Alcuni paesi europei realizzano birre con le materie prime prodotte entro i propri confini nazionali. In Italia c’è stata qualche timida prova ma non si può ancora parlare di birra italiana al 100%. Come mai? Lo abbiamo chiesto ad uno dei migliori e preparati birrai dello stivale, Jurij Ferri del birrificio Almond ’22.
Jurij, tu che sei una delle bandiere dell’artigianalità birraria italiana, ci spieghi perchè è difficile produrre una birra italiana al 100%?
Jurij Ferri: “Abbiamo un paese dove si producono da sempre cereali di qualità.
Sarebbe molto interessante usare solo orzo autoctono e poter selezionare insieme al coltivatore le varietali. Purtroppo in Italia non ci sono malterie di piccole dimensioni che possano trasformare il cereale in malto.
Per quanto riguarda i luppoli, Almond ha impiantato proprio in questi giorni un piccolo luppoleto di proprietà. Iniziamo la sperimentazione con 5 varietali diverse, sono sicuro che avremo delle sorprese positive e che i luppoli che otterremo saranno fortemente caratterizzati sia dal nostro clima che dalla particolare composizione dei terreni.
Tu ci hai mai provato? Con quali esiti? Oppure hai in programma di farlo considerato anche il tuo nuovo birrificio e le coltivazioni da cui è circondato?
JF: “Non ho ancora prodotto una 100% Italiana. Ho sempre usato diverse materie prime del territorio, dalla Saragolla al miele fino ai mosti d’uva e ai lieviti autoctoni. A maggio abbiamo stipulato dei contratti con due coltivatori abruzzesi per la fornitura di farro, segale e grano. Inizieremo altre sperimentazioni nel 2016, purtroppo (e lo ribadisco), non ci sono malterie (escluso quelle private) dimensionate sui birrifici artigianali”.
Premesso che acqua, luppoli, malti e spezie siano italiani al 100%, come la mettiamo con i lieviti?
JF: “Noi usiamo nella Christmas Cru lieviti autoctoni (ceppi di Saccharomyces Cerevisiae) selezionati per la fermentazioni di mosti d’uva. Sicuramente nel futuro vedremo crescere anche questo settore. I lieviti sono dappertutto in natura e di nuovo abbiamo bisogno di risorse economiche e della collaborazione di università per selezionare e propagare i vari ceppi presenti sul nostro territorio. Poi bisogna sperimentare e raccogliere i dati ottenuti. Per riassumere ci vogliono tempo e risorse economiche”.
Chi fin’ora tra i birrifici italiani ci ha provato? Ed è poi riuscito a dare continuità alla produzione?
JF: “Ci sono diversi birrifici agricoli in Italia che utilizzano cereali da loro stessi coltivati.
Diversi birrifici coltivano una parte dei luppoli che poi utilizzano per brassare. Non saprei dire con assoluta certezza se e quali birre italiane siano prodotte solo con lieviti, cereali e luppoli italiani”.
Quali sono i paesi che riescono a produrre una birra interamente con le proprie materie prime?
JF: “Sicuramente Belgio e Germania nonché la Repubblica Ceca”.
100% Birra italiana vuol dire più buona o migliore? O forse anche più costosa?
JF: “La birra artigianale Italiana ha una storia molto recente. Poco meno di un ventennio. Prevedo che nei prossimi anni vedremo svilupparsi sia il settore primario della birra (cereali e luppoli) nonché il settore secondario (malterie e aziende di trasformazione e confezionamento del luppolo). Non credo che sarà molto più costoso produrre birra 100% Italiana. Vorrei solo evidenziare che in tutto il mondo i birrai scelgono e acquistano materie prime ovunque. Negli USA usano anche cereali e luppoli europei e in Europa si usano anche molti luppoli americani. Il km zero non credo sia l’esigenza primaria del birrificio.
C’è anche da specificare che per i birrifici abbiamo due figure essenziali e completamente diverse ma complementari:
Il maestro maltatore, che seleziona il tipo/tipi di orzo da far coltivare, si occupa dell’analisi del cereale conferito alla malterie e lo trasforma in malto/i.
E il maestro birraio, che seleziona i malti per le sue birre fra quelli disponibili sul mercato internazionale e una volta scritta la ricetta, trasforma i/il cereale in mosto e poi tramite la fermentazione in birra.
Sono due lavori completamente diversi e che richiedono grandi competenze specifiche.
Perché si sviluppi bene il settore malteria artigianale bisogna anche formare un comparto di maestri maltatori. Non è un percorso ne breve ne facile. In Italia tutti vogliono fare i mastri birrai e nessuno il maestro maltatore. È come nelle squadre di calcio, tutti vogliono fare gli attaccanti e nessuno il mediano.
A volte questa ricerca assoluta del km 0, della territorialità ma anche del bio nel vino a tutti i costi, non ti sembrano una forzatura?
JF: “Siamo un paese molto influenzato da tendenze del momento, blogger, opinionisti e super esperti spesso autoreferenziati. Il km 0 ha senso proprio perché il coltivatore vende il suo prodotto direttamente sul territorio. Questo permette un commercio equo, abbattimento dell’inquinamento dovuto ai trasporti nonché permette al consumatore di reperire un prodotto fresco e a prezzo spesso vantaggioso.
I mercati di paese sono sempre esistiti, i miei nonni compravano dai produttori direttamente tutto. Oggi sembra si sia scoperto qualcosa di nuovo con il km 0 che invece esiste naturalmente da sempre. I produttori di vino a nostra differenza coltivano il prodotto utilizzato direttamente in loco. È naturale che sia Km 0. Quando ci saranno malterie e maestri maltatori sul nostro territorio inizieremo a valutare il 100% km 0.
Voi avete mai assaggiato una birra italiana al 100%? Secondo voi che tipologia di birra manca e vorreste nel panorama brassicolo italiano?