Mentre l’anno più difficile sul fronte dell’approvvigionamento energetico volge al termine, aumentano le occasioni per riflettere sull’economia circolare e sul modo in cui ha dimostrato di essere una risposta concreta alle difficoltà legate al costo dell’energia. E così, mentre siamo tutti in cerca di soluzioni salva-bolletta, metodi di cottura più economici e piccoli escamotage per far quadrare i conti, anche la food industry e il mondo dell’agroalimentare studiano risposte a questi tempi duri e, anzi, in molti casi le mettono in pratica da diversi anni.
Il recupero di sottoprodotti e materiali di risulta, ad esempio, è prassi ormai consolidata per la maggior parte delle aziende del settore. Sono sempre più numerose, infatti, le imprese del settore lattiero-caseario, vitivinicolo o della lavorazione delle carni che hanno investito nella produzione di energia a partire dalle attività che quotidianamente vengono svolte all’interno dei propri stabilimenti. Gli scarti delle materie prime rappresentano così la risposta più tangibile alle nuove esigenze di sostenibilità economica e ambientale e sono la base di partenza per la produzione di biogas e biometano. Questi due combustibili green giocano un ruolo sempre più importante, soprattutto perché le aziende in grado di produrlo autonomamente possono far fronte al proprio fabbisogno energetico: scopriamo in che modo, grazie anche al racconto diretto di un’azienda italiana che ha fatto dell’autoproduzione di energia uno dei punti saldi della propria politica aziendale!
Biogas e biometano: la risposta ecologica alla crisi energetica?
In un contesto geopolitico come quello che è andato delineandosi a partire dallo scoppio del conflitto tra Russia e Ucraina, per le principali economie europee l’approvvigionamento energetico è diventato sempre più complesso. La drastica riduzione delle forniture di gas da Mosca e l’aumento esponenziale del costo della componente elettrica hanno reso necessaria una riflessione sull’uso di fonti alternative ed ecologiche, come appunto il biogas e il biometano. Ottenuti dalla fermentazione batterica degli scarti, questi due combustibili rappresentano la soluzione che l’industria agroalimentare mette in campo per far fronte al proprio fabbisogno energetico. Scommettendo sul biogas, da cui in un secondo momento è possibile raffinare il biometano, si attiva una dinamica virtuosa in cui il prodotto di scarto viene recuperato: dunque non inquina e allo stesso tempo entra in un processo di produzione energetica.
Questa formula accomuna tante realtà italiane, che negli anni hanno sperimentato e messo a punto soluzioni sempre più innovative. Ma da dove deriva questo connubio? Lo scopriamo a partire dalla testimonianza di una delle più importanti aziende italiane produttrici di carni bovine, che fa parte del Gruppo Cremonini: Inalca. Ne abbiamo parlato con l’Environment Manager dello stabilimento di Ospedaletto Lodigiano (LO), Mario Rossi.
Food industry e biogas: una questione di chimica
Quello tra il mondo dell’agroalimentare e la produzione di biogas è il connubio perfetto. A differenza di altri settori industriali, ci spiega Mario Rossi, l’agroindustria produce rifiuti o sottoprodotti di natura organica, le cosiddette biomasse, che contengono carbonio e idrogeno: queste, se sottoposte a specifici processi di lavorazione, possono produrre biogas. Ecco perché l’opportunità di avviare un percorso di trasformazione dello scarto in energia è una peculiarità dell’industria agroalimentare.
“Nel settore della macellazione bovina – precisa Rossi – uno dei principali sottoprodotti è quello che viene definito ‘contenuto dei prestomaci’: si tratta di una componente di scarto della prima digestione dei ruminanti. Questa materia, che non trova applicazione o riusi nelle catene alimentari, in passato veniva impiegata come concime nei campi. Oggi, invece, è l’elemento chiave della produzione di biogas, che avviene attraverso la digestione anaerobica”. Infatti, “questo procedimento sottopone il prodotto di scarto a un processo di proliferazione batterica, che trasformerà in gas una parte del carbonio e dell’idrogeno di cui è composta la biomassa”.
Al termine di questo processo biologico, che dura dai 30 ai 45 giorni, il combustibile ottenuto viene utilizzato in motori cogenerativi che producono sia energia elettrica che energia termica. In questo modo negli stabilimenti di Pegognaga (MN) e Ospedaletto Lodigiano, che dispongono di questo tipo di impianti, la compagnia riesce a coprire tra il 10 e il 20% del proprio fabbisogno.
Per le aziende che già provvedono autonomamente alla produzione di energia destinata all’autoconsumo, il futuro è legato alla raffinazione del biometano.
[elementor-template id='142071']Biometano: la sfida del futuro
Il biometano è un combustibile ottenuto dalla lavorazione del biogas. Per le realtà produttive che già dispongono di impianti destinati alla digestione anaerobica delle biomasse il tassello successivo è legato all’installazione di un impianto definito di upgrading, capace di isolare il metano a partire dal biogas. “Questo step è cruciale perché apre uno sbocco di tipo commerciale: il biometano può infatti essere destinato all’alimentazione delle macchine agricole, al trasporto su gomma, oppure può essere immesso nella rete di trasporto e stoccaggio di gas naturale”.
Queste prospettive rappresentano l’evoluzione delle attuali attività di autoproduzione e sono normate dal decreto 15 settembre 2022. Noto anche come “decreto biometano”, il provvedimento è finalizzato a promuovere l’adozione di questo combustibile e a incentivare sia la realizzazione di nuovi impianti, che la riconversione di quelli alimentati a biogas, con uno stanziamento previsto dal PNRR che, complessivamente, supera 1,7 miliardi di euro. Per effetto della misura le aziende agroalimentari italiane potranno contribuire a coprire tra il 15 e il 20% del fabbisogno italiano di gas attraverso una modalità ecologica ed economicamente sostenibile.
Alla luce di queste nuove opportunità, annuncia l’Environment Manager, la compagnia sta già lavorando in funzione del passo successivo. L’obiettivo è quello di avviare la raffinazione del biometano entro il 2023. Già a partire dal 2024 nell’impianto in via di ristrutturazione a Spilamberto, in provincia di Modena, l’azienda si aspetta di produrre quasi quattro milioni di metri cubi di biometano all’anno.
Il futuro della food industry è, dunque, sempre più ecologico e innovativo. Il cibo è fonte di energia, non solo per l’organismo, ma anche per il sistema produttivo e, di conseguenza, per il tessuto economico globale.