abbiamo visto che da tempi immemori cibo è sinonimo di socialità e momento di condivisione. Se in passato questi momenti si limitavano ad essere vissuti intorno a un tavolo, oggi abbiamo più strumenti a disposizione. Socialità diventa social network; condivisione diventa share, ma il cibo rimane un elemento centrale nella comunicazione. Dopo le cinque lezioni sui social e food che ho condiviso con voi, oggi continuiamo a conoscere altri aspetti di questo goloso binomio.
Ne parliamo con Claudio Gagliardini, stimato professionista nel mondo del social media marketing. Un passato nella ristorazione e un presente da consulente di web marketing per le aziende del settore food e turismo (tra le altre) lo rendono l’uomo giusto per noi.
- Ciao Claudio, innanzitutto grazie della tua disponibilità. Dai profili personali, alle pagine aziendali, ho notato che quando si pubblica qualcosa, qualunque cosa, che abbia a che fare con il cibo è subito “like”, come se fossero gattini. Secondo te come mai?
Claudio Gagliardini: Il cibo è centrale nelle nostre vite e rappresenta un grandissimo momento di nutrimento del corpo e dello spirito. Il cibo è cultura, tradizione, tendenza e innovazione, collaborazione, condivisione e scoperta. Il cibo è donna ed è uomo, non conosce barriere ed è qualcosa che unisce tutte le età, tutte le nazioni, le idee e talvolta addirittura le religioni, che tuttavia anche su questo si spaccano e si accapigliano. Il cibo è vita e sui social la vita spakka di brutto, in tutte le sue forme e sfumature.
- Secondo la tua esperienza, dall’offline all’online, pensi che le aziende ristorative stiano sfruttando bene la forza del cibo sui social network?
C.G.: No, credo ci siano margini di miglioramento enormi. Queste realtà, ancora oggi, faticano a capire gli strumenti e i mezzi, non riescono ad uscire dalla gabbia dell’autoreferenzialità e spesso si ostinano a nascondersi dietro parole e immagini che cozzano drammaticamente con la realtà, con le recensioni e le foto scattate dai loro clienti. La rete porta frutti soltanto quando capisci che essa ti offre la possibilità incredibile di essere, prima e piuttosto che quella pericolosissima dell’apparire. A queste aziende e a quelle del comparto turistico-ricettivo dico sempre: se tutti i clienti cercassero strutture a 5 stelle extralusso, il 99,9% dei vostri competitor sarebbe spacciato e probabilmente anche voi. Perché, invece, non vi mostrate per quello che siete e non approfittate della rete per cercare davvero il vostro target?
- Voglio portare online la mia trattoria “Da Zia Chiara”, da dove mi consigli di iniziare? Come faccio a scegliere il social network che fa per me? Come faccio a costruire la mia community? Quanto ti devo per la consulenza?
C.G.: Arrivare in rete è l’atto finale di un processo di apprendimento e di esperienza, che ci porterà ad un nuovo inizio. Inutile sbarcare sul web se non se ne conoscono le opportunità, i rischi e le dinamiche e, soprattutto, se non si comprende che proporsi in rete non è un atto passivo, come quello che finora abbiamo portato avanti delegando a qualcuno la cura della nostra immagine e della nostra comunicazione e marketing. Non si tratta (solamente) di trovare un buon consulente o un’azienda che ci dia gli strumenti per andare in rete, ma di capire cosa posso fare e perché e se ho voglia e tempo di farmi aiutare ad iniziare per poi camminare con le mie gambe. Il problema non è quanto ti chiede, un consulente, ma piuttosto se vorrà vivere vendendoti pesci o se sarà disponibile a insegnarti a pescare.
- Se ci si potesse iscrivere a un solo social network, quale sceglieresti?
C.G.: Domanda difficile. Oppure semplicissima. Se ci si potesse iscrivere ad un solo social network, quel social sarebbe Facebook e tutti gli altri avrebbero chiuso da anni. In realtà credo che FB sia uno dei pochissimi a potersi definire davvero un social network, perché gli altri hanno vocazioni e specializzazioni differenti. Twitter è un “information network”, Linkedin un “professional network”, G+ è il Molise dei social, ma anche un grande servizio di identità.
- Parliamo di ritorno sugli investimenti o ROI, una sigla con cui ogni azienda, grande e piccola, deve fare i conti. Che risultato può e deve attendersi un piccolo imprenditore nella ristorazione per capire se l’investimento sui social network ha dato i suoi frutti?
C.G.: Sono fermamente convinto di una cosa: il ROI dei canali sociali è insito nelle relazioni, nell’interazione, nel coinvolgimento. Questo significa che, se li usiamo nel modo corretto, da quei canali dovremo ottenere un unico grande risultato: ottenere clienti sempre più in linea con la nostra offerta, sempre più consapevoli e in grado di apprezzare davvero quello che facciamo. La rete serve a questo: creare consapevolezza e unire i puntini, aiutando ciascuno a scegliere quello che davvero desidera e di cui ha bisogno. Non è certamente un processo rapido, ma se pensiamo ad un ristorante, o ad una trattoria, fino ad oggi le loro uniche armi erano il passaparola e quel piccolo lasso di tempo in cui ci si sedeva a tavola, nel quale era più probabile che capitasse qualche intoppo, piuttosto che buone occasioni. La rete allunga i tempi di contatto e ci offre l’occasione di curare il nostro target oltre l’esperienza fatta nel nostro locale, esaltando le sensazioni positive di chi si è trovato bene e smussando gli angoli con chi ha qualcosa da ridire, facendo una selezione che va ben oltre l’esperienza fisica nel locale. Affinché tutto questo funzioni, però, occorre che ciascun locale si dia una propria profonda identità.
Grazie a Claudio abbiamo imparato una nuova lezione: i social network danno l’opportunità di creare e comunicare la nostra identità, a patto di sapere ovviamente quale essa sia. Ed è proprio questo il segreto del successo, tanto per le aziende quanto per noi stessi, trasmettere con sincerità chi siamo.