Le recenti proteste dei pastori sardi sono solo l’ennesima dimostrazione di quanto sia complicato portare avanti un progetto agricolo oggi. Non solo il prezzo del latte, ma anche quello del grano, delle arance e dei pomodori sui banchi dei supermercati spesso nasconde pratiche di sfruttamento dell’ambiente e della forza lavoro. Lo conferma anche il Rapporto Agromafie 2018 che evidenzia come siano migliaia, in Italia, i contadini e gli allevatori messi in seria difficoltà da un sistema di vendita e distribuzione che tende a non valorizzare gli sforzi di chi produce in maniera pulita e giusta.
Esistono, però, anche correnti e azioni contrarie che mirano proprio al supporto e al riconoscimento del lavoro agricolo. Un esempio è quello di Legambiente e EcorNaturaSì che,in collaborazione con la cooperativa calabrese Goel, hanno lanciato una campagna sul giusto prezzo dei prodotti agricoli, contro il caporalato e per un’agricoltura sostenibile.
[elementor-template id='142071']Qual è il “prezzo giusto” dei prodotti agricoli?
Un kg di grano duro viene pagato, normalmente, 22 centesimi, secondo il Listino settimanale dei prezzi all’ingrosso a Bologna (Bollettino n.7 del 21/2/2019), lo sforzo compiuto nell’ottica della campagna di Legambiente e Ecor NaturaSì è di spendere per la stessa quantità di prodotto 55 centesimi, selezionando produttori che presentino garanzie di trasparenza della filiera e sostenibilità della produzione.
Questo ha, naturalmente, un impatto anche sul prezzo finale proposto al consumatore. La sfida della campagna è proprio raccontare perché pomodori, arance, pasta 100% italiana hanno un costo superiore e qual è l’effetto, concreto, di scegliere proprio quel prodotto.
“Bisogna dire cosa c’è dietro i prezzi, poi ognuno fa le sue scelte – spiega il presidente di Legambiente Stefano Ciafani in occasione del lancio della campagna – Non si può lottare contro il caporalato e comprare i pomodori a un prezzo possibile solo usando lavoratori trattati come schiavi. Senza contare l’effetto ambientale che un’agricoltura ad alto uso di chimica di sintesi produce”.
Lo sforzo di Ecor NaturaSì si traduce nella vendita di una passata di pomodoro più cara di 20 centesimi al kg rispetto al prezzo medio della grande distribuzione, ma realizzata senza sfruttare i braccianti, riconoscendo loro quanto previsto dalla legge e riconoscendo ad ogni attore della filiera, tra le più contaminate in Italia, quanto merita.
Contro lo sfruttamento dei lavoratori e delle risorse
Gli sforzi di Legambiente e Ecor NaturaSì si muovono in una duplice direzione, legando in maniera indissolubile la sostenibilità ambientale e quella umana dell’agricoltura. Un matrimonio che, a loro avviso, si realizza prevalentemente nel mercato italiano del biologico che, negli ultimi anni, è cresciuto conquistando le preferenze di molti italiani e uno spazio tra i banchi della GDO.
Ed è interessante osservare come crescono anche le reti e le collaborazioni tra le associazioni e le cooperative che su territori spesso difficili realizzano attività di produzione che dimostrano come conciliare il rispetto dell’ambiente e del lavoratore sia possibile. È il caso di SOS Rosarno che, in uno dei luoghi simbolo dello caporalato, coltiva e raccoglie arance pulite distribuite e vendute in quasi tutta Italia, ma anche di Funky Tomato che porta il pomodoro campano, fiore all’occhiello del territorio, lontano dalle mani della Camorra e direttamente sulle tavole dei consumatori più consapevoli.
Sempre in Calabria opera il Gruppo cooperativo Goel, partner della campagna per il giusto prezzo di Legambiente e NaturaSì, che si occupa della valorizzazione dei prodotti del territorio, arance in primis. Lo fa contrastando le dinamiche della ‘ndrangheta, rifiutando le logiche del caporalato e imponendo standard etici e biologici a tutta la filiera. Un’attività che potrebbe sembrare ordinaria, ma è costata minacce di morte, solo pochi mesi fa, ai familiari e allo chef Giuseppe Trimboli, socio del gruppo e proprietario del ristorante “La Collinetta” a Martone, in provincia di Reggio Calabria.
Lo sforzo della campagna è, dunque, sostenere queste realtà, proteggerle per quanto possibile e raccontare ai consumatori cosa stanno acquistando. Un concetto riassunto da Carlo Triarico, presidente dell’Associazione Biodinamica durante conferenza stampa di presentazione del progetto: “si tratta di moltiplicare i casi virtuosi per evitare che i coltivatori onesti siano costretti ad abbandonare e si crei un asse tra agricoltori mal pagati e consumatori malnutriti.”
Consumatori sempre più sensibili
La buona notizia è che i consumatori sono sempre più sensibili a queste iniziative. È cresciuta, infatti, la consapevolezza che un cibo sano e di qualità deve essere sostenuto da prezzi adeguati. Secondo una ricerca realizzata nel 2018 da Coop insieme a Nomisma, infatti, ben 7 italiani su 10 sono disposti a pagare un prezzo più alto per acquistare un alimento di qualità.
E nella valutazione della qualità concorre un’attenta lettura dell’etichetta, ma anche una ricerca sull’origine del prodotto. Sempre più consumatori, infatti, ritengono che sia importante informarsi sull’origine dei cibi prima dell’acquisto e valutano se è salutare o meno. Il 52% degli italiani (dati Censis) dedica un’attenzione costante alla salute nella spesa quotidiana.
Proprio questa consapevolezza potrebbe portare sempre più consumatori a scegliere prodotti sostenibili sia dal punto di vista etico che da quello ambientale. E ciò perché, come denunciato di Coldiretti, nel 2018 ci sono stati 399 allarmi alimentari connessi alle agromafie.
Fare una spesa sostenibile, dunque, può essere essere leggermente più caro, ma comporta dei benefici sia per la collettività, che a livello individuale. Quando la filiera è controllata ed è riconosciuto il giusto valore al lavoro di ogni attore, quello che si porta in tavola è, con tutta probabilità, di qualità maggiore. Una qualità che non si misura soltanto in gusto, ma anche in salute. Lo sapevate?