Anche Paul Krugman, premio Nobel dell’economia ha parlato di “misterioso collasso della produttività italiana” negli ultimi quindici anni. I dati sono oggettivi e impietosi: ecco una delle tante tabelle che mostra. Il disastro.
Ma i motivi quali sono? Abbiamo fatto in questi quindici anni riforme di ogni tipo, i governi si sono succeduti ognuno promettendo la propria luna e costruendo i propri razzi per arrivarci (possiamo giudicare solo chi sia esploso ancora prima del lancio, chi poco dopo, chi sia arrivato un po’ più in là: perché, comunque, sulla luna promessa nessuno c’è arrivato), ma i risultati sono quelli lì. Misteriosi, paradossali.
Paradossi e misteri della produttività italiana
In economia misteri e paradossi non mancano. Pensiamo allo spread italiano. Sapete che lo spread è un benchmark (un confronto con i tassi tedeschi) e anche se il suo valore assoluto ha significato (e conseguenze) in sé, è importante il confronto con quello delle altre nazioni. Lasciando perdere Francia e altri paesi forti, noi facciamo gara, si sa, con la Spagna. Un anno fa eravamo più bravi noi (Spagna 135, Italia 112), ma adesso, e da parecchio, siamo stati superati (Spagna 101, Italia 127). Ma come! Abbiamo fatto le riforme, il Paese è ripartito e, guarda un po’, la Spagna ci ha superato. Proprio la Spagna! Che è senza governo ormai da più di nove mesi perché la sua legge elettorale non garantisce un vincitore certo! Ma allora non c’è bisogno di una legge elettorale come la nostra, che il giorno dopo le elezioni si sa chi governa, per fare andar bene l’economia! O sì: ognuno di voi saprà senz’altro valutare.
Schlitzer: crisi produttività, sei cause non bastano
Ma torniamo ai misteri e ai paradossi della produttività italiana. Ho letto alcuni qualificati studi, per esempio quello di Giuseppe Schlitzer, docente di finanza internazionale, che alle tre cause più alla moda tra gli economisti – e cioè 1) l’Euro, 2) le riforme del mercato del lavoro, 3) il modello di sviluppo basato sulla piccola impresa – ne aggiunge altre tre: a) il processo di consolidamento fiscale, b) la riforma pensionistica con l’allungamento dell’età media lavorativa, c) l’efficienza della PA. Ma conclude, pieno di interrogativi, che non c’è una causa unica. Forse il male deriva da una combinazione di tutte le sei cause descritte, forse da altre ancora.
Ricolfi: Il federalismo fiscale è stato un harakiri
Luca Ricolfi, docente all’Università di Torino, dà la maggiore delle colpe al federalismo fiscale, “il più grande harakiri che il Paese si sia inferto dopo la Seconda guerra mondiale”. Si sono duplicati se non triplicati i centri di spesa, moltiplicati i centri decisionali. Un disastro. Ci sono prove, si chiede però Ricolfi, che questa possa essere una spiegazione importante del declino della produttività? No, ci vorrebbe uno studio comparativo accurato. Ci sono solo indizi.
Declino produttività e calo degli investimenti in cultura
La mia tesi, ne ho già scritto sul Giornale del cibo in un precedente “Cum grano” (Il costo dell’ignoranza: cultura italia vs media europea, è che il declino della produttività sia correlato al calo degli investimenti in cultura. Naturalmente nemmeno io ho prove. Ma ho indizi, di tutti i tipi. I Paesi che crescono in produttività non hanno smesso di investire in cultura (istruzione, promozione della lettura, organizzazione di eventi culturali, investimenti in musei, eccetera). E mi pare evidente che solo l’orizzonte di senso di una cultura diffusa crea quella coesione sociale che è un elemento decisivo per la crescita della produttività e delle capacità di innovazione di un Paese. Coesione sociale: non divisione sociale.