“Scelsi di lavorare in una pizzeria dopo un litigio con mio padre, praticamente fu una forma di ribellione. Aveva uno studio, amministrava condomini, ma non c’era sintonia tra noi. Avevo sempre amato cucinare e l’estate era alle porte, così decisi di provare, anche per guadagnare qualcosa. Avevo 20 anni e la mia vita stava per cambiare completamente”. Pier Daniele Seu è un volto noto della ristorazione romana o meglio, di quel particolare scenario che è il mondo della pizza, un ambito in continua evoluzione, caratterizzato dall’eterna lotta tra la pizza classica e quella gourmet. È nato a Ostia, ha da poco compiuto 31 anni e la parlantina ficcante è il suo marchio di fabbrica, oltre a un impasto che ha in pochi anni conquistato la sua clientela e tanti addetti ai lavori.
Pier Daniele Seu: gli inizi e il casuale approccio con la pizza
Seicento euro al mese, per lavorare tutto il giorno, tutti i giorni, un cambiamento radicale per un ragazzo “convinto d’esser nato ricco” e che aveva un’idea di vita fatta di tanto disimpegno e poco sacrificio. Il ristorante di un amico quale punto di partenza per appassionarlo agli impasti e proiettarlo in un futuro poco pronosticabile fino a quel momento. Servirono però altri 2 anni per far capire definitivamente a Seu che quello del pizzaiolo sarebbe divenuto il suo mestiere: dopo un ritorno presso lo studio del padre, anche in questo caso con scarsi risultati, tornò a fare pizze presso un centro sportivo di Casal Palocco (una zona tra Roma ed Ostia). Lì conobbe Eugenio Cocchiarale, un incontro a dir poco decisivo per la carriera di Pier Daniele, che ebbe la pazienza di far crescere il giovane pizzaiolo di Ostia affiancandolo, consigliandolo, insegnandogli tutto ciò che conosceva.
La rapida ascesa e “Seu Pizza Illuminati”
Le altre tappe (Mastro Titta prima e il Gazometro 38 poi) gli hanno permesso di fare esperienza, lavorare sugli impasti, testare abbinamenti, toccare con mano la fatica ma soprattutto rafforzare sempre di più nella sua testa l’idea di un progetto personale che potesse consentirgli di esprimersi senza compromessi. L’opportunità del Mercato Centrale, un suo banco per far pizze, grandi numeri, affinare la tecnica e costruire una squadra affiatata ha portato Seu in maniera naturale a creare Seu Pizza Illuminati il suo locale in zona Porta Portese. “Quando ho iniziato ad appassionarmi a questo mondo ho creduto di poter realizzare in pochi mesi una realtà tutta mia. Ho un’indole irruenta, ma crescendo ho saputo mediare alcuni atteggiamenti, e ho anche capito che sarebbe servito molto più tempo”. Ci sono voluti infatti 8 anni e un incontro importante, quello con Valeria, la sua compagna e unica socia del locale. Il periodo al Mercato Centrale ha dato a Seu una cassa di risonanza mediatica, un bacino d’utenza e un apporto economico rivelatisi decisivi per lanciarsi come imprenditore, esperienza servita anche per “aumentare la reciproca conoscenza con Valeria e la nostra sintonia. Senza la persona giusta accanto non avrei mai potuto dar vita a tutto questo”.
[elementor-template id='142071']La sua filosofia e i nuovi progetti
“La mia pizzeria ha un imprinting giovanile che la differenzia da tutte le altre che ci sono a Roma, arredi e design la rendono cosmopolita, ricorda in parte un cocktail bar, in parte un ristorante, pur restando una pizzeria”. Pier Daniele più volte nel corso della nostra chiacchierata pone l’accento sul rapporto con i suoi dipendenti: “mi faccio rispettare pur essendo così giovane, perché credo d’esser nato leader, che vuol dire saper gestire ma anche saper ascoltare quando necessario”. In questa parte del suo lavoro è tornata utile una affinità con la madre, psicologa, che ha trasmesso a Seu la capacità di sapersi rapportare e confrontare in maniera costruttiva con i suoi collaboratori.
Pur avendo aperto da pochi mesi, conoscendo Pier Daniele, immagino stia già pensando ad altro e la mia impressione è subito confermata dalle sue parole: “mi annoio facilmente e già vedo la mia pizzeria vecchia, voglio già fare altro. Ho una sorta di fissazione con panini e tramezzini e vorrei aprire una panineria, un concept diverso, ma anche più smart, un piccolo Mercato Centrale, ideato in particolare per i turisti con offerte differenti, cibo da poter mangiare in loco o portare via”.
Ma c’è anche la ferma volontà di lavorare a una evoluzione degli impasti, perché strizza l’occhio alla cucina, e sta quindi nascendo l’idea di realizzare un impasto contemporaneo, “una focaccia condita con una consistenza particolare, come fanno Gabriele Bonci, Renato Bosco e Simone Padoan”. Un upgrade della pizzeria con abbinamento allo champagne, una sorta di ristorante per la pizzeria. “Ora ho la possibilità di creare ciò a cui ho pensato in questi anni; sono affascinato dagli accostamenti innovativi, perché il giusto bilanciamento permette di abbinare ogni materia prima, ma serve tempo perché la clientela deve abituarsi a questi cambiamenti”. Ad oggi in carta Seu ha tutte le pizze storiche, ma prossimamente si andrà sempre più verso il Seu Pensiero, con tante novità. “Il cliente deve essere istruito, educato a un nuovo tipo di sapore: non sono in una via di passaggio ma per fortuna ho molta affluenza, c’è curiosità, sono seguito, e le pizze innovative piacciono, vengono ordinate spesso, vuol dire che i clienti sono propensi al cambiamento”.
Le pizze di Pier Daniele Seu
La lotta allo spreco, il ruolo di manager e gli aspetti gestionali
La nostra chiacchierata vira su alcuni temi d’attualità, partendo dalla lotta allo spreco. Seu mi dice che nel mondo della pizza il controllo e la lotta allo spreco sono meno complicati, si usano meno ingredienti, il numero di pizze da preparare è prevedibile, “ma comunque mi piacerebbe aprire anche a pranzo (al momento la pizzeria è aperta solo la sera), proponendo piatti realizzati utilizzando ciò che non mi serve per la preparazione delle pizze”. Sapere quante pizze escono ogni sera dal forno consente a Pier Daniele anche di poter fare richieste precise ai produttori, piccoli o grandi che siano, perché lui non demonizza alcun tipo di distribuzione, può lavorare con gli uni e con gli altri perché antepone a tutto, a parità naturalmente di qualità delle materie prime, il tipo di rapporto umano, personale e professionale che si instaura con gli interlocutori: “devono credere nel mio progetto; spesso sono a cena qui da me, condividiamo la visione della pizzeria e del modo di fare pizza”. Sul ruolo di manager, che ormai tanti chef svolgono, ha una idea ben precisa, restare in cucina (o al forno in questo caso) a fare pizze perché sono altre persone a doversi occupare dei vari aspetti del locale, “mentre io devo stare in cucina a coltivare la mia passione, sono agli inizi della carriera e questa a mio avviso è la scelta giusta”.
Pier Daniele Seu e il rapporto con la Sala
“Una buona sala può mascherare una cucina mediocre”: Seu parte da questa considerazione per farmi capire il suo modo di concepire il legame che deve esserci tra i 2 settori di un locale. “Ho sempre creduto sia necessaria una perfetta sinergia. Le mie pizze sono particolari, devono essere raccontate nel modo giusto”. In passato gli è capitato di lavorare in pizzerie che avevano un personale di sala poco partecipe, poco stimolato, che lavorava senza entusiasmo non riuscendo quindi a trasmettere ai clienti la sua idea di pizza.
“Tre anni fa ho avuto la possibilità di mangiare nella pizzeria dei fratelli Salvo a San Giorgio a Cremano (in provincia di Napoli) scoprendo una vera e propria macchina da guerra che non sbaglia un colpo”. Pier Daniele crede nella sala al punto da aver scelto quasi esclusivamente ragazzi che provengono dalla ristorazione, assegnando loro compiti ben precisi con i conseguenti oneri e onori. “Ho selezionato ragazzi abituati alla qualità e altri alla quantità, ad esempio tra quelli che hanno lavorato al Mercato Centrale, pronti a grandi numeri. Sono ragazzi interessati al mio progetto e che hanno studiato pizze, menù, birre e vini per capire cosa trasmettere ai clienti ed in che modo”.
Pizzerie italiane e Guida Michelin
L’ultima parte della nostra conversazione è dedicata alla guida Michelin e all’accostamento che con sempre più insistenza viene fatto al mondo della pizza. È possibile che una pizzeria riesca a conseguire una stella? Seu è diretto: “In Italia ci sono solo 2 pizzerie che possono ambire alla stella, quelle di Franco Pepe e di Simone Padoan. Non solo per la qualità degli impasti o delle materie prime, ma perché hanno strutturato i loro locali partendo da una determinata concezione di esperienza per il cliente”. Nel nostro Paese, secondo Pier Daniele, le valutazioni della Michelin tendono a gratificare quasi esclusivamente locali ingessati, abbottonati, “ci sono ristoranti, anche a Roma, che all’estero avrebbero già ottenuto la stella”. Ma tornando alle pizzerie, Seu chiude con un appello: “Vorrei dire alla Michelin di non strizzare l’occhio solo alle pizzerie di Napoli, di allargare gli orizzonti e di segnalare anche le tante pizzerie al di fuori del capoluogo partenopeo che meritano di essere menzionate nella guida”.
Giovane, irruento, deciso, appassionato: da questa chiacchierata emerge un Pier Daniele Seu determinato, che ha deciso di percorrere fino in fondo questa strada incontrata quasi per caso, per lasciare un segno tangibile nel mondo della pizza con il suo modo innovativo di proporre un grande classico della nostra cucina.