Cibi per ricchi e cibi per poveri: si può parlare di povertà alimentare in Italia?

povertà alimentare in italia

Giuliano Gallini

 

 

Credo (voglio credere) che non ci sia più nessuno che metta in dubbio che le disuguaglianze di reddito siano eccessive e che rappresentino un problema per la civiltà e per il suo sviluppo. Se si guarda all’ingiustizia sociale attraverso il discorso sul cibo essa appare ancora più insopportabile. Infatti, se si può accettare che non tutti possano permettersi un diadema di smeraldi o un abito costoso, che non tutti abbiano accesso a cibo di qualità è oggi inammissibile.

Il problema della fame esiste ancora ed è in crescita in alcune parti del mondo; mentre quello dell’obesità, in altre zone più fortunate, è spesso legato alla cattiva qualità del cibo.
La povertà alimentare in Italia e in Europa esiste.

Povertà alimentare in Italia: “rinunciare alla qualità del cibo significa rinunciare alla propria salute”

Come abbiamo detto, trent’anni di crescita dell’ingiustizia sociale, più o meno dall’inizio degli anni novanta, rappresentano un problema di civiltà e lo hanno recentemente dichiarato leader politici di ogni orientamento, banchieri centrali e molti rappresentanti di quel simpatico mondo che ogni anno si riunisce a Davos o in qualche altro luogo simbolo del capitalismo. I populismi, le immigrazioni e i riot (le sommosse di piazza) minacciano l’ordine mondiale e bisogna pensare a come redistribuire le ricchezze, dentro le nazioni e tra le nazioni. Meglio tardi che mai.

Non sembra, però, ci si stia riuscendo. Quasi che le forze istintive (finanziarie, politiche) che si oppongono a una giusta distribuzione dei redditi siano più forti delle, pur deboli, volontà di autoriforma.

Le famiglie italiane riducono la spesa alimentare, un tempo considerata incomprimibile

carrello vuoto

Secondo una ricerca condotta dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli per CIR food, presentata l’ottobre scorso al Festival di Internazionale a Ferrara, “il 10,5% dei cittadini dell’UE28 non è riuscito a soddisfare stabilmente l’esigenza di un pasto adeguato. Nel panorama europeo l’Italia si caratterizza per avere valori di disagio alimentare superiori alla media (14,2%).”

“Le famiglie italiane, vedendo progressivamente ridotto il proprio potere di acquisto, stanno decidendo di ridurre anche le spese destinate a quei beni che un tempo erano ritenuti “incomprimibili”, come la spesa alimentare. Questa contrazione dei consumi non è da intendersi solo in senso quantitativo, ma anche qualitativo: orientando le proprie scelte verso prodotti più economici, infatti, gli italiani rinunciano alla qualità del cibo che consumano, anche consapevolmente”.

Rinunciare alla qualità del cibo, va da sé, significa rinunciare alla propria salute: e questa, tra tutte, è l’ingiustizia più intollerabile.

Cibo di cittadinanza e percorsi possibili

Ecco perché la povertà alimentare in Italia e il discorso sul cibo, assumono un valore centrale tra i discorsi sociali e politici: sono un paradigma fondamentale per orientarsi nell’oggi e nel domani.

Basta guardare al fenomeno dei “grandi chef”: onorati, vezzeggiati e onnipresenti, esprimono una cultura alimentare che ben pochi possono permettersi. I poveri di una volta andavano in piazza per guardare attraverso le vetrine i ricchi che mangiano il gelato: oggi i nuovi poveri, meno consapevoli della propria povertà dei loro nonni, guardano il cibo per ricchi in televisione, potendo permettersi solo cibo spazzatura nei discount.

Per assicurare a tutti un cibo di qualità occorre prima di tutto prendere coscienza che pochi oggi possono permetterselo e tracciare strade credibili per superare il problema. La ricerca che ho citato prima, per indagare questi fenomeni, proseguirà per tutto il 2018, e ha proprio lo scopo di individuare proposte per nuovi modelli di sviluppo che vadano nella direzione di un cibo di cittadinanza.

Se i lettori de Il Giornale del Cibo sono interessati a seguirne lo sviluppo possono lasciarmi un commento o un messaggio che leggerò con piacere!

 

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