Giornale del cibo

Plastica riciclata a contatto con gli alimenti: cosa dicono gli studi?

Robby Fontanesi/shutterstock.com

 

Negli ultimi anni, sta acquistando grande rilevanza nel dibattito pubblico il ruolo del packaging alimentare, sia in ottica di una maggiore sostenibilità, sia in quella di una garantita ed efficace sicurezza alimentare. Buona parte (se non la maggior parte) degli imballaggi sono infatti realizzati in materiali plastici, e tra i tentativi per ridurre il loro impatto ambientale – oltre alla ricerca di alternative plastic free – c’è quello di optare per il riciclaggio e un uso circolare della plastica.

Ma secondo numerosi studi citati un report diffuso da Greenpeace USA “le materie plastiche sono intrinsecamente incompatibili con un’economia circolare” e, soprattutto, le sostanze chimiche contenute negli imballaggi di plastica riciclata a contatto con gli alimenti potrebbero avere un impatto negativo sulla nostra salute.

Approfondiamo l’argomento prendendo in considerazione recenti studi che hanno revisionato centinaia di pubblicazioni scientifiche sulla plastica – a partire da quella riciclata.

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Plastica riciclata a contatto con alimenti: il nuovo regolamento

La parola d’ordine per il futuro è “sostenibilità”, anche e soprattutto se parliamo di imballaggi alimentari. Per molti, il riciclaggio della plastica è uno dei modi per diminuire l’uso di plastica vergine, e in determinate condizioni la plastica riciclata può essere utilizzata anche nei materiali a contatto con alimenti, i cosiddetti MOCA.

A questo proposito, il 20 settembre 2022 è stato pubblicato il nuovo Regolamento (UE) 2022/1616 della Commissione europea, entrato in vigore il 10 ottobre dello stesso anno, che abroga il precedente Regolamento (CE) 282/2008 relativo ai materiali e agli oggetti di materia plastica riciclata destinati a venire a contatto con i prodotti alimentari, con l’obiettivo di garantire la sicurezza e la qualità di questi ultimi. Da luglio 2023 non sarà più possibile immettere sul mercato plastiche riciclate certificate tramite leggi nazionali, ma dovranno essere prodotte attraverso “un’adeguata tecnologia di riciclo” che rispetti le nuove regole – armonizzate a livello europeo – per assicurare la qualità dei processi di riciclaggio e di decontaminazione

Plastica riciclata a contatto con gli alimenti: lo studio della Cambridge University

Tuttavia, anche questa potrebbe non essere un’opzione. Un recente studio della Cambridge University ha preso in considerazione oltre 700 pubblicazioni scientifiche sull’argomento, sottolineando proprio il fatto che riutilizzare e riciclare la plastica avrebbe conseguenze negative non intenzionali. Infatti, alcune sostanze chimiche pericolose possono accumularsi durante la fase di riciclo ed essere poi rilasciate. In questo modo, le materie plastiche riciclate diventano “vettori per la diffusione di sostanze chimiche preoccupanti”, come riporta lo studio, e questo “è particolarmente allarmante quando la plastica viene riutilizzata per imballaggi alimentari o quando l’imballaggio alimentare è realizzato con plastica riciclata”.

Sarebbero 853 le sostanze chimiche utilizzate nella plastica riciclata PET (polietilene tereftalato, con cui vengono realizzate ad esempio le bottiglie di plastica) dai ricercatori, molte delle quali scoperte negli ultimi due anni. Tra queste, a preoccupare sono l’antimonio e l’acetaldeide, ma anche tossine come 2,4-DTBP, glicole etilenico, piombo, acido tereftalico, bisfenolo e oligomeri ciclici di PET. Il problema è che queste sostanze possono migrare nei prodotti alimentari, “portando a un’esposizione umana cronica”.

Uno dei problemi, secondo i ricercatori, deriverebbe proprio dalla regolamentazione poco chiara su quali sostanze chimiche sono effettivamente presenti nella plastica e i test effettuati sarebbero troppo “leggeri” per determinarli. Ad esempio, lo studio ha rilevato che alcune sostanze chimiche vengono aggiunte o create durante il processo di riciclaggio. Nella plastica vergine sono stati rilevati 461 tipi di composti organici volatili (COV), contro i 573 trovati in materiale riciclato: questo potrebbe essersi verificato per il riciclo chimico, ma anche i flussi di rifiuti plastici contaminati potrebbero essere un’altra possibile causa, oppure per le reazioni tra le singole sostanze chimiche.

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Lo studio di tre Università sulla penetrazione delle sostanze chimiche dagli imballaggi in plastica al cibo

Un’altra ricerca della Brunel University di Londra, dell’University College di Londra e della Qatar University, in collaborazione con il Food Packaging Forum, ha analizzato 116 studi su come i prodotti chimici per l’imballaggio in PE penetrano nel cibo e potenzialmente vengono assorbiti nel corpo. Il team ha identificato 377 sostanze chimiche a contatto con gli alimenti negli imballaggi in PE (polietilene ad alta densità), come il bisfenolo A e gli ftalati, che possono alterare gli ormoni e portare a rischi per la salute. Circa 211 di queste 377 sostanze chimiche migrano negli alimenti almeno una volta durante il ciclo di vita della plastica. In modo allarmante, solo un quarto di questi è autorizzato dal regolamento dell’UE, un terzo dei quali supera il limite di sicurezza.

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Il report di Greenpeace

A conclusioni simili è arrivato anche un report pubblicato recentemente da Greenpeace a ridosso del nuovo ciclo di negoziati per un trattato globale sulla plastica dell’ONU, le cui trattative si sono tenute a Parigi dal 29 maggio al 2 giugno.

Anche secondo questo report, rispetto alla plastica vergine quella riciclata spesso contiene concentrazioni più elevate di sostanze chimiche tossiche, come benzene e altri agenti cancerogeni, o interferenti endocrini che possono causare cambiamenti nei livelli ormonali naturali del corpo. Come? Questo avverrebbe in tre modi:

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I trattati di Parigi sulla plastica

Secondo i vari esperti, quindi, nonostante il nuovo regolamento della Commissione europea, la legislazione non è in grado di assicurare la sicurezza chimica dei materiali a contatto con gli alimenti senza una revisione del quadro normativo globale relativo agli imballaggi alimentari. In particolare, sarebbe impossibile prevenire la presenza di sostanze tossiche che sono attualmente presenti negli imballaggi in plastica (vergine o riciclata che sia) e che poi migrano dagli imballaggi agli alimenti.

Tra l’altro, a preoccupare è anche il fatto che entro il 2060 la produzione di rifiuti plastici potrebbe triplicare, secondo appunto un recente rapporto dell’OCSE: anche il riciclo, però, che in molti hanno sempre sostenuto come possibile soluzione per arginare il problema, potrebbe non essere la soluzione come emerso dai precedenti studi e report a causa della sua tossicità. 

Come fare per il futuro, quindi? La lotta all’inquinamento da plastica è stata al centro dei negoziati che si sono svolti le scorse settimane, dal 29 maggio al 2 giugno a Parigi, e che hanno visto coinvolti 170 Paesi. L’obiettivo è stilare entro il 2024 un Trattato internazionale che punta a ottenere un accordo globale legalmente vincolante. La prima bozza – che dovrà contenere tutte le opzioni e le posizioni in campo – verrà scritta e discussa entro novembre, quando si svolgerà la maratona diplomatica a Nairobi, in Kenya, dal 13 al 17 novembre 2023.

Come affermato da Greenpeace, la plastica non ha posto in un’economia circolare ed è chiaro che l’unica vera soluzione per porre fine all’inquinamento è ridurre la produzione in modo massiccio. Come Giornale del Cibo continueremo a seguire gli sviluppi futuri della vicenda, ma intanto tutti noi possiamo adottare piccole azioni per diminuire l’uso di plastica nelle nostre vite. 


Immagine in evidenza di: Robby Fontanesi/shutterstock.com

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